Contratto di comodato di immobile destinato ad abitazione familiare e successiva assegnazione giudiziale al coniuge non comodatario
Contratto di comodato precario e non precario - Ambiti di applicazione e problemi di interpretazione
Secondo il codice civile, il comodatario è obbligato a restituire il bene concessogli in comodato alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando egli abbia cessato di servirsene in conformità per gli scopi previsti dal contratto. Quando sopravviene una urgente ed imprevista esigenza, il comodante può esigere la restituzione immediata del bene.
Nel caso in cui non sia stato concordato un termine, né questo risulti desumibile dall'uso a cui il bene doveva essere destinato, invece, l'istituto viene definito come comodato precario.
Quando il bene è concesso in comodato precario, il comodatario è tenuto a restituirlo appena il comodante lo richiede.
Capita spesso che il bene, destinato ad abitazione familiare, sia concesso in comodato ad uno dei coniugi ed ancora più spesso capita che il giudice, in sede di procedimento di separazione personale dei coniugi, assegni al coniuge non comodatario il diritto di abitazione sul bene concesso in comodato. In un tale contesto, il comodante, terzo rispetto ai coniugi, si vede costretto a subire una situazione destinata a durare indefinitamente nel tempo che si traduce in una sostanziale espropriazione della facoltà di rientrare in possesso del bene concesso in comodato.
Il comodante, in pratica, pur non essendo tenuto, a differenza del coniuge comodatario, a rispettare la solidarietà post coniugale in ragione della tutela costituzionale dell’istituto familiare, si vede coinvolto e partecipe, suo malgrado in qualità di terzo, nel rispetto di tale obbligo.
Quando il bene concesso in comodato viene assegnato al coniuge non comodatario in sede di separazione personale
Le sezioni unite della Corte di Cassazione, in riferimento allo scenario appena individuato, hanno tentato di definire, con il dispositivo della sentenza 20448/14, quando e come insorga il vincolo di destinazione a casa familiare, quale sia il momento di cessazione di esso, quale sia il regime di opponibilità al comodante e come sia connotata la posizione giuridica del coniuge non comodatario e dei figli.
I giudici di legittimità hanno ribadito che, nell'ipotesi di concessione in comodato da parte di un terzo di un bene immobile di sua proprietà destinato a casa familiare, il successivo provvedimento di assegnazione in favore del coniuge non comodatario ed affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, emesso nel giudizio di separazione o di divorzio, non modifica la natura ed il contenuto del titolo di godimento sull'immobile. Esso determina una concentrazione, nella persona dell’assegnatario, di detto titolo di godimento, che resta regolato dalla disciplina del comodato, con la conseguenza che il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l'ipotesi di sopravvenienza dell'urgente ed imprevisto bisogno contemplato dal codice civile.
D'altra parte, la specificità della destinazione del bene concesso in comodato e successivamente assegnato dal giudice, in sede di separazione personale, al coniuge non comodatario non risulta incompatibile con un godimento contrassegnato dalla provvisorità e dall’incertezza, che caratterizzano il comodato cosiddetto precario, e che legittimano la cessazione del rapporto su iniziativa del comodante, con la conseguenza che questi, in caso di godimento concesso a tempo indeterminato, è tenuto a consentirne la continuazione anche oltre l’eventuale crisi coniugale, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno.
Opponibilità al comodante del provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare
Per quanto attiene gli aspetti di opponibilità al comodante, inteso come terzo, degli atti conseguenti alla separazione personale dei coniugi, i giudici hanno precisato che, affinché l’assegnatario possa opporre al comodante, che chieda il rilascio dell’immobile, l’esistenza di un provvedimento di assegnazione della casa familiare, è necessario che fra comodante e comodatario sia stato in precedenza costituito un contratto di comodato che abbia contemplato la destinazione del bene quale casa familiare senza altri limiti o pattuizioni. In relazione a questa destinazione, qualora non sia stata fissata espressamente una data di scadenza, il termine è desumibile dall'uso per il quale la cosa è stata consegnata e quindi dalla destinazione a casa familiare, applicandosi in questo caso le regole che disciplinano questo istituto.
Dunque, solo nel caso di comodato precario, connotato dalla mancata pattuizione di un termine e dalla impossibilità di desumerlo dall'uso cui doveva essere destinata la cosa, che è consentito di richiedere il rilascio al comodatario.
Invece, quando si tratti di comodato non precario, sorto cioè con la consegna del bene per un tempo determinato o per un uso che consente di stabilirne la scadenza contrattuale, il comodante può esigere la restituzione immediata del bene solo in caso di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno. È a questa tipologia contrattuale che va ricondotto il comodato di immobile che sia stato pattuito per la destinazione di esso a soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario, da intendersi in tal caso anche nelle sue potenzialità di espansione. Se il contratto ancorava la durata del comodato alla famiglia del comodatario, corrisponde a diritto che esso perduri fino al venir meno delle esigenze della famiglia.
Contratto di comodato precario e non - Le conclusioni dei giudici di legittimità
Concludono i giudici delle sezioni unite che la giurisprudenza della Corte di cassazione non ha mai affermato il principio secondo il quale ogniqualvolta un immobile venga concesso in comodato con destinazione abitativa, si debba immancabilmente riconoscergli durata pari alle esigenze della famiglia del comodatario, ancorché disgregata.
Il coniuge separato con cui sia convivente la prole minorenne o non autosufficiente, che opponga alla richiesta di rilascio la esistenza di un comodato di casa familiare con scadenza non prefissata, ha l’onere di provare che tale era la pattuizione attributiva del diritto personale di godimento. Spetta invece al comodante che invoca la cessazione del comodato per il raggiungimento del termine prefissato, dimostrare il relativo presupposto.
Mio marito ha un debito per risarcimento danni con un privato di 20.000 euro. Non può pagare il suo debito in quanto non disponiamo di denaro. La casa è intestata al 50% e abbiamo la separazione dei beni. Il creditore non ha ancora fatto nulla per avere il suo credito. La mia domanda è se mio marito dona a titolo gratuito la sua quota a me, prima degli atti di pignoramento possiamo essere tutelati da qualsiasi azione. Mi riferisco alla sentenza della cassazione n.38099 del 2009. E’ in vigore?
Nella sentenza da lei citata (valida in quanto tutte le sentenze della Corte di cassazione formano giurisprudenza) si stabilisce che non è punibile penalmente, per sottrazione di beni sottoposti a pignoramento, chi dona l’immobile di proprietà quando non gli è stato ancora notificato l’atto di pignoramento.
Il che significa semplicemente che suo marito, donando a lei il 50% dell’immobile, prima che esso venga eventualmente sottoposto a pignoramento, non rischia la galera.
Tuttavia, il creditore/danneggiato avrebbe vita facile a promuovere azione revocatoria dell’atto di donazione, seppur registrato prima della data di notifica di un eventuale pignoramento, in quanto atto pregiudizievole al rimborso del credito acquisito con sentenza passata in giudicato. L’accoglimento dell’istanza di revoca dell’atto di donazione renderebbe quest’ultimo inefficace nei confronti del creditore, che, di conseguenza, potrebbe aggredire la quota di proprietà di suo marito relativa all’immobile.
L’unica soluzione, a problematiche come quella che la coinvolge, consiste nel vendere l’intero immobile a terzi (non parenti o affini) ad un prezzo di mercato, con documentato e tracciabile passaggio di denaro dall’acquirente al venditore e con l’ulteriore vincolo che il terzo elegga l’immobile acquistato a propria abitazione principale (in pratica in esse devono risiedere il terzo o i suoi parenti più stretti).
Solo così l’atto di trasferimento del bene è tutelato da una azione revocatoria promossa dal creditore.