Debiti con il fisco – La vendita simulata di un bene del debitore non sempre configura un reato tributario

In base alle norme vigenti è' punito con la reclusione chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.

E' evidente che l'alienazione simulata o il compimento di altri atti fraudolenti, idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva nei quali la condotta sanzionata consiste, devono essere finalizzati alla sottrazione al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte.

Ed allora, una condotta il cui risultato economico fosse destinato ad andare, anziché a detrimento, addirittura a beneficio dell'Erario, non potrebbe dirsi accompagnata dal dolo specifico, indipendentemente dal fatto che le imposte in tal modo pagate fossero quelle per le quali sia eventualmente pendente un'azione di riscossione o altre.

Ne consegue che, a fronte di tale principio, il comportamento del debitore integra un reato se, e solo se, la vendita simulata del bene è posta in essere per un valore inferiore a quello reale: solo così, infatti, pur in presenza di un versamento del corrispettivo ricavato al fine di pagare un debito tributario, potrebbe in astratto ritenersi ugualmente perseguita la finalità di ledere le legittime aspettative del fisco ovviamente volte ad incamerare l'effettivo valore del bene compravenduto.

Così hanno ragionato i giudici della Corte suprema scrivendo la sentenza 27143/15.

2 Luglio 2015 · Tullio Solinas


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