L’oscuro mondo del condominio » Dal regolamento alla ripartizione delle spese passando per l’assemblea: la guida

L'oscuro mondo del condominio » Dal regolamento alla ripartizione delle spese passando per l'assemblea: la guida

Nell'articolo che segue, forniremo un'ampia panoramica su tutto ciò che concerne il districato e oscuro mondo del condominio: dalla ripartizione delle spese tra i condomini, passando per il regolamento stesso fino all'importanza dell'assemblea.

Nel linguaggio comune si utilizza in termine condominio per indicare un edificio composto da più piani suddivisi in appartamenti.

Dal punto di vista giuridico invece, si ha un condominio quando due o più persone sono proprietarie esclusive di appartamenti, locali, negozi, uffici, ecc. in un edificio composto da più piani.

Nel condominio quindi esistono proprietà individuali e proprietà comuni.

La caratteristica del condominio è infatti che ogni condominio è proprietario esclusivo di uno o più appartamenti (o negozi, locali, uffici, ecc.) ed è al tempo stesso comproprietario insieme a tutti gli atri condomini di alcune parti comuni, come ad esempio l'ingresso, le scale, l'ascensore, il cortile, il giardino, ecc.

Il valore della proprietà delle parti comuni del condominio spettante ad ogni condomino, viene definito in millesimi sul valore totale dell'intero edificio.

Le tabelle millesimali indicano le quote di proprietà di ciascun condomino nel condominio.

Esistono, comunque, tipologie diverse di condominio.

Il condominio complesso, anche conosciuto con il nome di supercondominio o di condominio orizzontale, consiste in un una pluralità di edifici, destinati ad uso abitativo che condividono alcuni beni o servizi.

In pratica il supercondominio è un complesso immobiliare composto da più edifici, ciascuno dei quali è costituito in condominio, caratterizzato dalla presenza di cose, servizi ed aree comuni cui siano applicabili le norme sul condominio.

Se, invece, il condominio di edificio è costituito da due soli condomini (si pensi ad esempio ad una villetta bifamiliare), viene definito "piccolo condominio".

Infine, il condominio parziale si configura nel caso in cui vi sia gestione separata di un bene oggettivamente destinato al servizio e/o al godimento di una parte soltanto dell'edificio in condominio.

Tutto quello che c'è da sapere sul regolamento di condominio

Fondamentale nella vita dei condomini è, senz'altro, tutto ciò che ruota attorno al regolamento condominiale: scopriamo, nel paragrafo che segue, di cosa si tratta.

Il regolamento condominiale può essere definito come l’atto tramite il quale il condominio detta le regole per disciplinare:

  • l’uso delle cose comuni
  • la ripartizione delle spese
  • i modi di tutela del decoro dell’edificio
  • l’amministrazione
  • i diritti e gli obblighi di ciascun condomino sulle cose comuni.

L’adozione di un regolamento è obbligatoria se il numero dei condomini è superiore a 10.

Tuttavia la legge nell'imporre questo obbligo non stabilisce una sanzione per la sua mancata esecuzione e pertanto, in assenza di un regolamento, anche se obbligatorio, i rapporti tra i condomini saranno regolati dalle norme che disciplinano in generale l’uso delle cose comuni.

Il regolamento viene adottato dall’assemblea anche su iniziativa di uno solo dei condomini.

L’approvazione del regolamento si effettua con una normale delibera assembleare che deve però deve essere approvata dalla maggioranza dei presenti che rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio.

Ovviamente i condomini che non concordano con la delibera o che si sono astenuti o che erano assenti potranno proporre l’impugnazione secondo le regole ordinarie che regolano l’impugnazione delle delibere.

Il regolamento va poi inserito nel registro dei verbali e delle assemblee.

Il potere dell’assemblea di autoregolamentare la vita del condominio è molto ampio e per questo motivo le norme contenute nel regolamento prevalgono anche sulle norme di legge.

L’assemblea non può però approvare un regolamento che contrasti con le norme del codice civile che:

  • stabiliscono il divieto per ciascun condomino di rinunciare ai diritti sulle cose comuni
  • stabiliscono l’indivisibilità delle parti comuni
  • regolano le innovazioni
  • regolano la nomina e la revoca dell’amministratore
  • individuano gli obblighi e le attribuzioni dell’amministratore
  • regolano i casi di dissenso dei condomini rispetto alle liti giudiziarie
  • disciplinano la costituzione dell’assemblea e le deliberazioni
  • regolano l’impugnazione delle delibere dell’assemblea.

Se vi è contrasto tra queste norme e quelle contenute nel regolamento prevale la disposizione di legge.

Il regolamento, infine, non può comprimere i diritti di ciascun condomino che risultano dagli atti di acquisto o da altre convenzioni ne vietare di possedere o detenere animali domestici.

Si parla di regolamento contrattuale, invece, (in contrapposizione al c.d. regolamento ordinario di cui al paragrafo precedente) per indicare un regolamento condominiale che:

  • limita i diritti che i singoli condomini hanno sulle rispettive proprietà individuali o sulle parti comuni
  • amplia i poteri di uno o più condomini
  • attribuisce maggiori diritti a uno o più condomini.

A differenza del c.d. regolamento ordinario (che si approva a maggioranza) il regolamento contrattuale deve essere approvato all'unanimità.

Non è però sufficiente l’unanimità dei partecipanti all'assemblea, ma è richiesto l’accordo di tutti i condomini.

Il regolamento contrattuale, inoltre, deve sempre risultare da un atto scritto ed essere allegato ai contratti di acquisto delle singole unità immobiliari ed accettato dagli acquirenti.

La disciplina per la procedura di modifica del regolamento condominiale è differente a seconda che si tratti di un regolamento ordinario o contrattuale.

Nel caso del regolamento ordinario la legge dispone che ciascun condomino può assumere l’iniziativa per la revisione del regolamento.

In questo caso la parola passerà all'assemblea condominiale che potrà deliberare la modifica con la stessa maggioranza prevista per l’approvazione del regolamento, ovverosia la maggioranza dei presenti all'assemblea che rappresenta almeno la metà del valore dell’edificio.

Nel caso di regolamento contrattuale, invece, sarà sempre necessaria l’unanimità dei condomini.

L'assemblea condominiale e la sua importanza nel contesto del condominio

Scopriamo tutto ciò che bisogna conoscere sull'assemblea condominiale e la sua importanza nel contesto del condominio.

La cosiddetta assemblea è la riunione dove i condomini assumono le decisioni sulla gestione comune e sulle spese da effettuare, lo strumento tramite il quale i condomini possono far sentire la propria voce, discutere e deliberare.

L'assemblea provvede alla:

  • conferma amministratore ed eventuale retribuzione;
  • approvazione del preventivo di spesa annuale e del successivo consuntivo (rendiconto annuale) con relativa ripartizione tra i condomini;
  • approvazione delle opere di manutenzione straordinaria e delle innovazioni con costituzione di un fondo speciale per la copertura delle spese dei lavori (prima del 18/6/2013 non c'era alcun obbligo di costituzione del fondo).
  • Se i lavori devono essere eseguiti in base a un contratto che ne prevede il pagamento graduale in funzione del loro progressivo stato di avanzamento, il fondo può essere costituito in relazione ai singoli pagamenti dovuti.

    Riguardo alle opere straordinarie l'amministratore può' se urgenti, provvedere direttamente riferendo poi alla successiva assemblea utile.

    L'assemblea può anche autorizzare l'amministratore a partecipare ad iniziative locali (pubbliche o private) relative al miglioramento urbano e al recupero del patrimonio edilizio e della viabilità urbana che coinvolgano quindi il condominio e la zona ove esso e' ubicato.

    L'amministratore deve convocare almeno un'assemblea all'anno (ordinaria), per l'approvazione del rendiconto annuale e del conseguente riparto delle spese tra i condomini.

    Per la precisione la convocazione deve avvenire entro 180 giorni dalla redazione del rendiconto.

    L'assemblea (straordinaria) può anche essere convocata altre volte, quando l'amministratore stesso ne ravvisi la necessita' o quando ciò viene richiesto da almeno due condomini che rappresentino un sesto del valore dell'edificio (in quest'ultimo caso, se l'amministratore non provvede entro 10 giorni dalla richiesta, detti condomini possono convocare l'assemblea direttamente).

    Si ricorda anche che in caso di gravi irregolarità compiute dall'amministratore la convocazione dell'assemblea può essere richiesta anche da un solo condomino, col fine di far cessare l'irregolarità e revocare l'incarico all'amministratore.

    Questi, nel caso, può anche arrivare a far ricorso all'autorità giudiziaria.

    L'avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell'ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata (PEC), fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l'indicazione del luogo e dell'ora della riunione.

    Disposizioni particolari riguardano il caso in cui l'assemblea venga convocata per deliberare sul cambio di destinazione d'uso di una parte comune.

    E' bene sapere, inoltre, che se non vi e' amministratore l'assemblea può essere convocata su iniziativa di uno o più condomini.

    In più:

    • l'assemblea non può deliberare se non sono stati convocati tutti gli aventi diritto;
    • l'assemblea può anche svolgersi con più riunioni consecutive, fissate preventivamente dall'amministratore e specificate nell'avviso di convocazione.
    • le deliberazioni sono annullabili se non sono state rispettate le regole di convocazione dell'assemblea. Ciò su istanza dei dissenzienti, assenti o non convocati.

    Comunque, per la corretta costituzione dell'assemblea è necessaria la presenza:

    • in prima convocazione, di un numero di partecipanti che rappresenti i dei due terzi del valore dell'edificio e la maggioranza dei condomini.
    • in seconda convocazione di un numero di partecipanti che rappresenti un terzo del valore dell'edificio e un terzo dei condomini.

    La seconda convocazione non può aver luogo il giorno della prima e deve tenersi comunque entro 10 giorni dalla stessa.

    All'assemblea sono invitati a partecipare tutti i condomini, di persona o tramite rappresentante delegato.

    Chi presenzia come proprietario ha pieno diritto di voto, per chi ha altri diritti sull'unita' immobiliare il diritto di voto ha dei limiti.

    Per l'usufruttuario, per esempio, il voto e' possibile nelle questioni di ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni.

    Possono partecipare all'assemblea anche gli inquilini (conduttori in un contratto di affitto) con diritto di voto nelle delibere che riguardano la gestione del riscaldamento (o condizionamento dell'aria) e senza diritto di voto sulle delibere relative alle modifiche agli altri servizi comuni.

    Sulle rappresentanze, che hanno regole particolari nei super-condomini, e sui diritti di voto dell'usufruttuario si veda l'art.67 del regolamento attuativo del codice civile.

    In termini generali per l'approvazione delle decisioni e' necessaria la maggioranza dei presenti all'assemblea che rappresenti almeno la meta' del valore dell'edificio.

    Se si decide in seconda convocazione può bastare la maggioranza che rappresenti un terzo del valore dell'edificio.

    Tra questi casi sembrare rientrare quello della nuova competenza riconosciuta all'assemblea condominiale, a mente del quale l’assise può anche nominare, oltre all'amministratore, un consiglio di condominio composto da almeno tre condomini negli edifici di almeno dodici unità immobiliari.

    Il consiglio ha funzioni consultive e di controllo.

    In alcuni casi sono richieste maggioranze precise, a prescindere dal fatto che si decida in prima o seconda convocazione.

    Vediamo i casi più comuni:

    • nomina e revoca dell'amministratore: maggioranza dei presenti che rappresenti almeno la meta' del valore dell'edificio.
    • ricostruzione dell'edificio o riparazioni straordinarie di grossa entità: maggioranza dei presenti che rappresenti almeno la meta' del valore dell'edificio.
    • tutela delle parti comuni, ovvero deliberazione per far cessare attività che danneggiano o le stesse o incidono sulla loro destinazione d'uso: maggioranza dei presenti che rappresenti almeno la meta' del valore dell'edificio.
    • tutela delle parti comuni nei casi di installazione di impianti ad uso personale (ricezione radiotelevisiva o produzione di energia da fonti rinnovabili): l'assemblea può approvare soluzioni alternative o cautele con maggioranza dei presenti che rappresenti almeno i due terzi del valore dell'edificio.
    • innovazioni: maggioranza dei presenti che rappresenti almeno i due terzi del valore dell'edificio; se l'innovazione e' necessaria per aumentare la sicurezza dell'edificio o migliorarlo (eliminazione barriere architettoniche, installazione impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, etc.) basta la maggioranza dei presenti che rappresenti almeno la meta' del valore dell'edificio.
    • cambio di destinazione d'uso di una parte comune: quattro quinti dei condomini che rappresentino i quattro quinti del valore dell'edificio.
    • installazione di un impianto di sorveglianza sulle parti comuni: maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la meta' del valore dell'edificio.
    • divisione delle parti comuni: tutti i condomini, all'unanimità.
    • ricostruzione dell'edificio per perimento totale o superiore ai 3/4 del valore: tutti i condomini, all'unanimità.

    Le delibere dell'assemblea sono vincolanti per tutti i condomini.

    Se esse sono contrarie alla legge o al regolamento del condominio il condomino dissenziente, astenuto o assente all'assemblea può chiederne l'annullamento all'Autorità giudiziaria entro 30 giorni calcolati dalla data di deliberazione (per i dissenzienti e gli astenuti) o dalla data di comunicazione della deliberazione (per gli assenti).

    L'azione di annullamento NON sospende gli effetti della delibera a meno che ciò non sia stato disposto, dietro specifica richiesta, dal giudice.

    Gli obblighi i compiti e le funzioni dell'amministratore di condominio

    Vediamo quali sono gli obblighi i compiti e le funzioni dell'amministratore di condominio,

    La nomina di un amministratore è obbligatoria nel caso in cui le unità immobiliari costituenti il condominio siano più di otto ed appartengano a diversi proprietari.

    Nel caso in cui le unità immobiliari siano otto o meno o quando siano più di otto ma appartengano al massimo a otto proprietari diversi (cioè alcuni proprietari possiedano più di una unità immobiliare) la nomina dell'amministratore è facoltativa.

    In pratica, nel caso in cui il condominio sia composto da più di 8 condomini, la nomina dell'amministratore è obbligatoria.

    Nel caso in cui i condomini siano un numero uguale o inferiore a 8, la nomina è facoltativa.

    Ricordiamo, invece, che prima della riforma l'amministratore era obbligatorio quando i condomini erano più di 4.

    L'art.1129 del Codice Civile ("Nomina, revoca e obblighi dell'amministratore") tratta della Nomina e revoca dell'amministratore.

    La nomina dell'amministratore viene effettuata dall'assemblea dei condomini. La delibera deve essere approvata da almeno un terzo dei condomini che dispongano di almeno 500 millesimi (cioè la metà del valore dell'immobile).

    L'amministratore dura in carica un anno e viene rinnovato automaticamente per l'anno successivo, salvo una diversa disposizione da parte dell'assemblea.

    Può essere revocato in ogni momento tramite una delibera dell'assemblea approvata con la stessa maggioranza prevista per la nomina o attraverso altre modalità definite all'interno del regolamento di condominio.

    L'amministratore può essere revocato sia dall'assemblea condominiale sia dall'autorità giudiziaria (su ricorso di ciascun condomino) se:

    • non ha reso conto della sua gestione
    • ci sono fondati sospetti di irregolarità sul suo operato<(li>
    • in caso di gravi irregolarità (esempio ha omesso di convocare l'assemblea per l'approvazione del rendiconto condominiale o per informarla di provvedimenti che esulano dalle sue attribuzioni, non ha aperto il conto corrente condominiale, ecc.)

    Il nome, il domicilio e i recapiti dell'amministratore vengono solitamente indicati sul luogo di accesso al condominio o nell'area comune di maggior utilizzo.

    Il compenso degli amministratori di condominio può essere fissato in sede di nomina oppure in sede di approvazione del rendiconto annuale.

    Nel momento in cui l'amministratore accetta la nomina o il rinnovo della sua carica, deve specificare analiticamente quale sarà l'importo del suo compenso per l'attività svolta. Se non lo fa, la sua nomina è nulla.

    Dopo la riforma i requisiti necessari per poter svolgere il ruolo di amministratore di condominio sono:

    • godere dei diritti civili
    • non essere mai stati condannati per delitti contro la pubblica amministrazione, l'amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio o altri delitti non colposo per cui è prevista una pena da due a cinque anninon essere mai stati sottoposti a misure di prevenzione definitive (a meno che non ci sia stata la riabilitazione)
    • non essere interdetti o inabilitati
    • non essere inseriti nell'elenco dei protesti cambiari
    • avere il diploma di scuola secondaria di secondo grado
    • avere frequentato uno specifico corso di formazione per amministratori e svolgere periodicamente attività di formazione

    Gli ultimi due punti non sono obbligatori nel caso in cui il ruolo di amministratore sia svolto da uno dei condomini.

    L'attività di amministratore di condominio può essere svolta da:

    • professionista titolare di partita Iva che svolge l'attività in maniera principale e genera reddito di lavoro autonomo
    • professionista titolare di partita Iva che svolge l'attività in maniera secondaria (ad esempio un geometra che, oltre al suo lavoro, esercita anche l'attività di amministrazione condominiale) e genera reddito di lavoro autonomo
    • privato persona fisica (ad esempio un condomino che si occupa della gestione dello stabile in cui vive) che svolge l'attività con retribuzione periodica e genera reddito assimilato a quello di lavoro dipendente
    • società di persone o di capitali che sono incaricate dell'amministrazione del condominio e generano reddito di impresa.

    Pertanto, l'incarico di amministratore di condominio può essere assunto indifferentemente da una persona fisica, una società di persone o una società di capitali in quanto non è necessaria l'iscrizione ad alcun albo, ruolo od elenco professionale.

    Per esercitare le funzioni di amministratore di condominio non serve una laurea, basta possedere il diploma di scuola media superiore ed aver frequentato un corso di formazione iniziale per amministratori condominiali.

    Il Decreto Ministero della Giustizia n.140 del 13 agosto 2014 ha stabilito le norme per quanto riguarda i corsi di formazione e di aggiornamento per gli amministratori condominiali.

    Inoltre, esistono dei corsi di formazione organizzati dalle associazioni di categoria autorizzate, come ad esempio Anaci, Anaip, Anammi, Appc/Alac, Fna, che consentono di ottenere una formazione specifica per fare l'amministratore condominiale.

    Al contrario, nonostante la riforma, non esiste ancora un albo nazionale degli amministratori. Non esistono neanche degli elenchi generali a livello di comune, provincia o regione.

    Per quanto riguarda gli obblighi e compiti dell'amministratore di condominio, secondo l'articolo 1130 c.c. l'amministratore deve:

    • fare rispettare il regolamento condominiale
    • eseguire le deliberazioni dell'assemblea dei condomini
    • convocare ogni anno l'assemblea per approvare il rendiconto condominiale
    • disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell'interesse comune di tutti i condomini
    • riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni
    • compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio
    • eseguire tutti gli adempimenti fiscali
    • tenere e curare il registro di anagrafe condominiale
    • curare la tenuta del registro dei verbali delle assemblee, del registro di nomina e revoca dell'amministratore e del registro di contabilità
    • conservare tutta la documentazione riguardante la propria gestione
    • fornire ai condòmini che ne facciano richiesta, lo stato dei pagamenti effettuati o da effettuare
    • redigere il rendiconto condominiale annuale

    Siccome il condominio è obbligato ad avere un proprio codice fiscale, questo deve essere richiesto dall'amministratore all'ufficio dell'Agenzia delle Entrate competente per territorio presentando, oltre ai suoi dati personali, anche il verbale dell'assemblea da cui si evince la sua nomina.

    Focus sulle parti comuni del condominio: impianti innovazioni e sopraelevazioni

    All'interno di un condominio si suddividono parti comuni e non: per quanto riguarda le prime, esistono precise regole, che il buon condominio farebbe meglio a conoscere nel dettaglio.

    Le parti comuni all'interno del condominio

    Il condominio ha, per sua natura, la caratteristica per la quale all'interno del medesimo edificio coesistono beni di proprietà esclusiva del singolo condomino (tendenzialmente i singoli alloggi) e beni comuni o condominiali.

    Le parti comuni sono tutte quelle parti dell'edificio, aree ed opere di proprietà comune di tutti i proprietari dei vari appartamenti o unita' immobiliari.

    La destinazione d'uso delle parti comuni -ovvero il modo in cui si possono utilizzare, può essere cambiata per motivi di interesse comune (del condominio, concetto assai incerto visto che il condominio non è un soggetto di diritto, come può esserlo una società o un’associazione), dietro approvazione in assemblea di almeno quattro quinti dei condomini che rappresentino almeno i quattro quindi del valore dell'edificio.

    Sono ovviamente non eseguibili le modifiche che possano avere conseguenze sulla stabilita' o sicurezza dell'immobile.

    L'assemblea va convocata tramite affissione nei locali comuni di un avviso che resti visibile per almeno 30 giorni e con l'invio di una raccomandata a/r ai condomini almeno 20 giorni prima della convocazione. L'avviso deve indicare le parti comuni oggetto di modifica.

    Le violazioni della destinazione d'uso di una parte comune (ovvero gli utilizzi non regolari delle parti comuni) possono essere contestate dal condominio al singolo condomino anche arrivando in giudizio. Ciò dietro decisione dell'assemblea presa dalla maggioranza degli intervenuti che costituisca almeno la meta' del valore dell'edificio.

    Comunque, si considerano beni comuni all'interno del condominio:

    • tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, come il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate
    • le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune
    • le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche.

    L'elenco contenuto nel codice civile è, comunque, solo esemplificativo in quanto in ogni caso si devono considerare condominiali quei beni e quei servizi che per loro natura sono destinati ad essere utilizzati dal complesso dei condomini e non risultano (da altri atti) di proprietà esclusiva di qualcuno.

    I condomini devono utilizzare questi beni in modo tale da non impedire agli altri di farne l'uso che risulta dal regolamento di condominio, salva l'applicazione di regole specifiche nel caso in cui vi siano degli accordi tra i condomini stessi o dei limiti che risultano dai singoli atti di vendita (vedi la scheda sull'uso delle cose comuni e i diritti dei condomini).

    Sono sicuramente beni condominiali i muri perimetrali, i muri, cioè che hanno la funzione di delimitare verso l'esterno il fabbricato condominiale anche se non hanno funzione portante dell'intero edificio.
    Allo stesso modo la legge espressamente stabilisce che è bene comune la facciata dell'edificio.

    Ciò significa, per fare un esempio, che anche i proprietari ad esempio dei soli box interrati dovranno partecipare alle spese per un eventuale rifacimento della facciata.

    Il tetto, infine, è la struttura che ha la funzione di copertura dell'intero edificio e su questo presupposto viene inserito all'interno della categoria dei beni comuni. Lo stesso discorso vale per le altre strutture con funzione di copertura dell'intero edificio.

    Ovviamente se un tetto o una tettoia servono a coprire unicamente una porzione del fabbricato di proprietà esclusiva di un singolo condomino allora non potranno essere considerati beni condominiali.
    Si pensi ad un condominio con un cortile all'interno del quale si trova un basso fabbricato di proprietà esclusiva di un solo condomino e adibito, ad esempio, ad officina. La sua copertura ovviamente non potrà essere considerata bene condominiale e le relative spese saranno sostenute soltanto dal proprietario del basso fabbricato.

    I sottotetti e i solai che hanno caratteristiche tali, strutturali e funzionali, da essere destinati all'uso comune si considerano beni condominiali.

    Si pensi ad un sottotetto che non ha alcun accesso diretto da parte delle singole unità abitative e che contiene delle strutture o degli impianti funzionali a servizi comuni (come, ad esempio, il c.d. vaso di dilatazione dell'impianto di riscaldamento condominiale).

    Tutti questi elementi consentono di sostenere che quel sottotetto abbia le caratteristiche per essere considerato un bene comune all'interno del condominio.

    Ovviamente, per espressa disposizione legislativa, è possibile che negli atti di acquisto risulti che parti del sottotetto (o addirittura il sottotetto nel suo complesso) siano assegnate in proprietà esclusiva ad un singolo condomino.

    In linea di principio i balconi si considerano elementi del fabbricato di proprietà esclusiva dei singoli condomini che a loro volta sono proprietari dell'alloggio a cui il balcone fa riferimento.

    Tuttavia spesso i c.d. frontalini (cioè la parte della soletta del balcone che si espone verso l'esterno) dei balconi posti sulla facciata dell'edificio vengono considerati bene condominiale quando hanno rispetto alla facciata una funzione estetica e contribuiscono al decoro complessivo dell'edificio.

    Allo stesso modo si deve ragionare con riferimento alle ringhiere. Esse, infatti, hanno la funzione di consentire di utilizzare il balcone in sicurezza evitando quindi cadute. Per questo motivo, in linea di massima, le ringhiere sono da considerarsi beni di proprietà esclusiva del soggetto che è a sua volta proprietario del balcone. Se però le ringhiere per i materiali utilizzati o per le forme particolari contribuiscono all'estetica della facciata è possibile considerarli beni condominiali.

    La piattaforma del balcone, invece, viene generalmente considerata bene di proprietà esclusiva. Il discorso è però diverso se la piattaforma svolge la funzione di copertura di un bene sottostante (un altro balcone, una terrazza). In questo caso al vantaggio del proprietario della soletta (che la può utilizzare per affacciarsi) si somma quello del proprietario dell'alloggio al piano inferiore che può beneficiare di una copertura. In questi casi, allora, si ritiene che il bene sia comune tra i due soggetti.

    Per questo motivo la manutenzione della pavimentazione del balcone sarà a carico del condomino proprietario dell'alloggio al piano superiore, mentre quella del plafone (cioè della parte inferiore della soletta) sarà a carico del condomino al piano inferiore il quale, per contro, potrà utilizzare la soletta ad esempio per ancorare una copertura, delle tende piuttosto che la struttura portante di una veranda.

    Non c'è alcun dubbio circa il fatto che il cortile condominiale sia da considerare un bene comune, tranne nel caso in cui dovesse risultare (da atti di vendita) che è stato (in tutto o in parte) attribuito in proprietà esclusiva da uno dei condomini.

    Resta in ogni caso fermo il potere dell'assemblea di regolarne l'utilizzo tramite apposite prescrizioni contenute nel regolamento condominiale. Va però precisato che (salvo il caso in cui concordino tutti i condomini) queste prescrizioni non possono escludere o limitare l'utilizzo del cortile da parte di uno dei condomini.

    Il medesimo discorso vale per le aree adibite a parcheggio condominiale, il cui utilizzo (e l'eventuale assegnazione dei posti) viene generalmente disciplinato dal regolamento condominiale.

    Questi principi valgono ovviamente nell'ipotesi in cui le aree non siano di proprietà esclusiva del singolo condomino.

    È infatti frequente il caso in cui la costruzione di un edificio viene accompagnata dalla costruzione di specifiche aree di parcheggio che vengono legate alla proprietà di una singola unità immobiliare e vanno quindi a fare parte del patrimonio del proprietario dell'alloggio. Si tratta dei c.d. parcheggi pertinenziali che non rientrano nella categoria dei beni comuni al condominio.

    L'ascensore è tipicamente un servizio di natura condominiale e, pertanto, la struttura viene assegnata in comproprietà ai condomini in relazione ai rispettivi millesimi.

    Non è raro, tuttavia, che un impianto di ascensore venga installato all'interno di uno stabile che in precedenza ne era privo.

    In questi casi è possibile che non tutti i condomini vogliano o siano in grado di sostenerne la spesa (che generalmente è corposa).

    Per questi motivi, trattandosi di innovazione particolarmente onerosa che tuttavia può essere installata in modo da consentirne l'utilizzo separato in favore dei soli condomini favorevoli, i condomini contrari saranno esonerati dalle spese.

    I locali destinati al servizio di portineria compresi gli alloggi del portiere sono beni condominiali.

    Può tuttavia capitare che il servizio di portineria venga soppresso o venga comunque meno.

    In questo caso l'assemblea condominiale può decidere di modificare la destinazione d'uso dei locali con la maggioranza prevista per le modificazioni delle destinazioni d'uso e quindi con la maggioranza dei quattro quinti dei partecipanti al condominio che rappresenti i quattro quinti del valore dell’edificio.

    L'impianto di riscaldamento è un altro esempio di struttura destinata al servizio dell'intero condominio e, pertanto, deve essere considerato come un bene condominiale.

    L'eccezione a questa regola è rappresentata dalle ipotesi in cui alcuni alloggi o unità immobiliari non sia collegati e serviti dall'impianto di riscaldamento condominiale e neppure ad esso collegabili.
    In questo caso si ritiene che queste unità immobiliari non debbano essere coinvolte nelle vicende dell'impianto stesso a cui non sono comuni.

    La legge peraltro stabilisce che ciascun condomino ha il diritto di distaccarsi dall'impianto di riscaldamento comune a patto che da questo atto non derivino:

    • notevoli squilibri di funzionamento per l'impianto
    • notevoli aggravi di spese per gli altri condomini.

    Anche in questa ipotesi, peraltro, il condomino che ha proceduto al distacco deve comunque contribuire alle spese collegate all'impianto ed, in particolare, a quelle

    • di manutenzione straordinaria
    • di messa a norma
    • per la sua conservazione.

    Stabilire se le tubature di un impianto che corre all'interno o all'esterno della struttura dell'edificio è un bene di proprietà esclusiva dei singoli condomini oppure un bene condominiale ha un'importanza centrale soprattutto nelle situazioni in cui dalla rottura del tubo derivano dei danni a terzi oppure ad altri condomini.

    Si pensi alla rottura di una tubazione della quale fuoriesce acqua che produce una infiltrazione all'interno di uno degli appartamenti.

    La regola generale ormai pacificamente applicata prevede che siano da considerare condominiali le tubazioni dell'impianto principale, mentre siano da ritenere di proprietà esclusiva le diramazioni che portano il servizio all'interno delle singole unità abitative. Per questo motivo la braga, che è appunto un tubo di connessione, viene considerato un bene di proprietà esclusiva del singolo condomino.

    Quanto alle canne fumarie va fatta qualche precisazione.

    Certamente sono da considerare beni condominiali le canne fumarie (e gli altri tubi che consentono l'esalazioni dei fumi) relativi a quegli impianti che hanno essi stessi natura condominiale, come ad esempio l'impianto di riscaldamento comune.

    Tuttavia può capitare, soprattutto negli stabili molto vecchi, che siano state create delle canne fumarie per il camino di una singola unità abitativa oppure per gli scarichi di un gruppo di unità abitative.

    Nel primo caso la canna fumaria dovrà essere considerata proprietà esclusiva del condomino proprietario dell'unità abitativa in questione.

    Nel secondo caso la canna fumaria sarà in comunione tra i proprietari degli alloggi interessati.

    Occorre quindi sempre verificare se l'impianto in effetti è posto al servizio dell'intero condominio o soltanto di una parte di esso.

    La distinzione tra beni condominiali e di proprietà esclusiva è rilevante non soltanto per stabilire chi deve contribuire alle spese per la manutenzione e la riparazione; infatti è possibile che da un bene collocato all'interno di un condominio derivino dei danni a terzi.

    Per questo motivo se il danno deriva da un bene in proprietà esclusiva del singolo condomino quest'ultimo sarà tenuto al risarcimento del danno.

    Per contro se il bene è condominiale il risarcimento verrà posto a carico dell'intero condominio e, quindi, successivamente ripartito tra i singoli condomini in ragione dei rispettivi millesimi di proprietà.

    Innovazioni e sopraelevazioni

    In termini generali le innovazioni sulle parti comuni sono possibili con approvazione in assemblea da parte della maggioranza dei condomini intervenuti che rappresenti almeno i due terzi del valore dell'edificio.

    Ciò a condizione che le innovazioni non abbiano conseguente sulla sicurezza ed integrità dell'edificio e non pregiudichino l'uso delle parti comuni anche ad alcun condomino.

    Per alcune innovazioni invece e' sufficiente che la maggioranza degli intervenuti rappresenti almeno la meta' del valore dell'edificio. Esse sono:

    • gli interventi che migliorino la sicurezza e la salubrità dell'edificio o degli impianti;
    • gli interventi di eliminazione di barriere architettoniche. Per questa deliberazione, chiedendo lo stesso quorum deliberativo in prima e seconda convocazione, s’è di fatto previsto un innalzamento delle maggioranze necessarie a deliberarle rispetto a quelle previste dalla legge n. 13/89;
    • gli interventi di realizzazione di impianti di produzione di energia di cogenerazione o utilizzanti fonti naturali (eoliche, solari, etc.), sia condominiali sia su parti su cui vi sia un diritto personale reale o di uso (come i lastrici solari);
    • gli interventi di realizzazione di parcheggi condominiali;
    • gli interventi di installazione di impianti per la ricezione televisiva o per l'accesso a qualsiasi altro flusso informativo, anche da satellite o via cavo. Sono esclusi quegli impianti la cui realizzazione alteri la destinazione delle cose comuni o impedisca la loro fruizione per i condomini.

    Nei casi suddetti l'amministratore e' tenuto a convocare l'assemblea entro 30 giorni dalla richiesta dei condomini (anche solo di uno), richiesta che deve riferirsi all'intervento da realizzare fornendo dettagli sulle modalità di realizzazione proposte.

    Se l'innovazione comporta una spesa gravosa (per il bilancio condominiale) o e' voluttuaria (non strettamente necessaria), e consista in opere suscettibili ad uso separato (ovvero possa essere riservata all'utilizzo di una parte dei condomini), i condomini che non sono interessati ad essa possono non partecipare alla spesa.

    Se l'utilizzazione separata non e' possibile l'innovazione (gravosa o voluttuaria) non può essere realizzata a meno che la maggioranza dei condomini che l'ha approvata non si faccia carico delle spese.
    Resta fermo il diritto di subentrare nell'utilizzo dell’innovazione.

    Si ricorda che il condominio, al pari del soggetto individuale, può usufruire degli incentivi sull'installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili sulle parti comuni e sulla produzione di energia stessa (vedi la detrazione fiscale del 55% e gli incentivi sul solare fotovoltaico).

    La sopraelevazione, invece, può essere definita come la realizzazione di nuove strutture fabbricate o di nuovi piani al di sopra dell’ultimo piano di un edificio o del c.d. lastrico solare (ossia la superficie piana che è posta alla parte superiore del condominio e che svolge essenzialmente la funzione di copertura) e che va ad aggiungersi al complesso condominiale.

    Si tratta di una costruzione di fatto nuova che resta di proprietà del soggetto che la costruisce
    .
    Tuttavia perché si possa parlare di sopraelevazione non è necessaria la costruzione integrale di un nuovo piano dell’edificio; è, infatti, sufficiente un incremento dell’originaria volumetria.

    Si pensi al caso del proprietario dell’ultimo piano che innalzi (nel rispetto ovviamente dei regolamenti edilizi comunali) il tetto per ottenere un ultimo piano più alto per soppalcare la propria abitazione.

    Il diritto di sopraelevare è riconosciuto:

    • al proprietario dell’ultimo piano
    • al proprietario del lastrico solare.

    Ovviamente è necessario che questo diritto non venga escluso all’atto di acquisto dell’immobile (vedi la scheda sul contratto di compravendita).

    La legge, in ogni caso, vieta le sopraelevazioni quando:

    • le condizioni statiche dell’edificio non lo consentano (cioè quando l’intervento potrebbe creare un pericolo di crolli o di sicurezza per l’edificio nel suo complesso)
    • crea un danno all’aspetto architettonico dello stabile (ad esempio quando in un palazzo di pregio e di valore storico si pensi di creare un nuovo piano con materiali e forme non più disponibili)
      diminuisce notevolmente l’aria o la luce dei piani sottostanti.

    Il condomino proprietario dell’ultimo piano (o del lastrico solare) che procede ad una sopraelevazione deve pagare, come corrispettivo del suo diritto, una indennità al condominio.

    La somma da versare si calcola considerando il valore dell’area che verrà occupata con la nuova costruzione.

    Questo valore va diviso per il numero dei piani dell’edificio compreso quello da edificare mediante la sopraelevazione.

    Dalla somma che si ricava va sottratto l’importo della quota del proprietario del piano da edificare mediante sopraelevazione.

    Tutto ciò che devi conoscere sulle spese condominiali: dalla ripartizione alle tabelle millesimali

    Vi forniamo una breve guida su tutto ciò che si deve conoscere sulle spese condominiali: dalla ripartizione alle tabelle millesimali.

    Tutti i condomini hanno diritto di usufruire delle parti comuni e perciò devono contribuire alla loro gestione e conservazione in proporzione al valore dell'unità immobiliare che appartiene loro.

    Questo valore e' espresso tramite i millesimi assegnati dalla tabella millesimale, che vedremo dopo, lo strumento che consente anche la ripartizione delle spese.

    Il diritto d’uso è partitario ossia tutti possono usare le parti comuni nella stessa misura, purché ciò:

    • non rechi pregiudizio alla sicurezza alla stabilità ed al decoro dell’edificio;
    • non modifichi la destinazione d’uso delle parti oggetto dell’uso;
    • non intralci il pari diritto degli altri, intendendosi per pari diritto, il diritto potenzialmente esercitabile da ognuno).

    Tutti i condomini sono tenuti a partecipare alle spese che riguardano le parti comuni, sempre proporzionalmente alla propria "quota" di proprietà espressa in millesimi.

    In presenza di usufrutto le spese gravano sull'usufruttuario ma il nudo proprietario e' solidalmente responsabile dei pagamenti.

    In presenza di contratto di affitto e' responsabile del pagamento unicamente il proprietario, che poi potrà rifarsi per la parte non di sua competenza sull'inquilino.

    Cosi' come il condomino NON può sottrarsi ai propri diritti d'uso delle parti comuni, altrettanto non può sottrarsi al dovere di partecipare alle spese.

    C'e' un eccezione.

    RIguardo all'impianto di riscaldamento (o raffreddamento) centralizzato, il condomino può staccarsene se da ciò non derivano problemi di funzionamento dell'impianto stesso o aggravio di costi per gli altri condomini.

    Egli deve comunque continuare a contribuire alle spese di conservazione, manutenzione straordinaria e messa a norma dell'impianto.

    La divisione delle parti comuni e' possibile solo se non provoca incomodo d'uso agli altri condomini e se e' approvata da tutti i condomini.

    Spese condominiali

    Le spese condominali si dividono in ordinarie e straordinarie.

    Le spese ordinarie sono quelle relative a lavori di ordinaria manutenzione, cioè le spese da sostenere per mantenere il decoro dell'edificio.

    Le spese straordinarie sono le spese inerenti i lavori di manutenzione straordinaria da sostenere in caso di eventi eccezionali. Queste spese sono imprevedibili.

    I criteri circa la ripartizione delle spese di condominio sono previsti dal codice civile agli articoli 1123, 1124, 1125, 1126.

    Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.

    Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne.

    Il codice civile fornisce inoltre alcuni criteri per la ripartizione delle spese di condominio:

    • ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà (cioè in base alle quote millesimali di ogni condomino)
    • ripartizione in misura proporzionale all'uso potenziale (nel caso in cui i beni comuni vengano usati in misura differente dai vari condomini)
    • ripartizione in base alla destinazione esclusiva (ad esempio se un condominio ha più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire solo una parte dell'edificio, allora le spese relative sono a carico solo del gruppo di condomini che ne trae utilità).

    La modalità con cui vengono suddivise le spese condominiali può essere:

    • preventivo: l'amministratore calcola la quota annua di ciascun condomino in base al preventivo di spesa approvato dall'assemblea condominiale, dividendola in rate mensili costanti.
    • a consuntivo mensile: l'amministratore effettua la ripartizione mensile delle spese da pagare in base alle spese effettivamente sostenute nel corso del mese.

    I condomini sono obbligati a pagare le spese condominiali anche quando il loro appartamento è vuoto o inutilizzato.

    In caso di mora nel pagamento delle proprie quote di spese condominali protratta per oltre 6 mesi, l'amministratore di condomio può procedere alla sospensione dell'utilizzo dei servizi comuni (ad esempio il riscaldamento, i citofoni, ecc.) al condomino moroso.

    Le spese condominiali sono a carico di chi compra un'abitazione dal momento in cui viene sottoscritto il rogito. Inoltre l'acquirente è corresponsabile dei debiti condominiali del venditore per tutto l'anno in corso e per quello antecedente l'acquisto (non l'anno solare, ma quello previsto dal rendiconto).

    Le tabelle millesimali

    Le tabelle millesimali costituiscono il criterio di legge (ma derogabile dal regolamento di condominio che può prevederne uno diverso) a cui riferirsi per la divisione delle spese tra i condomini.

    Il valore di ogni unita' abitativa e' espresso in millesimi calcolati proporzionalmente rispetto al valore dell'intero immobile al quale viene convenzionalmente assegnato il numero 1000.

    L'approvazione, cosi come ogni modifica o rettifica delle tabelle millesimali necessita l'unanimità dell'assemblea.

    In questi termini perentori si e' espressa la legge di riforma del condominio (legge 220/2012), nonostante i precedenti diversi orientamenti della Cassazione (Cassazione sezione unite civili 18477/2010, vedi approfondimenti).

    Solo in alcuni casi la modifica o rettifica -proposta anche da un solo condomino- può essere approvata dalla maggioranza degli intervenuti all'assemblea che rappresentino almeno la meta' del valore dell'edificio:

    • se le tabelle sono frutto di un errore;
    • se i valori devono essere ricalcolati in conseguenza ad una modifica subita dall'edificio (sopraelevazione, incrementi di superfici o variazioni di unita' immobiliari) che alteri il valore delle unita' immobiliari (anche solo di una) per più di un quinto. Il costo della variazione, in questi casi, e' pagato da chi ha dato luogo alla modifica.

    Le tabelle vengono poi allegate al regolamento del condominio.

    La mediazione civile nel condominio

    Il Decreto Legge 21 giugno 2013 numero 69, meglio conosciuto come "Decreto del Fare", ha reintrodotto l'obbligo della mediazione civile e commerciale per il condominio.

    La mediazione civile obbligatoria per il condominio comporta che in caso di cause condominiali, prima di rivolgersi ad un giudice bisogna in prima istanza rivolgersi ad un mediatore civile.

    Lo scopo è quello di cercare di risolvere in "modo amichevole" e in tempi ragionevoli le controversie condominiali.

    Le liti di condominio sono infatti una fonte inesauribile di cause, che vanno a sovraccaricare il sistema della giustizia italiana.

    Basti pensare che ogni anno sono circa 15 mila i contenziosi in materia di condominio, e alcune migliaia le cause per il recupero crediti da parte degli amministratori di condominio. Secondo alcune stime sono infatti più di 5 milioni le liti condominiali non ancora risolte dalla giustizia italiana.

    In caso di conflitti tra condomini o contenziosi condominiali, il condominio dovrà rivolgersi ad un mediatore civile tra quelli accreditati dal Ministero della Giustizia. Il mediatore dovrà poi incontrare le parti in causa nel giro di 15 giorni per cercare di risolvere la questione in modo amichevole.

    Il mediatore ha infatti solo 4 mesi di tempo per cercare la conciliazione tra le parti. Nel caso in cui venga trovato un accordo tra le parti, si procede con l'omologazione da parte del tribunale competente.

    Nel caso in cui non si giunga ad un accordo, invece, il mediatore civile può proporre una soluzione alle parti, che restano libere di accettarla o meno, e che possono quindi rivolgersi ad un giudice.

    Come accennato, la mediazione civile per le cause di condominio è obbligatoria.

    La legge prevede infatti che se un condominio interpella un avvocato per risolvere una lite, questi è obbligato ad avvertire, in forma scritta, che il condominio deve prima rivolgersi ad un mediatore civile.

    Nel caso non lo facesse, il giudice potrebbe anche annullare il mandato all'avvocato.

    In alcuni casi specifici, come i decreti ingiuntivi contro i condomini morosi e le liti che riguardano l'occupazione indebita di parti condominiali comuni, non c'è obbligo di mediazione.

    Per accedere al beneficio della mediazione, c'è una spesa fissa di 40 euro per l'avvio delle pratiche.

    Esistono poi delle tariffe minime e massime per le mediazioni obbligatorie, in base al valore della lite.

    Le parti in causa possono detrarre le spese di mediazione civile dalla dichiarazione dei redditi (a titolo di credito d'imposta) fino a 250 euro nel caso di insuccesso della mediazione e fino a 500 euro nel caso di buon esito della mediazione.

    La morosità nel condominio

    Il caso della morosità nel condominio purtroppo, complice anche la profonda crisi economica, è in crescita esponenziale, e sempre più spesso pone dei grossi problemi di liquidità delle casse condominiali: vediamo come è possibile agire e risolvere il problema.

    Spesso e volentieri l'amministratore sopperisce alla morosità dei condomini con propri fondi ovvero ripartisce la quota del condomino moroso tra gli altri condomini, quelli in regola con i pagamenti.

    Come noto, però, la riforma del condominio apprestata dalla L. 220/2012 ha apportato delle modifiche in merito, prevedendo delle scansioni temporali entro le quali l'amministratore deve attivarsi per il recupero del credito nei confronti del condomino moroso, sotto pena, in mancanza, di una responsabilità personale dello stesso.

    Dunque, quali sono le modalità per rivalersi esclusivamente sul singolo condomino moroso, escludendo chi è in regola con i pagamenti?

    E, invece, quali sono gli espedienti che possono adottare gli stessi condomini morosi per farla franca?

    Facciamo il punto della situazione.

    Breve panoramica sulla morosità condominiale

    Vi forniamo, innanzitutto, una breve panoramica contenente tutto ciò che concerne la morosità condominiale e la rivalsa sugli inquilini.

    Con la riforma del condominio, legge 220/2012, è stato introdotto il principio di solidarietà sussidiaria del debito del condominio, ma è stato anche previsto un meccanismo per evitare di arrivare a situazioni border-line.

    Infatti, in presenza di morosi nel condominio, l'amministratore ha l'obbligo di riscuotere i contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio.

    L'amministratore del condominio può ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo per il recupero dei crediti.

    La legge di riforma del condominio ha stabilito, infatti, i termini entro i quali l'amministratore del condominio deve adire l'autorità legale per il recupero del credito.

    Entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio, l'amministratore deve chiedere un decreto ingiuntivo, immediatamente esecutivo, per il recupero dei crediti. Al contrario, rischia la revoca giudiziaria del suo incarico.

    Per quanto riguarda i creditori condominiali, invece, un fornitore di servizi, ad esempio, che deve recuperare il proprio credito nei confronti del condominio, ha l'obbligo di agire innanzitutto nei confronti dei condomini morosi.

    Il creditore può chiedere il pignoramento del conto corrente condominiale, ma solo per la parte che concerne le somme versate da condomini morosi, da dimostrarsi tramite la prova documentale fornita dal registro di contabilità condominiale.

    L'amministratore di condominio è obbligato a comunicare ai creditori che lo richiedono i dati personali dei condomini morosi.

    L'amministratore condominiale, inoltre, può contestare il pignoramento del conto corrente condominiale avanzato da un creditore se sul conto non ci sono versamenti del condomino moroso e, in ogni caso, per la parte delle somme che appartengono ai condomini virtuosi, in regola con le rate pagate.

    In linea generale, con la nuova normativa è stato chiarito, innanzitutto, che il creditore deve prima tentare di aggredire il condomino moroso con i pagamenti delle quote condominiali chiedendo all'amministratore di condominio l’elenco degli inadempienti.

    In seguito, però, il creditore potrà agire anche nei confronti dei condomini in regola coi pagamenti.

    Infatti, a parte l'ipotesi del pignoramento del conto corrente condominiale che, come accennato, può essere contestata dall'amministratore, esiste un altro espediente spesso utilizzato dai creditori per aggirare le norme ed aggredire gli utenti in regola.

    Si tratta di effettuare un pignoramento presso terzi nei confronti dei condomini e delle rate mensili da costoro dovute al condominio. Cerchiamo di esprimerci in parole più semplici.

    Come chiarito, il cosiddetto pignoramento presso terzi consiste nel pignorare i crediti che il debitore vanta nei confronti di altri soggetti (ad esempio datore di lavoro e stipendio). Il creditore, così, si rivolge direttamente a questi ultimi intimando loro di versare le somme a lui stesso.

    Dunque, allo stesso modo, nel caso del pagamento delle rate di condominio, gli inquilini condominiali sono debitori del condominio dei relativi importi mensili. Il creditore, allora, si rivolgerà a questi ultimi, intimando loro di versare le rate non all'amministratore, ma a sé.

    Così, chi è moroso resta tale e chi ha già pagato gli oneri (in questo caso direttamente al creditore) dovrà provvedere a versare un extra per consentire la gestione ordinaria.

    Il fornitore, pertanto, avrebbe la possibilità, a seguito dell’ordinanza del giudice che gli assegna le somme pignorate, di “intercettare” a proprio favore tali oneri dovuti dai singoli proprietari al condominio a titolo di rate condominiali, evitandone così l’accredito sul conto corrente condominiale.

    Come agire esclusivamente contro i condomini in difetto nel caso di morosità

    E' possibile agire esclusivamente contro i condomini in difetto nel caso di morosità? Vediamo come.

    Come accennato, quando il condomino moroso non paga le spese di condominio arreca un disagio all'intero edificio, mettendo gli altri proprietari nella condizione di non poter pagare i creditori e subire un pignoramento o, in alternativa, di dover ripartire il “buco” di bilancio tra coloro che già hanno pagato le proprie quote, onde scongiurare il rischio dell’interruzioni nei servizi (si pensi alla fornitura di luce, acqua, gas o al servizio di pulizia delle scale).

    Così, la riforma del condominio ha inserito delle nuove norme che riducono il rischio di morosità persistenti. Vediamole

    Termine entro cui agire con decreto ingiuntivo

    Da un lato viene assegnato all’amministratore un termine di 6 mesi entro il quale dover necessariamente procedere a decreto ingiuntivo contro i morosi (decreto ingiuntivo che, ricordiamo, è provvisoriamente esecutivo).

    Il termine dei 6 mesi decorre dalla chiusura dell’esercizio in cui la mora è emersa oppure dal giorno dell’approvazione in sede assembleare del rendiconto-consuntivo relativo all'esercizio appena chiuso.

    Interruzione dei servizi condominiali

    Viene poi prevista la possibilità, se tecnicamente possibile, di sospendere al condomino moroso i servizi condominiali suscettibili di godimento separato.

    Ad esempio, è possibile privare il condomino inadempiente del diritto di accedere a taluni locali o servizi condominiali (deposito biciclette, piscina, ecc.).

    La comunicazione ai creditori

    La sospensione del servizio di riscaldamento centralizzato nella sola unità abitativa del condomino moroso, oltre che spesso di difficile attuazione tecnica, comporta notevoli problematiche giuridiche, essendo da più parti segnalato il problema della violazione del diritto alla salute costituzionalmente tutelato.

    Dubbi sussistono anche in merito alla chiusura della tubatura di diramazione dell’acqua.

    In ultimo, ma non per importanza, l’obbligo, assegnato all'amministratore, di comunicare ai creditori del condominio (fornitori, manutentori, ecc.), i cui crediti non siano stati ancora pagati, e che lo chiedano espressamente, quali sono i nomi e i dati dei condomini morosi.

    Ciò perché viene imposto a tali creditori di agire prima contro i morosi in maniera diretta, e poi eventualmente, solo in caso di insuccesso nel tentativo di pignoramento, contro quelli in regola.

    Tale comunicazione costituisce un vero e proprio obbligo per l’amministratore che, pertanto, non viola la privacy dei condomini inadempienti.

    Come la giurisprudenza interpreta la comunicazione ai creditori in materia di morosità in ambito condominiale

    Come la giurisprudenza interpreta la comunicazione ai creditori in materia di morosità in ambito condominiale.

    L’obbligo di fornire ai creditori la black list dei cattivi pagatori è stato però oggetto di alcune interpretazioni che, a quanto sembra, ne hanno ridotto fortemente la portata deterrente.

    Ci riferiamo, in particolar modo, alla sentenza del Tribunale di Tivoli, secondo cui l’elenco che l’amministratore deve fornire ai creditori non deve riguardare tutti i condomini genericamente non in regola con le spese mensili, ma solo quelli che non hanno pagato la specifica quota inerente al contratto per il quale il creditore intende procedere al pignoramento.

    Restano, quindi, esclusi dalla lista nera tutti coloro che, seppur non in regola con le altre spese, hanno però pagato la loro parte relativamente al singolo fornitore.

    Un esempio chiarirà meglio la questione.

    Mettiamo che, all'interno di un condominio, i condomini A e B non abbiano pagato la quota di spesa, a loro attribuita in base ai millesimi, relativa al consumo di acqua.

    Invece i condomini C e D non hanno pagato la quota di spesa, a loro attribuita in base ai millesimi, relativa al pagamento della ditta che ha effettuato la ristrutturazione della facciata.

    Se quest’ultima, la cui fattura non è stata pagata, intende agire in esecuzione forzata, l’amministratore, nel consegnare ad essa l’elenco dei condomini non in regola con i pagamenti, dovrà fornire solo i dati di C e D, ma non e non già di A e B.

    Dunque, ne consegue che la ditta dovrà prima tentare il pignoramento contro C e D e poi, solo in via sussidiaria, contro A, B e gli altri condomini.

    Dunque, l’amministratore condominiale non può fornire ai creditori un elenco indistinto di condomini in cui non sia in alcun modo evidenziato lo specifico debito relativo al contratto con il terzo.

    Il condominio, dunque, deve comunicare al creditore i nominativi, i dati e le rispettive quote dovute dai condomini morosi, con indicazione completa delle generalità e delle carature millesimali di ciascun obbligato ma solo con specifico riferimento ai crediti vantati dal creditore che intende agire e non anche a quelli degli altri creditori.

    La cessione del credito riguardo la morosità condominiale

    Anche in tema di morosità condominiale può essere applicata una sorta di cessione del credito: vediamo come.

    La cessione del credito, nonostante sia scarsamente utilizzata, è consentita dalla legge anche in ambito condominiale, a patto che non sussistano i divieti previsti dall'articolo 1261 del Codice civile.

    L'amministratore può cedere a terzi un credito vantato dal condominio verso il condomino moroso e la cessione, come stabilito dall'articolo 1260 del Codice civile, avviene anche senza il consenso del debitore (che comunque deve essere informato) e quindi soltanto in forza dell'accordo tra cedente, ossia condominio, e cessionario, ad esempio la ditta che ha eseguito i lavori di manutenzione nello stabile.

    Non serve il sì dell'assemblea: per la cessione del credito a terze parti, senza sconti, l'amministratore non necessità dell'approvazione dell'assemblea di condominio.

    Pur essendo tecnicamente consentita la cessione pro-solvendo, con il cedente che risponde dell'inadempienza del debitore, in condominio deve operare la formula della cessione pro-soluto, dove il cedente, vale a dire il condominio, garantisce solamente l'esistenza del credito e non risponde dell'eventuale insolvibilità del debitore.

    Cerchiamo di esprimerci in termini più semplici.

    Dopo la riforma del condominio era stato consentito ai creditori di rivalersi nuovamente sui condomini virtuosi, ma solo in seconda battuta, ovvero dopo avere agito nei confronti dei morosi e non avere ottenuto nulla, configurandosi così il cosiddetto “beneficio di escussione”.

    Quella dei creditori può essere definita un'azione “surrogatoria”, nel senso che si realizza soltanto in caso di mancato intervento dell'amministratore, il quale, salvo essere espressamente dispensato dall'assemblea, è tenuto ad agire per la riscossione forzata delle somme dovute dagli obbligati, entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, attraverso un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, che non necessita dell'approvazione dell'assemblea.

    Lo stesso amministratore ha il compito di comunicare ai creditori che ne avanzino richiesta i dati (nomi e quote millesimali) dei condomini insolventi e, qualora la mora nel pagamento dei contributi si protragga per un semestre, può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato.

    Però, vista l'oggettiva difficoltà di recupero del credito da parte, per esempio, del fornitore, è possibile che quest'ultimo e il condominio si accordino preventivamente, in sede di contratto di appalto.

    Così, a fronte di uno sconto sul prezzo della fornitura, ad esempio, i condomini rinunciano alla parziarietà delle loro obbligazioni, facendo rivivere il principio della solidarietà.

    Per tale pattuizione non si ritiene, però, sufficiente una delibera a maggioranza, occorrendo invece l'unanimità dei consensi di tutti i condomini, che dovranno anche sottoscrivere il contratto.

    La rinuncia alla parziarietà dell'obbligazione incide, infatti, sui diritti individuali di ciascun condomino, di cui la maggioranza non può disporre.

    Salvo ritenere che, una volta costituito il fondo speciale, quest'ultimo appartenga al patrimonio autonomo del condominio del quale i singoli condomini non possono più disporre.

    Le nuove regole sui pignoramenti in soccorso dei condomini in stato di morosità

    Le nuove regole sui pignoramenti e le aste infruttuose possono venire in aiuto dei condomini in stato di morosità? Facciamo chiarezza.

    La riforma del processo civile, appena approvata dalla Commissione Giustizia della Camera e pronta per gli esami finali prima del voto, prevede una forte limitazione dei pignoramenti immobiliari che ora rischiano di fare la stessa fine di quelli mobiliari: una misura del tutto inutile che spesso si risolve in una perdita di tempo e in una spesa per il creditore.

    Che cosa cambia in particolare? Non più una serie infinita di esperimenti d’asta al ribasso, fino a raggiungere un prezzo “stracciato”, ma solo quattro tentativi, di cui l’ultimo “a offerta libera”.

    Se neanche questo va a buon fine, il giudice chiude definitivamente il pignoramento e l’immobile torna nella piena disponibilità del debitore.

    L’effetto sui condomìni sarà diretto?

    Beh, sino ad oggi, nella gran parte dei casi di mancato pagamento degli oneri condominiali, l’unico sistema utile per la riscossione forzata è sempre stato quello di mettere all'asta la casa del debitore.

    Ciò per via della stretta dipendenza tra le spese condominiali e la proprietà dell’immobile: ogni condomino moroso è necessariamente proprietario di una casa posto che solo il titolare del bene è tenuto al pagamento degli oneri all'amministratore.

    Inoltre, per giurisprudenza costante, neanche il fondo patrimoniale, eventualmente costituito dal debitore sulla casa, è opponibile al condominio creditore: per cui, pur dopo il decorso dei cinque anni necessari alla revocatoria, l’amministratore può sempre chiedere il pignoramento dell’appartamento.

    Le spese di condominio rientrano, infatti, tra quelle contratte per le esigenze della famiglia, cui il fondo non è mai opponibile.

    Che succedeva, dunque, nel caso in cui gli importi non pagati dal condomino siano particolarmente elevati, divenendo il pignoramento dell’eventuale stipendio o della pensione del tutto inutile?

    Oppure nel caso di una società coi bilanci in rosso e il conto corrente costantemente vuoto? Oppure quando il condomino è un nullatenente (a parte, ovviamente, l’immobile)?

    L’unica arma del condominio è ed è sempre stata quella dell’ipoteca e del successivo pignoramento della casa.

    Ora però la riforma rischia di minare anche quest’ultima possibilità di riscossione.

    E ciò perché quattro tentativi di asta potrebbero essere del tutto insufficienti per trovare un acquirente.

    Peraltro, non poche volte le perizie effettuate dai consulenti dei giudici in tribunale, volte a stabilire il prezzo di base da cui devono partire le varie offerte di vendita, tendono a sovrastimare l’immobile rispetto al suo effettivo valore.

    Con la conseguenza che, per allinearsi al prezzo di mercato, la base d’asta deve subire almeno due o tre ribassi; solo successivamente l’immobile può dirsi appetibile. Ma da domani tutto questo tempo potrebbe non esserci più e il pignoramento verrà chiuso in breve tempo.

    Risultato?

    O il condominio stesso deciderà di acquistare l’immobile pignorato entro i primi quattro esperimenti d’asta, per poi rivenderlo e lucrare sulla differenza – magari sfruttando la nuova agevolazione fiscale che prevede l’abbattimento dell’imposta di registro -oppure i condomini in regola coi pagamenti dovranno ricorrere ai ripari e ripianare le perdite con i propri risparmi.

    La questione dell'obbligo di contabilizzazione del calore per l'impianto termico centralizzato

    Ii nuovi obblighi di misurazione dei consumi energetici, previsti dal decreto di recepimento della direttiva europea sull'efficienza energetica, stanno generando molta confusione tra i condomini italiani in pricinto di agire: pertanto, tentiamo di fare un po’ di chiarezza, spiegando come muoversi.

    L'applicazione della complessa normativa sui nuovi obblighi di termoregolazione e contabilizzazione del calore, in scadenza il prossimo 31 dicembre 2016, sarà prevedibilmente oggetto di un difficile contenzioso nei condomini italiani.

    Si avvicina la data, dunque, in cui verranno spenti i caloriferi per adeguare il proprio riscaldamento centralizzato a ciò che prevede la Direttiva Europea sull'efficienza energetica.

    Quest'ultima, infatti, obbliga i condomini (solo quelli che hanno il riscaldamento centralizzato e non autonomo) a installare un sistema di contabilizzazione del calore, su ogni impianto.

    Questo è, in teoria, un sistema che aiuterà i singoli inquilini a pagare solo il riscaldamento che realmente consumano.

    Ma in cosa consiste questo adeguamento dell'impianto?

    Praticamente, vengono installati dei contabilizzatori di calore e delle valvole termostatiche su ogni calorifero dell'abitazione (e di conseguenza viene adeguato anche l'impianto centralizzato), così da poterne misurare il calore emesso, controllare e regolare la temperatura.

    Questi sistemi, quindi, permettono di decidere come e quanto riscaldare le proprie stanze e, soprattutto, consentono di pagare quanto davvero si consuma.

    La legge prevede che questi lavori di installazione di sistemi di contabilizzazione del calore debbano essere fatti entro un calendario che varia da Regione a Regione.

    Alcune Regioni hanno già superato la data di scadenza, come la Lombardia (il cui termine era previsto per il 01/08/2014) e la Provincia di Bolzano (previsto per il 01/01/2015).

    Per il resto del Paese la data di scadenza ultima per l'aggiornamento impiantistico di tutti i condomini è fissata al 31/12/2016: oltre questa data potrebbero scattare sanzioni per ritardi o inadempienze.

    Ricordiamo che, solo nei casi in cui l’installazione dei contacalorie singoli non sia tecnicamente possibile o efficiente, il decreto prevede l’installazione di sistemi di contabilizzazione del calore indiretta, nella maggior parte dei casi identificabili con i ripartitori (anche se trattasi di strumenti adatti solo a radiatori e termoconvettori).

    Cerchiamo, comunque, di entrare nel dettaglio della questione nel prosieguo dell'articolo.

    L'obbligo di contabilizzazione del calore per l'impianto termico centralizzato secondo la direttiva Europea

    Scopriamo cosa dice esattamente la direttiva Europea in merito all'obbligo di contabilizzazione dell'impianto termico centralizzato.

    Il Decreto legislativo 102 del luglio 2014, recependo le Direttive europee volte al contenimento del consumo energetico e all'emissione dei gas serra, ha introdotto all'articolo 9 l'obbligo di realizzare entro il 31/12/2016 la termoregolazione e la contabilizzazione del calore prelevato dal singolo utente finale (condomino), imponendo anche l'adozione di specifici criteri per la ripartizione delle spese, a valere dall'entrata in vigore del decreto (luglio 2014) anche per gli impianti in cui la contabilizzazione era stata già installata.

    Sono previste sanzioni significative per chi non ottemperi alla installazione nei termini previsti e anche per chi non adotti i criteri imposti per la ripartizione delle spese.

    La contabilizzazione del calore al singolo appartamento può essere fatta in due modi: attraverso l'applicazione di contatori a lettura diretta; o - dove ciò non sia possibile o risulti non efficiente sotto un profilo economico (impossibilità attestata con relazione tecnica del progettista o del tecnico abilitato) - mediante applicazione di ripartitori su ciascun corpo scaldante (contabilizzazione indiretta, negli impianti cosiddetti a colonna).

    Una condizione esimente all'obbligo di installare la contabilizzazione anche in questa seconda modalità è contenuta nella lettera c) dell'art. 9 ove si dice testualmente che l'obbligo sussiste "salvo che l'installazione di tali sistemi risulti essere non efficiente in termini di costi con riferimento alla metodologia indicata nella norma UNI EN 15459.

    In tali casi sono presi in considerazione metodi alternativi efficienti in termini di costi per la misurazione del consumo di calore".

    Eventuali casi di impossibilità tecnica alla installazione dei suddetti sistemi di contabilizzazione devono essere riportati in apposita relazione tecnica del progettista o del tecnico abilitato, sulla base di quanto indicato all'art. 16 punto 7 in tema di sanzioni.

    Lo scopo infatti della normativa dichiarato all'articolo 1 è quello di rendere il consumo volontario attribuibile direttamente a ciascun utente così da indurlo a risparmiare individualmente - con ovvie ripercussioni sul consumo e sul risparmio collettivo.

    In altre parole, attraverso la misurazione del calore volontario, i cui costi sono addebitati direttamente al singolo, si induce un circolo virtuoso tale per cui il singolo è portato a risparmiare o razionalizzare i consumi con l'utilizzo della termoregolazione che efficienta il consumo garantendo il confort necessario (oppure con l'adozione di NUOVI sistemi di protezione dell'involucro disperdente, quali cappotti termici, sostituzione di infissi, ecc.) e la somma dei risparmi dei singoli costituisce il risparmio collettivo.

    Lo scopo della norma è dunque responsabilizzare (addebitandogliene direttamente i costi) l'utente del servizio. Tali costi devono essere quantificati con sistemi di calcolo del consumo quanto più precisi possibile, individuati normativamente nella contabilizzazione che ha dunque la funzione di poter attribuire con certezza al singolo utente il costo relativo al suo consumo volontario.

    Esiste infatti anche un consumo involontario come specificato nella norma UNI 10200 specificamente richiamata nel decreto legislativo 102/14.

    Tale norma chiarisce l'esistenza di consumi volontari e di consumi involontari e li definisce rispettivamente cosi:

    • i primi, dovuti all'azione volontaria dell'utente mediante i dispositivi di termoregolazione (valvola termostatica o termostato), che vanno ripartiti in base alle indicazioni fornite dai dispositivi (letture) atti alla contabilizzazione del calore (contatori, ripartitori e altri sistemi);
    • i secondi, quelli indipendenti dall'azione dell'utente e cioè principalmente le dispersioni di calore della rete di distribuzione, che vanno ripartiti in base ai millesimi calcolati secondo il fabbisogno di energia termica utile (UNI 11300).

    Per poter individuare la quota da ripartire a millesimi in e i millesimi di riscaldamento sulla base del fabbisogno energetico, occorre affidare ad un tecnico abilitato il calcolo del fabbisogno di energia termica utile ad ogni singola unità immobiliare (per consentire di ottenere una temperatura standard di 20°) che andrà a costituire il valore millesimale attribuibile a quell'appartamento, indipendentemente dalle superfici radianti installate.

    Questi nuovi millesimi saranno il criterio di ripartizione:

    • delle spese di gestione del servizio di riscaldamento;
    • di tutte le spese di manutenzione e conduzione ( terzo responsabile, estintori, lettura e ripartizione contabilizzatori, ecc.);
    • di tutte le spese relative alla dispersione dell'energia totale consumata (una percentuale della spesa energetica totale - cioè combustibile + energia elettrica - calcolata dal Tecnico sul singolo impianto, ovvero differenza tra la spesa energetica totale e il consumo volontario di tutti gli utenti).

    Poiché le sanzioni previste colpiscono anche coloro che non applichino tali criteri di ripartizione (ciò anche per gli impianti esistenti già dotati di contabilizzazione) è giocoforza provvedere immediatamente all'affidamento ad un tecnico abilitato del calcolo dei nuovi millesimi secondo la norma UNI 10200, da utilizzare fin dalla ripartizione dei costi della pregressa gestione 2014/15.

    Per quanti invece non abbiano ancora la contabilizzazione, sorge l'esigenza di dare immediato impulso alla progettazione di tale impiantistica con il correlativo calcolo dei nuovi millesimi.

    L'obbligo della progettazione anche per la sola applicazione del sistema di contabilizzazione e termoregolazione scaturisce dall'art. 26 comma 3 della legge 10/91 che recita: Gli edifici pubblici e privati, qualunque ne sia la destinazione d'uso, e gli impianti non di processo ad essi associati devono essere progettati e messi in opera in modo tale da contenere al massimo, in relazione al progresso della tecnica, i consumi di energia termica ed elettrica. (l'impianto di riscaldamento è un impianto non di processo).

    La progettazione della termoregolazione e contabilizzazione deve essere affidata dunque ad un professionista abilitato, il quale dovrà mappare i radiatori esistenti per consentire una corretta programmazione dei singoli contabilizzatori, ovvero certificare il coefficiente di conversione delle unità di consumo che saranno rilevate dai singoli ripartitori.

    Il progettista dovrà altresì predisporre i millesimi per ripartire la quota dei consumi involontari.

    Dopo l'applicazione del sistema di contabilizzazione e termoregolazione (anche in assenza di ulteriori opere di riqualificazione dell'impianto) la ditta esecutrice dovrà rilasciare apposita dichiarazione di conformità alla norma e al progetto.

    Si badi bene che sia negli impianti di contabilizzazione esistenti che in quelli di nuova realizzazione, la dichiarazione di conformità e le mappature (o la valutazione dei coefficienti di conversione) sono essenziali alla corretta applicazione dei criteri di ripartizione dei costi e quindi ad evitare il rischio delle sanzioni.

    Infatti per far sì che ciascuno paghi i costi esclusivi del proprio prelievo volontario è fondamentale che tale prelievo volontario sia misurato in modo ineccepibile e corretto.

    Ciò è possibile soltanto applicando i ripartitori o i contatori secondo la regola dell'arte (certificata dalle Ditta installatrice) e soltanto attraverso la conversione delle unità di consumo segnate da ogni ripartitore opportunamente programmato (secondo la norma UNI 10200:13 ) o secondo coefficienti adeguati al singolo radiatore (secondo la norma UNI 10200:15).

    Chiarimenti e precisazioni fondamentali in merito all'obbligo di contabilizzazione del calore per l'impianto termico centralizzato

    Siamo lieti di fornirvi chiarimenti e precisazioni fondamentali in merito all'obbligo di contabilizzazione dell'impianto termico centralizzato.

    La contabilizzazione del calore favorisce il contenimento dei consumi energetici perché permette di evidenziare a ciascuna utenza i propri consumi individuali e conseguentemente indurre a una miglior gestione delle climatizzazione e della produzione di acqua calda.

    Differentemente da quanto si legge, tale misurazione del calore non è obbligatoria per gli impianti autonomi, mentre è vincolante per i condomini e gli edifici polifunzionali, riforniti da una fonte di riscaldamento o raffreddamento centralizzata o da una rete di teleriscaldamento.

    L’obbligo di installazione da parte delle imprese di fornitura partirà dal prossimo 31 dicembre 2016, salvo situazioni locali specifiche in cui questi obblighi sono già partiti e sarà commisurato a valutazioni di compatibilità tecnica, di efficienza in termini di costi e di valutazione dei risparmi energetici potenziali.

    Tra le misure del provvedimento, troviamo la contabilizzazione individuale del calore, che dovrà interessare tutti gli edifici con più appartamenti serviti da un’unica centrale termica.

    Stiamo parlando di un patrimonio edilizio ingente, costituito da quei palazzi con riscaldamento centralizzato, moltissimi dei quali costruiti prima degli anni ’80 con criteri lontanissimi dagli standard attuali di risparmio energetico (come la classica accoppiata caldaia a gasolio-termosifoni).

    Alla contabilizzazione dovrà affiancarsi la termoregolazione: si potrà così impostare autonomamente la temperatura desiderata in ogni locale, grazie alle valvole termostatiche.

    L’obbligo scatterà dal primo gennaio 2017 per milioni di appartamenti in tutta Italia, con multe tra 500 e 2.500 euro a carico dei condomini inadempienti.

    La maggior parte degli edifici esistenti, presumibilmente un 90-95% del totale, dovrà affidarsi alla contabilizzazione “indiretta”. È l’unica applicabile a quegli impianti che distribuiscono il calore con colonne montanti, ormai datati ma ancora assai diffusi nel nostro Paese.

    Gli edifici realizzati trenta o più anni fa, infatti, di solito hanno tubazioni verticali che servono diversi caloriferi situati su piani differenti, quindi è impossibile stabilire con un sistema di contabilizzazione diretta quanta energia sta consumando la famiglia che abita un determinato appartamento.

    Allora bisogna installare un dispositivo elettronico su ogni termosifone, un ripartitore di calore in grado di misurare, attraverso due sensori, sia la temperatura della superficie del calorifero che quella dell’aria nel locale.

    Questi valori permetteranno di calcolare l’energia termica complessivamente immessa da quel radiatore nella stanza.

    Così, sommando i valori di tutti gli elementi presenti nei vari locali, si otterrà l’energia utilizzata dall'intero appartamento.

    Inoltre, con le valvole termostatiche si potrà controllare il calore di ciascun ambiente: ogni valvola regolerà il flusso d’acqua calda nel relativo termosifone, facendo così variare la temperatura media del radiatore e il conseguente consumo.

    La logica del provvedimento europeo e nazionale è far pagare a ogni proprietario o inquilino l’energia effettivamente consumata nel suo appartamento, abbandonando la classica ripartizione delle spese per il riscaldamento secondo i millesimi di proprietà (più due aliquote per coprire, rispettivamente, i consumi dei locali comuni e le inevitabili perdite dell’impianto).

    Pago per ciò che volontariamente ho deciso di consumare, dunque, anche se i vantaggi della contabilizzazione individuale, presumibilmente, non saranno gli stessi per tutti gli abitanti di un medesimo palazzo.

    Ci saranno sempre un risparmio e un maggiore benessere termico -anche se ovviamente con alcune differenze tra chi abita, per esempio, in un attico, rispetto a chi risiede nei piani intermedi, più facili e veloci da scaldare.

    I costi per adeguarsi alla contabilizzazione del calore per l'impianto termico centralizzato

    Parliamo un po' di numeri: ecco, per ogni condomino, quali saranno i costi per adeguarsi alla contabilizzazione dell'impianto termico centralizzato.

    Il costo per adeguare ogni termosifone è nell'ordine di 80-100 euro, includendo il ripartitore, la valvola termostatica, la nuova valvola d’uscita e il nuovo sfiato dell’aria, cui aggiungere da due a quattro euro l’anno, per la lettura dei consumi reali di ogni ripartitore e il calcolo dei costi da addebitare ai vari appartamenti.

    Dopo una dozzina d’anni, che è la vita utile dei ripartitori e delle loro batterie, bisognerà sostituire questi dispositivi, con una spesa di circa 30 euro per ogni unità.

    La lettura dei consumi oggi può essere fatta dai tecnici in remoto, sfruttando la trasmissione dei dati via radio dai moderni ripartitori, senza dover entrare nelle abitazioni per fare il giro di tutti i locali.

    C’è tuttavia un punto dolente, perché di rado tutto fila liscio quando bisogna intervenire su impianti con vari decenni di vita alle spalle.

    Purtroppo le normative spesso ignorano alcuni problemi pratici, così frequenti nei sistemi a colonne montanti.

    Occorre innanzitutto valutare lo stato delle tubazioni, se presentano sporcizia, incrostazioni di calcare o scaglie di ruggine.

    Adattare un vecchio impianto centralizzato non è uno scherzo, tra lavaggio delle tubazioni per liberarle dalle impurità, eventuale predisposizione di filtri, sostituzione della pompa con una più moderna a inverter a velocità variabile (indispensabile per regolare la pressione “a valle” dell’impianto, evitando guasti e rotture; altrimenti si possono inserire valvole di bypass).

    Ecco perché il consiglio è prevedere non solo l’installazione dei ripartitori sui caloriferi, ma anche il cambio della caldaia con una a condensazione, sfruttando così la detrazione fiscale del 65% valida fino alla fine del 2016.

14 Aprile 2016 · Andrea Ricciardi


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