No alla prassi dello scorporo di un ramo d’azienda creato ad hoc al solo fine di espellere i lavoratori
Secondo giurisprudenza consolidata deve intendersi come ramo d'azienda ogni entità economica organizzata la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità, presupponendo ciò comunque una preesistente entità produttiva funzionalmente autonoma (potendo conservarsi solo qualcosa che già esiste), e non anche una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento o come tale unicamente identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l'esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell'imprenditore e non dall'inerenza del rapporto ad una entità economica dotata di autonoma ed obiettiva funzionalità.
Non può ammettersi un trasferimento di ramo d'azienda con riferimento alla sola decisione, assunta dal soggetto cedente, di unificare alcuni beni e lavoratori, affidando a questi un unica funzione al momento del trasferimento. Tanto, infatti, contrasterebbe, e con le direttive comunitarie che richiedono già prima di quest'atto l'esistenza di un'entità economica che conservi la propria identità, ovvero un assetto già formato.
Questi i principi giuridici a cui si sono attenuti i giudici dell Corte di cassazione nel pronunciare la sentenza 19141/15.
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