Controversie su conti correnti tra istituto di credito e clienti » Le decisioni più interessanti adottate dall’Arbitro Bancario Finanziario

Controversie su conti correnti tra istituto di credito e clienti » Le decisioni più interessanti adottate dall'Arbitro Bancario Finanziario

Nell'articolo che segue forniremo una rassegna sulle decisioni più interessanti prese dall'Arbitro Bancario Finanziario (d'ora in avanti ABF) in materia di contenziosi tra istituti di credito (banche) e clienti (correntisti) su vicende legate ai conti correnti.

Come noto, l'Arbitro Bancario Finanziario (ABF) è un organismo indipendente ed imparziale, istituito con la legge 262/2005 e sostenuto dalla Banca d'Italia, rivolto a garantire una risoluzione stragiudiziale delle controversie che possono sorgere tra i clienti e le banche, in tempi rapidi e con costi minimi.

Così, si possono appianare controversie senza ricorrere al Tribunale e senza l'assistenza di un avvocato, risparmiando denaro e tempo.

L’ABF può decidere sulle controversie che riguardano conti correnti, mutui e prestiti personali:

  • fino a 100 mila euro se il cliente chiede una somma di denaro;
  • senza limiti di importo, se il cliente chiede che vengano accertati diritti, obblighi e facoltà.

Per essere più specifici, nell'articolo di oggi parleremo di problematiche relative ai conti correnti.

Problematiche tra clienti e banche su conti correnti cointestati ed eredi

In caso di conto corrente cointestato, sussiste il diritto dell'erede di uno dei cointestatari ad accedere alla documentazione bancaria? Vediamo cosa ha deciso il collegio in questa situazione.

Il Testo Unico Bancario (TUB) sancisce il diritto del cliente e di colui che gli succede a qualunque titolo a ottenere a proprie spese copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni.

Se si considera che l’erede (o il coerede) subentra nella stessa posizione del de cuius originario titolare del rapporto, all’erede non può essere eccepito il diritto alla riservatezza del terzo cointestatario, diritto che certamente non sarebbe stato oggetto di alcuna tutela nei confronti di richieste avanzate dallo stesso de cuius cointestatario del rapporto.

Infatti, il contratto di conto corrente cointestato, ancorché a firma disgiunta, ha carattere unitario, dato che è stipulato tra due parti: la banca da un lato e i correntisti cointestatari dall’altro, i quali costituiscono una sola “parte” formata da una pluralità di persone (parte soggettivamente complessa). Da un punto di vista contrattuale, dunque, quando la legge bancaria adotta il termine “cliente”, intende riferirsi non al singolo correntista che abbia compiuto una operazione, ma alla “parte” titolare del conto corrente; e pertanto, quando allude alle operazioni poste in essere dal cliente negli ultimi dieci anni, non può che riferirsi a tutti i soggetti contitolari del conto, indipendentemente da chi abbia concluso materialmente l’operazione riversata sul conto stesso, dato che i correntisti, ancorché legittimati a operare separatamente, individuano giuridicamente un unico centro di interessi, a nulla rilevando per la banca (controparte unica contrattuale) che i loro interessi possano nel corso del rapporto assumere in fatto profili conflittuali.

Dal che discende anche che, in mancanza di diverso accordo, le comunicazioni relative al rapporto devono essere fatte a ciascuno dei cointestatari, pur quando ricorre il potere di disposizione disgiuntiva, il quale attiene agli atti di esecuzione del rapporto, ma non alle comunicazioni che lo riguardano.

In altre parole, il correntista che chiede copia della documentazione inerente alle operazioni poste in essere dall’altro correntista a firma disgiunta si trova nella identica situazione in cui si troverebbe se chiedesse l’informativa documentale relativa a una operazione posta in essere da lui direttamente, ipotesi per la quale, ovviamente, non sarebbe neppure in astratto configurabile un diritto alla protezione dei dati personali del terzo con il quale il correntista abbia compiuto l’operazione attraverso la cooperazione della banca.

Analogo discorso deve valere per l’erede del cointestatario defunto che esercita il medesimo diritto di informativa, così come peraltro previsto dalle linee guida del Garante della Privacy nel trattamento dei dati relativi al rapporto banche-clientela, laddove viene precisato che il diritto di accedere alla documentazione bancaria riconosce al cliente, a colui che gli succede a qualunque titolo e a chi gli subentra nell’amministrazione dei suoi beni, il diritto di ottenere copia di atti o documenti bancari (sia che essi contengano dati personali relativi all’interessato, sia nel caso che ciò non accada). Tale diritto non prevede limitazioni all’ostensibilità delle informazioni contenute nella documentazione richiesta (ivi compresi i dati personali relativi a terzi che dovessero esservi contenuti), neanche in forma di un parziale oscuramento delle informazioni stesse.

Queste le considerazioni svolte dal collegio di coordinamento dell'Arbitro Bancario Finanziario nella decisione 5872/15.

Cosa succede quando un cliente pretende di contrarre una carta di credito dopo aver aperto un conto corrente presso una banca

La banca è obbligata a rilasciare una carta di credito associata al conto corrente di un cliente? Scopriamolo nel prosieguo del paragrafo.

A parere dell'Abf, non può considerarsi esistente, alla luce dell'attuale disciplina generale della materia, un diritto del cliente alla concessione della carta di credito, data l'indubbia autonomia decisionale da riconoscersi alla banca in ordine alla relativa erogazione sulla base di proprie valutazioni.

La valutazione della convenienza di un'operazione, quale il rilascio di una carta di credito, è demandata alla discrezionalità della banca.

Il rilascio di una carta di credito, infatti, richiede un'attenta analisi del merito creditizio del richiedente e la valutazione del così detto "merito creditizio" costituisce prerogativa dell'istituto erogante ove una conclusione diversa finirebbe per violare la libertà negoziale della banca.

Appurata la discrezionalità imprenditoriale di cui la banca dispone in materia di valutazione del merito creditizio e conseguente rilascio di una carta di credito, si può solo discutere, peraltro, se ed a quali condizioni si possa configurare un obbligo, in capo all'intermediario, di motivare adeguatamente un eventuale rifiuto di rilascio della carta di credito.

Sotto questo aspetto si può affermare che anche nell'esercizio dell'attività creditizia la discrezionalità tecnica di cui indiscutibilmente la banca dispone non può che svolgersi all'interno del perimetro segnato dai limiti di correttezza, buona fede e specifico grado di professionalità che l'ordinamento richiede.

La specificità dell’indicazione delle motivazioni di esclusione del cliente dalla possibilità di ottenere una carta di credito si presenta, allora, come profilo imprescindibile della doverosa funzione che le risposte della banca sono destinate ad assumere ai fini dell’orientamento del cliente stesso nei suoi rapporti di credito presenti e futuri.

Conseguentemente, è da ritenere indiscutibile l’attuale sussistenza di un diritto del cliente a ricevere indicazioni, anche se di carattere generale (in quanto applicazione di criteri elaborati per la generalità della clientela), ma pur sempre adeguatamente rapportate alle concrete circostanze individuali, circa le ragioni dell’eventuale diniego di rilascio della carta di credito.

I chiarimenti da fornire al cliente, insomma, lasciano ferma la insindacabilità degli orientamenti della banca in ordine alla concessione della carta di credito, la sua facoltà, cioè, di valutare ogni richiesta sulla base di criteri propri, quali le caratteristiche personali del richiedente (anche con riguardo alla sua storia creditizia) e le politiche di rischio adottate.

Queste le indicazioni fornite dal Collegio di coordinamento dell'Arbitro Bancario Finanziario nella decisione 6182/13.

Come funziona secondo l'Abf il diritto di ritenzione nel conto corrente con deposito titoli

Che cos'è il diritto di ritenzione nei contratti di conto corrente con deposito titoli? E' una clausola legittima? La banca può applicarla? Scopriamolo.

Spesso, nei contratti di conto corrente con deposito titoli, ritroviamo clausole che prevedono il diritto di ritenzione: il diritto di ritenzione consente alla banca il realizzo dei titoli depositati dal cliente quando il saldo del rapporto di conto corrente risulti negativo ed il debitore non provveda, dopo l'invito della banca, a ripianare lo scoperto. Il diritto di ritenzione si estende anche a garanzia di qualunque credito della banca che dovesse sorgere in futuro verso il cliente.

Il diritto di ritenzione, tuttavia, non attribuisce alcun potere sul bene, di cui non si acquista la proprietà, né la disponibilità, né l'uso, ma solo è in grado di indurre il debitore ad adempiere, al fine di rientrare nella disponibilità della cosa.

Giurisprudenza consolidata ha sancito, da un lato, l'impossibilità per la banca di appropriarsi dei frutti o di imputarli al soddisfacimento del proprio credito; dall'altro, ha affermato nel contempo l'obbligo di conservare integre le ragioni del debitore prevedendo in capo alla banca un generico obbligo di custodia della cosa ritenuta e, qualora questa produca frutti deteriorabili, un obbligo di raccolta e consegna degli stessi al debitore-proprietario.

E' dunque illegittimo il diritto di ritenzione se inteso ad attribuire alla banca - al ricorrere di determinate condizioni - il diritto di vendere i titoli presenti nel conto di deposito del cliente e di soddisfarsi sul netto ricavo.

Dal diritto di ritenzione discende il solo diritto a rifiutare la restituzione dovuta ma, in nessun modo ed in alcun caso eso può estendersi alla sussistenza di un diritto di vendita dei titoli.

Il diritto di vendere un bene è, infatti, una prerogativa del suo proprietario, prerogativa che eccezionalmente può essere trasferita, ma in forme limitate, a chi abbia acquistato dal proprietario un diritto reale di garanzia sul bene stesso; il diritto di ritenzione, invece, non è e non può essere un diritto reale, posto che esso si collega a, e dipende da, una posizione di mera detenzione.

Peraltro, la posizione di detenzione derivante dall'esercizio del diritto di ritenzione, è del tutto insufficiente ad attribuire il diritto di alienare, sicché le operazioni di vendita dei titoli in conto deposito del debitore, poste in essere dalla banca, configurano la fattispecie della appropriazione indebita.

D'altra parte il diritto di ritenzione, inteso ad attribuire alla banca il diritto di vendere i titoli presenti nel conto di deposito del debitore e di soddisfarsi sul netto ricavo in occasione del verificarsi di determinate circostanze, si pone in netto contrasto con quanto previsto dal Testo Unico Bancaro (TUB), il quale impone ai soggetti abilitati alla prestazione dei servizi ed attività di investimento ed accessori (tra cui quelli di custodia e amministrazione di strumenti finanziari e relativi servizi connessi) di comportarsi con correttezza e trasparenza, per servire al meglio l'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati.

Sotto il profilo indicato, i difetti della clausola in esame sono evidenti. Trasparenza, infatti, significa essenzialmente che il testo contrattuale predisposto da una parte, e proposto immodificabilmente all'altra, debba essere apprezzato anzitutto come un messaggio mediante il quale il predisponente comunica all'oblato quale sia la fattispecie che per comune consenso viene posta in essere e quali siano i suoi effetti giuridici ed economici. Ora, anche il destinatario del messaggio più provveduto non è in grado di comprendere quale sia la base giuridica del diritto a vendere i titoli attribuito dal contratto alla banca e quali siano, quindi, i limiti in cui tale diritto possa essere esercitato.

Se ne conclude che la clausola che riserva alla banca il diritto di vendere i titoli presenti nel conto di deposito del cliente, e di soddisfarsi sul netto ricavo, non può essere considerata produttiva di effetti giuridici ed è pertanto nulla.

Così, in estrema sintesi, gli arbitri del Collegio di coordinamento dell'ABF nella decisione 4808/13.

12 Novembre 2015 · Andrea Ricciardi


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