Diritto all’oblio vs diritto all’informazione – La legittimità della ripubblicazione di quanto è stato già a suo tempo diffuso senza contestazioni

il diritto di cronaca, per pacifica e risalente acquisizione della giurisprudenza sia civile che penale, è un diritto pubblico soggettivo fondato sulla previsione dell’articolo 21 della Costituzione, che sancisce il principio della libera manifestazione del pensiero e della libertà di stampa.

Tale diritto non è, peraltro, senza limiti, come la giurisprudenza ha da tempo riconosciuto, indicando la necessità della sussistenza di tre condizioni, costituite dall'utilità sociale dell'informazione, della verità oggettiva dei fatti e della forma civile dell'esposizione, che deve essere sempre rispettosa della dignità della persona.

Il diritto all'oblio è collegato al diritto di cronaca, posto che esso sussiste quando non vi sia più un'apprezzabile utilità sociale ad informare il pubblico; ovvero la notizia sia diventata falsa in quanto non aggiornata o, infine, quando l’esposizione dei fatti non sia stata commisurata all'esigenza informativa ed abbia arrecato un vulnus alla dignità dell’interessato.

il diritto all'oblio è stato oggetto di alcune recenti pronunce della giurisprudenza di legittimità le quali hanno riconosciuto, a determinate condizioni, la prevalenza del diritto all'oblio sul diritto all'informazione. In particolare, è stato affermato che il diritto all'oblio può essere recessivo, rispetto al diritto di cronaca, solo in presenza di determinate condizioni, fra le quali il contributo arrecato dalla diffusione della notizia ad un dibattito di interesse pubblico, l’interesse effettivo ed attuale alla diffusione, la grande notorietà del soggetto rappresentato, le modalità in concreto impiegate e la preventiva informazione dell’interessato finalizzata a consentirgli il diritto di replica prima della divulgazione. D'altra parte, la materia è stata oggetto anche di un recente intervento della legislazione Europea, con il Regolamento UE 2016/679, il cui articolo 17 prevede che, a determinate condizioni, l’interessato abbia diritto a chiedere la rimozione dei dati personali che lo riguardano e che siano stati resi pubblici.

Quando si parla di diritto all'oblio ci si riferisce, in realtà, ad almeno tre differenti situazioni: quella di chi desidera non vedere nuovamente pubblicate notizie relative a vicende, in passato legittimamente diffuse, quando è trascorso un certo tempo tra la prima e la seconda pubblicazione; quella, connessa all'uso di internet ed alla reperibilità delle notizie nella rete, consistente nell'esigenza di collocare la pubblicazione, avvenuta legittimamente molti anni prima, nel contesto attuale; e quella, infine, nella quale l’interessato fa valere il diritto alla cancellazione dei dati.

In questa sede ci occuperemo solo della prima delle tre ipotesi appena elencate che rappresenta, per così dire, un caso classico, cioè un caso connesso col problema della libertà di stampa e la diffusione della notizia a mezzo giornalistico, rimanendo perciò escluso ogni collegamento con i problemi posti dalla moderna tecnologia e dall'uso della rete internet. Si tratta cioè dell’ipotesi in cui non si discute della legittimità della pubblicazione, quanto, invece, della legittimità della ripubblicazione di quanto è stato già a suo tempo diffuso senza contestazioni.

Va innanzitutto premesso che quando un giornalista pubblica di nuovo, a distanza di un lungo periodo di tempo, una notizia già pubblicata - la quale, all'epoca, rivestiva un interesse pubblico - egli non sta esercitando il diritto di cronaca, quanto il diritto alla rievocazione storiografica di quei fatti. Il che vuol dire che si tratta di un diritto avente ad oggetto il racconto, con la stampa o altri mezzi di diffusione, di un qualcosa che attiene a quel tempo ed è, perciò, collegato con un determinato contesto. Ciò non esclude, naturalmente, che in relazione ad un evento del passato possano intervenire elementi nuovi tali per cui la notizia ritorni di attualità, di modo che diffonderla nel momento presente rappresenti ancora una manifestazione del diritto di cronaca; in assenza di questi elementi, però, tornare a diffondere una notizia del passato, anche se di sicura importanza in allora, costituisce esplicazione di un’attività storiografica che non può godere della stessa garanzia costituzionale che è prevista per il diritto di cronaca.

Va detto subito, per evitare fraintendimenti, che l’attività storiografica, intesa appunto come rievocazione di fatti ed eventi che hanno segnato la vita di una collettività, fa parte della storia di un popolo, ne rappresenta l’anima ed è, perciò, un’attività preziosa. Ma proprio perché essa è "storia", non può essere considerata cronaca. Ne deriva che simile rievocazione, a meno che non riguardi personaggi che hanno rivestito o rivestono tuttora un ruolo pubblico, ovvero fatti che per il loro stesso concreto svolgersi implichino il richiamo necessario ai nomi dei protagonisti, deve svolgersi in forma anonima, perché nessuna particolare utilità può trarre chi fruisce di quell'informazione dalla circostanza che siano individuati in modo preciso coloro i quali tali atti hanno compiuto. In altre parole, l’interesse alla conoscenza di un fatto, che costituisce manifestazione del diritto ad informare e ad essere informati e che rappresenta la spinta ideale che muove ogni ricostruzione storica, non necessariamente implica la sussistenza di un analogo interesse alla conoscenza dell’identità della singola persona che quel fatto ha compiuto.

Un'altra importante precisazione è necessaria: la decisione di un quotidiano, di un settimanale o comunque di una testata giornalistica di procedere alla rievocazione storica di fatti ritenuti importanti in un determinato contesto sociale e territoriale non può essere messa in discussione in termini di opportunità. La scelta di una linea editoriale o piuttosto di un'altra rappresenta una delle forme in cui si manifesta la libertà di stampa e di informazione tutelata dalla Costituzione; per cui non può essere sindacata la decisione, ad esempio, di pubblicare con cadenza settimanale, nell'arco di un certo periodo di tempo, la ricostruzione storica di una serie di fatti criminosi che hanno coinvolto e impressionato in modo particolare la vita di una collettività in un determinato periodo. Ciò che, al contrario, può e deve essere verificato dal giudice di merito è se, pacifico essendo il diritto alla ripubblicazione di una certa notizia, sussista o meno un interesse qualificato a che essa venga diffusa con riferimenti precisi alla persona che di quella vicenda fu protagonista in un passato più o meno remoto.

Perché l’identificazione personale, che rivestiva un sicuro interesse pubblico nel momento in cui il fatto avvenne, potrebbe divenire irrilevante, per i destinatari dell’informazione, una volta che il tempo sia trascorso e i fatti, anche se gravi, si siano sbiaditi nella memoria collettiva. Il che significa che il diritto ad informare, che sussiste anche rispetto a fatti molto lontani, non equivale in automatico al diritto alla nuova e ripetuta diffusione dei dati personali.

In altre parole, il trascorrere del tempo modifica l’esito del bilanciamento tra i contrapposti diritti e porta il protagonista di un fatto, che nessun diritto alla riservatezza avrebbe potuto opporre nel momento in cui il fatto avvenne, a riappropriarsi della propria storia personale: la notizia della quale il soggetto si riappropria potrebbe essere anche vergognosa o comunque tale da far sorgere il legittimo desiderio del silenzio. Una notizia che rivestiva un interesse pubblico in un certo contesto non necessariamente continua a poter essere divulgata con tutti i suoi riferimenti personali quando il lungo tempo trascorso ha reso ormai inesistente quell'interesse.

Concludendo, in tema di rapporti tra il diritto alla riservatezza (nella sua particolare connotazione del cosiddetto diritto all'oblio) e il diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, ferma restando la libertà della scelta editoriale in ordine a tale rievocazione, che è espressione della libertà di stampa e di informazione protetta e garantita dall'articolo 21 della Costituzione, deve essere valutato l'interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. Tale menzione deve ritenersi lecita solo nell'ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito; in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell'onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva (specie se il soggetto coinvolto nella vicenda rievocata ha scontato la pena detentiva, reinserendosi poi positivamente nel contesto sociale).

Il contenuto di questo articolo è un estratto della sentenza 19681/2019 pubblicata dai giudici della Corte di cassazione a sezioni unite civili.

16 Agosto 2019 · Patrizio Oliva




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