Comunione di un bene » Volete scioglierla? Ecco come fare

Comunione di un bene » Che cosa è

La comunione, in diritto, è una situazione per la quale la proprietà o un altro diritto reale spetta in comune a più persone. Quando il diritto in comunione è quello di proprietà, si parla anche di comproprietà. Nell'ordinamento giuridico italiano è regolata dagli articoli 1100 e seguenti del codice civile.

L'origine della comunione può essere di vario genere, ovvero:

  • volontaria (perché più persone acquistano insieme un bene; pensiamo a due amici che acquistano una barca);
  • incidentale (perché non dipendente dalla volontà dei soggetti, i quali divengono titolari di un diritto da condividere con altri; l'ipotesi principale è quella della comunione che sorge dall'accettazione di un'eredità);
  • forzosa (non dipendente dalla volontà dei soggetti e, in più, non soggetta a scioglimento; l'esempio tipico è il condominio, nel quale, alcune parti sono comuni e i singoli proprietari non possono rinunciare alla propria quota).

Di regola la comunione è pro-indiviso, ovvero ciascun comproprietario è titolare di una quota ideale del bene e non di una singola porzione dello stesso (comunione, questa ultima, detta pro-diviso).

I vari soggetti comproprietari sono titolari di quote ideali (ad esempio, il 40%, il 70%, ecc).

In mancanza di diversa disposizione, le quote dei soggetti si presumono uguali, anche con riguardo al diritto di godimento del bene.

Dunque, ciascun compartecipe può usufruire e godere del bene comune in ogni tempo secondo la regola dell'uso collettivo.

La facoltà di uso non è proporzionata alla quota, ma è completamente ampia come quella di chi sia unico titolare del diritto.

I contitolari si dicono, in genere, comunisti oppure, con riferimento al diritto che essi hanno in comune, comproprietari, cousufruttuari ecc.

Se i contitolari si accingono a una divisione si chiamano condividenti.

Comunione di un bene » I problemi

La permanenza della comunione su un bene può essere gestita con difficoltà: infatti ogni decisione va presa collettivamente e l’uso individuale della cosa comune va ovviamente concordato con gli altri comunisti. Pertanto la comunione può essere sempre sciolta e divisa con un accordo (cioè un contratto) tra i titolari del bene stesso. Non vi è, infatti, alcun obbligo di rimanere in comunione. Quindi qualsiasi comproprietario, qualunque sia la sua quota di appartenenza alla comunione, può, in ogni momento, domandare lo scioglimento della comunione, indipendentemente dalla adesione degli altri comunisti.

Con lo scioglimento, ciascun condividente ottiene la titolarità esclusiva di una porzione del diritto comune (che prima, invece, apparteneva a tutti nei limiti della rispettiva quota).

Il diritto di chiedere lo scioglimento è imprescrittibile: ciò significa che si può chiedere lo scioglimento anche dopo diverse decine di anni che il bene è rimasto in comunione.

Comunione di un bene » Scioglimento

La comunione, quindi, può essere sciolta: sono assolutamente eccezionali i casi in cui ciò non sia possibile (un esempio, codificato, è quello delle parti comuni del condominio).

È da precisare, infatti, che qualora un bene non sia, in effetti, divisibile, è comunque possibile per ciascun soggetto ottenere l'assegnazione di tutto il bene, rimborsando all'altro comproprietario (o a più di uno) la somma di denaro equivalente.

Un tanto si ottiene facendo ricorso al giudice, il quale (in estrema sintesi), lo fa stimare da un soggetto terzo.

Ciascun comproprietario, poi, può chiedere l'assegnazione, versando il denaro all'altro.

Se nessuno ne chiede l'assegnazione, il bene viene venduto e si divide il denaro ricavato; se tutti ne chiedono l'assegnazione, viene attribuito a uno per sorteggio.

Comunione di un bene » Divisione

La comunione si scioglie con la divisione: sul punto è chiaro l'articolo 1111 del codice civile secondo cui ciascuno dei partecipanti può sempre domandare lo scioglimento della comunione.

Se, quindi, uno dei partecipanti decide di sciogliere la comunione, gli altri non possono impedirlo. Il diritto alla divisione si configura, quindi, come vero e proprio diritto potestativo proprio perché gli altri comunisti non possono far altro che subire la decisione presa.

Per evitare, però, che la comunione sia sciolta poco dopo la sua costituzione, i comunisti possono stipulare un patto per rimanere in comunione per un tempo determinato.

Tale patto, tuttavia, non può avere durata superiore a dieci anni; nel caso sia stato stipulato per un periodo superiore non sarà invalido, ma il termine originariamente stabilito si riduce a dieci anni.

Deciso di comune accordo o con l'intervento del giudice di sciogliere la comunione si dovrà procedere alla divisione della cosa.

Questa ha luogo in natura (articolo 1114 del codice civile) ma solo se la cosa può essere comodamente divisa in parti secondo le quote dei partecipanti.

La divisione in natura è quindi possibile solo se la cosa è divisibile, ma se la cosa è indivisibile sarà necessario applicare l'articolo 720 del codice civile con la possibile vendita del bene immobile e ripartizione del ricavato. Il richiamo all'articolo 720 non è casuale perché l'articolo 1116 dichiara applicabili alla divisione le norme sulla divisione ereditaria (artt. 713 e seguenti), norme di cui fa parte il citato articolo 720.

19 Settembre 2013 · Gennaro Andele


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