La panoramica completa sui diritti reali immobiliari » Differenze analogie e gradi di pignorabilità per uso abitazione ed usufrutto

La panoramica completa sui diritti reali immobiliari » Differenze analogie e gradi di pignorabilità per uso abitazione ed usufrutto

Nell'articolo che segue, forniremo un'ampia panoramica su tutto ciò che concerne i diritti reali immobiliari: dai comuni diritti d'abitazione ed uso fino all'usufrutto.

Come noto, i diritti reali immobiliari si caratterizzano per il loro rapporto diretto, non mediato, con la cosa che ne forma oggetto.

Dunque, i diritti reali immobiliari si caratterizzano sempre anche e soprattutto per la loro coesistenza con il diritto di proprietà, che vanno a limitare, a comprimere più o meno ampiamente.

I diritti di usufrutto, uso e abitazione sono diritti reali che attribuiscono al loro titolare, a seconda del contenuto del diritto, la facoltà di usare e, salvo per il diritto di abitazione, di far propri i frutti della cosa medesima.

Ma quali sono differenze e analogie tra questi diritti. Qual è il loro grado di pignorabilità?

Scopriamolo nel prosieguo dell'articolo.

Che cos'è e come funziona il diritto immobiliare di uso

Il diritto d’uso è un diritto immobiliare reale temporale, la cui disciplina si avvicina molto a quella dell’usufrutto, tranne per alcune differenze sostanziali: vediamo quali sono.

Innanzitutto, è bene chiarire in questo ambito:

  1. l’usuario può godere di una cosa altrui, raccogliendone i frutti nel limite dei suoi bisogni e di quelli della sua famiglia;
  2. il diritto d’uso non può essere ceduto né dato in locazione

Dunque, nel dettaglio, il diritto d’uso si caratterizza per il fatto che il suo titolare può servirsi della cosa che ne è oggetto e può anche raccoglierne gli eventuali frutti, ma con il limite di quanto strettamente necessario ai bisogni suoi e della propria famiglia, da valutarsi in relazione alla sua condizione.

L'usuario, non deve necessariamente essere una persona fisica, può anche essere un ente collettivo dotato di autonoma soggettività giuridica, sia con personalità giuridica riconosciuta, che senza (pensiamo, ad esempio, ad un'associazione).

In tal caso, ovviamente, il diritto d'uso non può durare oltre 30 anni.

Quanto ai bisogni, la Suprema Corte precisa che il peculiare limite quantitativo rappresentato dai bisogni del titolare e della sua famiglia va riferito non all'uso della cosa ma al percepimento dei frutti.

Per valutare quali siano i bisogni rilevanti, pare preferibile un'interpretazione estensiva per cui risulta apprezzabile ogni necessità, sia materiale che non, che possa essere appagata con i frutti del bene.

Qualora l'usuario sia un ente o una realtà associativa, potremmo ipotizzare che i bisogni corrispondano agli scopi istituzionali previsti dallo statuto.

Su questo fronte non mancano ovviamente tesi giurisprudenziali contrarie, secondo le quali la costituzione di un diritto d'uso a favore di una persona giuridica può avere ad oggetto solo beni infruttiferi, poiché diversamente, stante l'impossibilità di limitare i bisogni dell'ente, il percepimento di frutti senza limite di fabbisogno andrebbe qualificato come usufrutto.

Sono comunque, tesi giurisprudenziali: anche il diritto d'uso rientra nella categoria dei diritti reali di godimento tutelabili erga omnes.

Il diritto immobiliare di usufrutto

Il diritto di usufrutto, disciplinato dal codice civile agli articoli 978 e seguenti, è il diritto reale che consente di utilizzare una cosa altrui e di trarne i frutti, col vincolo del rispetto della destinazione economica della cosa oggetto del diritto.

In questo ambito, il soggetto proprietario del bene concesso in usufrutto viene definito nudo proprietario: viene spogliato dei poteri di godere e utilizzare la cosa oggetto di usufrutto, ma conserva la capacità di disporre della stessa, pertanto può ad esempio venderla, fermo restando che la stessa resta gravata dall'usufrutto fino alla scadenza del medesimo.

È per sua natura un diritto temporaneo: solo così la nuda proprietà conserva un significato e un valore economico.

Se è costituito a favore di una persona fisica non può eccedere la vita dell'usufruttuario, mentre se è a favore di una persona giuridica, non può durare più di trent'anni.

Dunque, nel dettaglio, l’usufrutto consente di godere di un immobile, facendone propri i frutti sia naturali che civili e con l’obbligo di rispettarne la destinazione economica, ovverosia di non mutarne il carattere e la natura.

Da notare che se l’usufruttuario cede il suo diritto, la durata non potrà comunque eccedere la durata della vita del cedente.

Il diritto di abitazione

Il diritto di abitazione, disciplinato dall'articolo 1022 codice civile, consiste nella facoltà di un soggetto di abitare un immobile altrui nel limite dei suoi bisogni e di quelli della sua famiglia.

È di tutta evidenza che il diritto di abitazione appare ancora più limitato rispetto all'uso, poiché può riguardare esclusivamente la casa di abitazione: ne deriva, pertanto, che il soggetto titolare del diritto stesso non può che essere una persona fisica.

Quanto al concetto dei bisogni, è evidente che anche in tal caso si debba optare per una interpretazione estensiva (ogni necessità sia materiale che non), da valutare, in tal caso, non in relazione ai frutti del bene, bensì all'oggetto stesso del diritto, cioè l'immobile.

Al pari dell'uso, anche il diritto di abitazione non può essere ceduto né dato in locazione.

Per il resto si applicano le disposizioni relative all'usufrutto, in quanto compatibili.

Anche il diritto di abitazione rientra nella categoria dei diritti reali di godimento, tutelabili.

Dunque, nel dettaglio il diritto di abitazione,attribuisce al suo titolare il diritto di abitare una casa, anche in questo caso nei limiti dei bisogni suoi e della sua famiglia.

Comunque, il divieto di cessione del diritto di abitazione o di concederlo in locazione a terzi (sancito dall'articolo 1024 del codice civile) comporta che il titolare di tale diritto può utilizzare l’immobile che ne costituisce l’oggetto soltanto abitandovi personalmente con la propria famiglia.

Tale limitazione differenzia sostanzialmente il diritto di abitazione da quello d’uso, il cui titolare, invece, può utilizzare il bene che ne costituisce oggetto anche per finalità diverse da quelle dell’abitazione, come ad esempio per deposito o per uso ad ufficio riguardante la sua attività imprenditoriale.

L’ambito della famiglia, cosi' come delineata dal codice civile (articolo 1023) include, tra l’altro, anche i figli nati dopo che e' cominciato il diritto di abitazione e le persone che convivono con il titolare del diritto di abitazione per prestare a lui o alla sua famiglia i loro servizi.

Tale disposizione ha quindi inteso fare anche riferimento da un lato alla possibile variazione nel tempo del numero dei componenti della famiglia di colui che detiene il diritto di abitazione, e dall'altro alle mutevoli esigenze di quest’ultimo e/o dei suoi familiari, sotto il profilo della possibile insorgenza del bisogno di avvalersi delle prestazioni di collaborazione di natura domestica ed anche assistenziale da parte di terzi conviventi nella casa oggetto del diritto di abitazione in un periodo successivo a quello in cui ha avuto inizio l’esercizio di tale diritto.

E’ pertanto evidente come il diritto di abitazione tuteli espressamente anche eventuali bisogni crescenti ed aggiuntivi del titolare rispetto a quelli sussistenti nel tempo in cui che egli ha iniziato ad abitare la casa oggetto del diritto in questione: per cui il diritto di abitazione si rivela incompatibile con una configurazione di esso limitato quantitativamente ai concreti bisogni come verificabili al momento iniziale dell’esercizio del diritto.

Il diritto di abitazione, inoltre, cosi' come più volte precisato dalla giurisprudenza di legittimità, si estende sia a tutto ciò che concorre ad integrare la casa che ne e' oggetto, sotto forma di accessorio o pertinenza (balconi, verande, giardino, rimessa, ecc.), giacché l’abitazione non e' costituita soltanto dai vani abitabili, ma anche da tutto quanto ne rappresenta la parte accessoria.

La pignorabilità e non dei diritti reali immobiliari in linea generale

I diritti reali immobiliari, quali uso, abitazione ed usufrutto, sono pignorabili? Vediamo se, come e quando nel prosieguo del paragrafo.

Per cominciare, va detto che l’usufrutto è un diritto pignorabile e, quindi, aggredibile dai creditori del proprio titolare nonostante la nuda proprietà appartenga a un soggetto estraneo al debito.

Infatti, possono essere oggetto di pignoramento tutti i diritti reali immobiliari che sono alienabili.

In ogni caso, permane la temporaneità del diritto, che, in caso di usufrutto vitalizio, coincide comunque con la vita dell’originario titolare sottoposto a procedura esecutiva e non del nuovo titolare, che quindi potrà veder estinto il diritto ottenuto a soddisfacimento del credito dopo brevissimo tempo in caso di età avanzata del debitore.

Al contrario di quanto avviene per l’usufrutto, il diritto di abitazione, invece, non è pignorabile.

La giurisprudenza prevalente, infatti, ritiene che in ragione della sua funzione di assolvere ad esigenze di natura familiare e del suo carattere personalissimo, ma soprattutto in considerazione del fatto che esso non è autonomamente trasferibile, tale diritto non possa essere oggetto di pignoramento.

In virtù delle medesime considerazioni, l'impignorabilità deve estendersi anche al diritto d’uso.

Del resto, i diritti di uso e di abitazione sono del tutto ignorati sia dall'articolo 2810 c.c., che stabilisce quali siano i beni oggetto di ipoteca, che dagli articoli 2814, 2815 e 2816 c.c., che disciplinano l’ipoteca.

Con particolare riferimento al diritto di abitazione, va detto, viene spesso posta la questione di cosa accada se venga pignorato l’immobile sul quale esso grava.

In tal caso assume rilevanza fondamentale indagare se l’atto costitutivo del diritto di abitazione sia stato trascritto antecedentemente o successivamente la trascrizione del pignoramento: solo nel primo caso, infatti, il diritto reale di abitazione potrà essere validamente opposto ai creditori.

Comunque, nei capitoli successivi, affronteremo la questione della pignorabilità più nel dettaglio.

Il pignoramento del diritto di usufrutto

Tutto ciò che un debitore deve conoscere sulla reale possibilità del pignoramento del diritto di usufrutto: facciamo un po' di chiarezza.

Come accennato, l'usufrutto è un diritto, quantificabile in valore e come tale pignorabile in caso di insolvenza debitoria.

Il calcolo avviene sulla base del valore catastale dell'immobile e su tabelle attuariali.

Se parliamo di usufrutto vitalizio, il suo valore si calcola applicando un determinato coefficiente (relativo all'età dell'usufruttuario) - che tiene anche conto del saggio legale d'interesse - al valore catastale aggiornato della piena proprietà del bene.

Ad esempio dato 200.000 Euro il valore della piena proprietà e in 51 gli anni dell'usufruttuario, si ha che:

- l'usufrutto vale: 200.000 x 23% = 46.000 Euro
- la nuda proprietà vale (specularmente): 154.000 Euro

Inoltre, l'articolo 555 codice di procedura civile, che disciplina la forma del pignoramento, fa espressamente riferimento, non solo ai beni immobili, ma anche ai diritti immobiliari; prescrive, infatti, che l’atto di pignoramento deve indicare esattamente i beni ed i diritti immobiliari che si intendono sottoporre ad esecuzione.

All’esecuzione immobiliare risultano, pertanto, assoggettati, per espressa previsione normativa, non solo il diritto di proprietà del debitore su determinati beni immobili, ma anche il diritto di usufrutto.

Come stabilito dall'articolo 979 del codice civile la durata dell'usufrutto non può eccedere la vita dell'usufruttuario.

Il valore dell'usufrutto vitalizio dipende dalle probabilità di sopravvivenza dell'usufruttuario, e quindi non è influenzato dalla variazione del tasso legale. L'usufrutto vitalizio, infatti, vale tanto più quanto l'usufruttuario è giovane, e il suo valore si calcola sulla base di tabelle statistiche sulla durata media della vita. L’usufrutto a tempo determinato, invece, viene determinato proprio in base all'interesse legale. Si tratta infatti di stabilire il valore di un capitale che rende un interesse per un determinato numero di anni. Dal confronto tra le rispettive tabelle si può stabilire quando è più conveniente costituire un usufrutto vitalizio o un usufrutto a tempo determinato.

Tra le facoltà concesse all'usufruttuario, peraltro, meritano di essere menzionate quella di locare il bene, di concedere ipoteca su di esso (ma non anche di costituire servitù a carico del fondo), nonché di cedere il proprio diritto per un tempo determinato o perfino sine die (sempre fermo restando il limite della vita dell'originario usufruttuario, essendo vietata la disposizione dell'usufrutto “mortis causa”).

Per quanto concerne la sorte dei diritti personali di godimento che l’usufruttuario abbia eventualmente fatto nascere sul bene, in linea di massima essi vengono meno contestualmente all'estinzione dell'usufrutto. Una eccezione degna di nota, tuttavia, è rappresentata dal contratto di locazione: per tutelare le legittime aspettative ed esigenze del locatario, l’articolo 999 del codice civile prevede che i rapporti in corso di esecuzione alla cessazione dell'usufrutto, a patto che risultino da atto pubblico o scrittura privata avente data certa anteriore, continuano per la durata stabilita dal contratto di locazione, fino a un termine massimo di cinque anni (sul punto, si veda, tra le altre, Cass. Civ., sentenza numero 3457/1969).

La durata dell'usufrutto vitalizio, sarà ancorata non già alla vita dell'usufruttuario assegnatario ma alla vita del debitore sottoposto ad esecuzione, consolidandosi il diritto di proprietà in capo al nudo proprietario dopo il decesso del debitore sottoposto ad esecuzione.

Il pignoramento del diritto di usufrutto nel caso in cui il debitore sia nudo proprietario e quando usufruttuario

Nel caso di pignoramento del diritto di proprietà ove risulti che il debitore è nudo proprietario si procede ugualmente alla vendita forzata del diritto di proprietà, il quale risulterà gravato del diritto reale di godimento.

Oggetto della vendita forzata è, cioè, il medesimo diritto pignorato, con la particolarità che il diritto non sarà esercitatile in tutto il suo normale contenuto per la presenza del diritto di usufrutto fatto valere dal terzo sul bene (a meno che non si tratti di diritto di usufrutto costituito su cosa ipotecata, nel qual caso il diritto si estingue con l’espropriazione del bene ai sensi dell'articolo 2812 del codice civile, con facoltà del titolare di far valere le proprie ragioni sul ricavato con preferenza rispetto alle ipoteche iscritte posteriormente alla trascrizione del diritto).

Nel caso invece risulti che il debitore è titolare del diritto di usufrutto, non si può procedere alla vendita forzata perché il diritto pignorato non corrisponde a quello oggetto di vendita. Non è possibile cioè che l'esecuzione forzata prosegua nei limiti dell'usufrutto attesa la diversità dal diritto oggetto di pignoramento.

Non è compresa, si noti, nell'usufrutto la facoltà di disporre, che è invece il contenuto della nuda proprietà, circostanza quest'ultima a conferma dell'identità sul piano formale di diritto di proprietà e nuda proprietà, salva l'incidenza sul piano del libero godimento dell'usufrutto.

Una decisiva conferma dei rilievi che precedono è nella disciplina della vendita consensuale del diritto di proprietà. Ove il venditore sia nudo proprietario si verifica comunque il trasferimento della proprietà, ma la fattispecie resta disciplinata dall'articolo 1489 del codice civile data la presenza del diritto di usufrutto vantato dal terzo. Se invece il venditore sia semplice usufruttuario non si realizza il trasferimento della proprietà in quanto il contratto, integrante una vendita di cosa altrui (articolo 1478-1481 del codice civile), ha efficacia puramente obbligatoria.

Insomma, L’usufrutto oggetto di esecuzione forzata non è divisibile dalla nuda proprietà. Alla fattispecie non sono applicabili neppure per analogia le norme sulla divisione.

Il pignoramento e l'espropriazione nell'ambito del diritto immobiliare di abitazione

Affrontiamo ora la tematica del pignoramento e l'espropriazione nell'ambito del diritto immobiliare di abitazione.

Come accennato precedentemente, il diritto di abitazione può essere conseguito:

  1. mortis causa (ex articolo 540 del codice civile) dal coniuge superstite;
  2. con provvedimento di assegnazione della casa coniugale, nelle situazioni di crisi del rapporto coniugale;
  3. per contratto, soggetto a trascrizione (ex articolo 2643, comma primo numero 4, del codice civile).

Pignoramento ed espropriazione dell'immobile gravato da diritto di abitazione acquisito dopo iscrizione di ipoteca

La soluzione delle diverse questioni che riguardano, in particolare, le modalità espropriative del bene gravato da diritto di abitazione e la tutela del credito ipotecario fondano sul primo comma dell'articolo 2812 del codice civile Le servitù di cui sia stata trascritta la costituzione dopo l'iscrizione dell'ipoteca non sono opponibili al creditore ipotecario, il quale può vendere la cosa come libera. La stessa disposizione si applica per i diritti di usufrutto, di uso e di abitazione.

Dunque il diritto di abitazione sarà destinato a gravare il bene solo verso i creditori del proprietario che abbiano trascritto ipoteca successivamente alla trascrizione del diritto di abitazione.

Il diritto di abitazione non è suscettibile di autonoma espropriazione

Il codice civile dispone che il diritto di abitazione non può essere ceduto o concesso in locazione ed ignora il diritto di abitazione laddove individua i beni oggetto di ipoteca.

Alla non suscettibilità di iscrizione ipotecaria consegue che il diritto di abitazione non può essere oggetto di sequestro o di pignoramento.

E, dunque, il creditore non può sottoporre ad espropriazione forzata il diritto di abitazione di cui è titolare il proprio debitore.

Il bene gravato dal diritto di abitazione può essere espropriato

Il creditore del proprietario di un bene su cui gravi un diritto di abitazione può sempre procedere coattivamente nei suoi confronti pignorando la proprietà del bene.

Se la costituzione del diritto di abitazione è stata trascritta in data successiva all'iscrizione ipotecaria, il creditore ipotecario anteriore potrà vendere la proprietà del bene come libera da vincoli.

Qualora, invece, la costituzione del diritto di abitazione è stata trascritta in data anteriore all'iscrizione ipotecaria, il creditore potrà vendere la proprietà del bene, ma gravata dal diritto di abitazione.

9 Novembre 2015 · Andrea Ricciardi


Commenti e domande

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2 risposte a “La panoramica completa sui diritti reali immobiliari » Differenze analogie e gradi di pignorabilità per uso abitazione ed usufrutto”

  1. Anonimo ha detto:

    Se il debitore ha diritto di abitazione su un immobile intestato al figlio con usufrutto a terzi. L’ usufruttuario può subire pignoramento ? Anche se il debitore non è l’usufruttuario?

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