Bancomat e carte di credito clonate smarrite o rubate: diritti e doveri dell’utilizzatore » Quando la responsabilità è della banca e quando del cliente

Bancomat e carte di credito clonate smarrite o rubate: diritti e doveri dell'utilizzatore » Quando la responsabilità è della banca e quando del cliente

L'arbitro Bancario Finanziario, molto spesso, si è occupato della tematica concernente gli utilizzi di carte di pagamento (bancomat, carte di credito).

L'Arbitro bancario finanziario è ormai un punto di snodo fondamentale nelle controversie tra banche e clienti. Negli ultimi anni i ricorsi all'Abf, infatti, sono aumentati del 58% con una percentuale di accoglimento delle istanze dei cittadini pari al 45% dei casi.

A rivolgersi all'arbitro è un pubblico adulto, vista l'età media dei ricorrenti, che è di 49 anni.

Il successo dell'Arbitro si misura anche dall'accesso al suo sito istituzionale: circa 14.000 accessi al giorno. Non solo esperti e studiosi, ma anche semplici cittadini interessati a conoscerne le decisioni.

La vera chiave di questo successo è la qualità delle decisioni: l'elevato profilo dei componenti dei collegi mette a disposizione dei cittadini uno strumento di qualità, accessibile a tutti per i costi contenuti.

Il ricorso all'arbitro costa infatti 20 euro e quando il cittadino ha ragione, in genere l'istituto è condannato a rifonderglieli.

Tra le contestazioni ricevute lo scorso anno dall'Arbitro, quelle relative a carte di credito e Bancomat sono più di un terzo: oltre il 36% e quasi 2.000 in numeri assoluti.

In questo articolo, dunque, vogliamo informare il lettore sulle decisioni dell'Abf in materia di bancomat e carte di credito: dai diritti ai doveri.

Per favorire la lettura, facciamo notare che, nel prosieguo dell’articolo, i clienti, o consumatori, saranno identificati come utilizzatori, mentre gli istituti di credito, banche o prestatori, come intermediari.

Obblighi e responsabilità di utilizzatori e prestatori di bancomat e carte di credito

Sul piano normativo, gli obblighi e le responsabilità degli utilizzatori (clienti) e dei prestatori (intermediari) dei servizi di pagamento sono disciplinati dal Decreto legislativo 11/2010.

In particolare, l'utilizzatore deve servirsi dello strumento di pagamento in conformità alle condizioni contrattuali che ne regolano l'emissione e l'uso, adottando le misure idonee a garantire la sicurezza dei dispositivi personalizzati che ne consentono l'utilizzo. Deve altresì comunicare senza indugio al prestatore il furto, l'appropriazione indebita o l'uso non autorizzato dello strumento stesso, non appena ne viene a conoscenza.

Inoltre, vige a carico del prestatore dei servizi di pagamento l'obbligo di assicurare che i dispositivi personalizzati non siano accessibili da parte di soggetti diversi dall'utilizzatore, fatti salvi gli obblighi posti in capo a quest'ultimo. Deve altresi' impedire qualsiasi utilizzo dello strumento successivamente alla comunicazione relativa al furto o all'uso non autorizzato.

Sul piano delle responsabilità, è previsto, tra l'altro, che nel caso di operazioni non autorizzate realizzate prima della comunicazione di cui sopra, l'utilizzatore sopporta le relative perdite per un importo non superiore a 150 euro, salva l'ipotesi in cui abbia agito con dolo o colpa grave, ovvero non abbia adottato le misure idonee a garantire la sicurezza dei dispositivi personalizzati che consentono l'utilizzo dello strumento.

L'utilizzatore sopporta l'intera perdita subita, senza applicazione di alcuna franchigia, anche nel caso in cui non abbia adempiuto, con dolo o colpa grave.

Il Decreto Legge che disciplina la materia, peraltro, onera la ripartizione dell'onere probatorio, nel caso in cui l'utilizzatore neghi di aver autorizzato un'operazione di pagamento già
eseguita.

In tal caso, incombe sul prestatore l'onere di provare l'autenticazione, la corretta registrazione e contabilizzazione dell'operazione di pagamento.

Peraltro, l'utilizzo di uno strumento registrato dal prestatore non è di per sé elemento sufficiente a dimostrare l'intervenuta autorizzazione da parte dell'utilizzatore o il suo inadempimento con dolo o colpa grave.

In relazione alla richiamata disciplina, il Collegio di coordinamento ha innanzitutto confermato l'adesione all'interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità in merito alla nozione di colpa grave.

Questa, in particolare, va intesa come un comportamento consapevole dell'agente che, senza volontà di arrecare danno agli altri, operi con straordinaria ed inescusabile imprudenza e negligenza, omettendo non solo la diligenza media del buon padre di famiglia, ma anche quel grado minimo di diligenza generalmente osservato da tutti.

Grava sul prestatore dei servizi di pagamento l'onere di fornire la prova, non solo dell'adozione dei presidi di sicurezza degli strumenti di pagamento, bensì anche della sussistenza di quell'elevato e abnorme grado di negligenza in capo all'utilizzatore, al ricorrere del quale possa imputarsi allo stesso la responsabilità delle conseguenze di un utilizzo fraudolento della carta.

La colpa dell'utilizzatore per il furto o lo smarrimento del bancomat e della carta di credito

In tema di onere della prova, il Collegio di coordinamento è intervenuto a chiarire se, in caso di utilizzo fraudolento di uno strumento di pagamento, sia possibile una presunzione di colpa grave in capo all'utilizzatore in base all'evidenza di operazioni disconosciute in un breve lasso di tempo successivo al furto.

Il coinvolgimento del Collegio di coordinamento si è reso necessario per la presenza di orientamenti non univoci in merito alla possibilità di desumere, in caso di breve lasso temporale tra furto e prelievi illeciti, l'esistenza di elementi gravi, precisi e concordanti che consentano di affermare con certezza la responsabilità dei titolari.

In diverse decisioni, infatti, i Collegi hanno ritenuto provata, in tali circostanze, la colpa grave dell'utente, dal momento che l'utilizzo della carta a brevissima distanza dal furto, con prelievi in rapida successione e in un luogo poco distante da quello di indebita sottrazione, a del tutto ragionevolmente inferire che gli autori dell'illecito abbiano avuto la disponibilità immediata del PIN.

Diversamente orientati sono invece i Collegi propensi a ritenere che il breve lasso temporale non sia sufficiente per fondare una presunzione di colpa grave data l'esistenza di sofisticati strumenti tecnici e di altre modalità illecite di acquisizione dei dati che, in linea di principio, consentono di impossessarsi dei codici identificativi personali.

Sul piano giuridico, viene richiamata l'inammissibilità di un processo logico fondato sul susseguirsi di più presunzioni semplici che la giurisprudenza considera non corretto.

Il Collegio di coordinamento, dopo aver svolto una ricostruzione della disciplina applicabile, con particolare riguardo al regime di responsabilità delle parti in ipotesi di indebito utilizzo degli strumenti di pagamento, e chiarito che la prova della colpa grave del ricorrente può essere fornita pure per mezzo di presunzioni, purché queste siano gravi, precise e concordanti, ha precisato che la prova presuntiva può essere ricavata anche in base alle circostanze di fatto, connesse all'utilizzo della carta, immediatamente successive al furto.

Questo percorso logico non è in contrasto con il divieto di formulare ipotesi sulla base di altre, poiché non è fondato su una serie di presunzioni semplici, bensì su una molteplice concatenazione univoca e convergente di fatti noti.

Il Collegio conclude che, da un lato, non può ritenersi provata, neppure in via presuntiva, la colpa grave dell'utilizzatore sulla base dei soli utilizzi fraudolenti in tempi alquanto ravvicinati rispetto al furto.

Devono emergere nelle singole fattispecie ulteriori elementi di fatto che siano gravi, precisi e concordanti e in relazione ai quali vi sia un elevato grado di probabilità che gli utilizzi fraudolenti siano ascrivibili alla condotta gravemente colposa dell'utilizzatore.

Dall'altro, la successione temporale degli eventi può far desumere con un elevato grado di probabilità che il PIN sia conservato unitamente alla carta e a essa immediatamente associabile, al punto da renderne particolarmente agevole la digitazione per porre in essere le operazioni oggi contestate.

Questa circostanza, unitamente al fatto che, nello specifico, il ricorrente avesse lasciato la propria borsa in posizione chiaramente visibile e, dunque, facilmente sottraibile anche in un arco temporale di pochissimi minuti, permette di desumere una violazione gravemente colposa degli obblighi di conservazione e di sicurezza, sia in relazione alle disposizioni di legge, sia in relazione alle disposizioni contrattuali.

In una successiva pronuncia il Collegio di coordinamento ha ritenuto, invece, non provata la colpa grave del cliente nell'ipotesi in cui il ricorrente abbia lasciato la carta all'interno di un borsello riposto nel bagagliaio della propria autovettura, unitamente a un telefono cellulare sul quale era stato memorizzato il relativo codice PIN.

Il Collegio di coordinamento ha chiarito che, anche in ragione del fatto che sempre più gli strumenti della tecnica a disposizione delle persone sono connessi alla digitazione di codici identificativi, sarebbe impossibile richiedere che questi vengano tenuti tutti a mente, giudicando pertanto corretta la conservazione del PIN sul telefono cellulare.

È poi proseguita, da parte dei Collegi, l'opera di enucleazione delle fattispecie idonee a integrare la colpa grave dell'utilizzatore delle carte di pagamento.

Al di là delle figure tradizionali, relative alla conservazione dello strumento di pagamento unitamente al PIN e alla omessa custodia della borsa o del portafogli in cui la carta è conservata, è stato altresì attribuito rilievo al fenomeno del phishing.

È stato chiarito che la colpa grave del cliente può essere esclusa solo nelle ipotesi più complesse, caratterizzate da una sofisticata intrusione nel sito dell'intermediario nel momento in cui l'utente vi accede per compiere un'operazione, ma non in quelle più elementari, che si concretano in una semplice mail, non collegata all'utilizzo del sito dell'intermediario, avente a oggetto la richiesta all'utilizzatore di fornire le proprie credenziali.

In questo caso la condotta dell'utente appare difficilmente scusabile, essendo tale forma di phishing fenomeno ormai del tutto noto, tanto che qualunque utente dotato di normale avvedutezza e prudenza è in grado di non farsi trarre in inganno.

In una decisione in materia di phishing, è stato poi affrontato il tema dell'efficacia della clausola contrattuale che, enunciando l'obbligo di diligente custodia dei
codici di accesso, pone a carico del cliente tutte le conseguenze pregiudizievoli che la violazione di un siffatto obbligo è suscettibile di produrre, esonerandone al contempo l'intermediario.

A giudizio del Collegio tale clausola non può essere invocata per escludere le responsabilità dell'intermediario in quanto tali responsabilità trovano fondamento nella disciplina legislativa a carattere inderogabile.

Simili clausole sono inoltre vessatorie, e come tali inopponibili al consumatore, in quanto riconducibili, in considerazione del loro contenuto, alla previsione del Codice del Consumo.

È stata, infine, censurata, quale condotta idonea a integrare la colpa grave del cliente, la custodia della carta, ancorché sotto chiave, all'interno di un armadio collocato in un immobile concesso in locazione a terzi e chiarito che il possesso di strumenti per i pagamenti elettronici, esposti a rischi di frode e di utilizzi non autorizzati, comporta che gli obblighi di diligente custodia degli stessi comprendano anche il monitoraggio dei conti che ne recepiscono le operazioni.

L'inadempimento del beneficiario nelle transazioni regolate con bancomat e carte di credito

Il Collegio di coordinamento è intervenuto a risolvere il contrasto interpretativo in merito al diritto per l'utilizzatore di una carta di credito, o bancomat, di ottenere il rimborso di una transazione, da parte dell'emittente, per l'inadempimento imputabile all'esercente, beneficiario del pagamento.

Muovendo dall'inquadramento giuridico della fattispecie nell'ambito della delegazione di pagamento, il Collegio afferma che il solo obbligo gravante sull'intermediario è quello di eseguire gli ordini di pagamento impartiti, e quindi appositamente autorizzati, dall'utilizzatore.

La sua responsabilità si limita all'eventuale inadempimento o inesatto adempimento a tale obbligo, come nel caso di esecuzione di pagamenti non autorizzati, di errori nell'individuazione del beneficiario o nell'indicazione dell'esatto importo da addebitare.

Nell'occasione il Collegio ha sottolineato che, alla luce dell'interpretazione della normativa europea in materia, il diritto al rimborso può essere attribuito al cliente nei confronti del prestatore di servizi di pagamento (in deroga al principio di irrevocabilità) soltanto se espressamente previsto da clausole del contratto quadro, da norme di legge nazionali o da fonti sub legali nazionali.

Quanto ai profili di responsabilità riferibili all'intermediario, l'attenzione dei Collegi si è prevalentemente concentrata sulla prestazione di servizi di pagamento online.

Al riguardo i Collegi hanno precisato che le controversie relative all'utilizzo di strumenti di pagamento online richiedono una duplice valutazione riguardante, da un lato, la condotta tenuta dai clienti in termini di rispetto degli obblighi di diligenza e custodia e, dall'altro, la condotta dell'intermediario che deve adempiere il proprio compito di cura dei patrimoni dei clienti con la diligenza professionale e qualificata richiesta, predisponendo misure di protezione adeguate rispetto agli standard esistenti, specie sotto il profilo dei presidi tecnici adottati.

Si tratta della cosiddetta diligenza che impone all'intermediario, quando l'utilizzo dello strumento avvenga online, di garantire un più incisivo livello di protezione dell'altro contraente"

Rilevano, in particolare, le misure di protezione adottate dall'intermediario nell'offerta del servizio e, in particolare, l'adeguatezza dei presidi di sicurezza attivati.

Sul punto, i Collegi hanno chiarito che l'assenza, affianco ai normali codici di accesso al sito di home banking, di una protezione di secondo livello, ad esempio, attraverso chiavette elettroniche personalizzate del tipo a password variabile" (token) ovvero sistemi di allerta (sms alert, mail alert), implica il non corretto adempimento dell'obbligo di diligenza richiesta all'intermediario, che deve adottare ogni precauzione e istituire presidi tecnici in linea con l'evoluzione scientifica e tecnologica.

I Collegi hanno confermato come l'adozione di sistemi di sicurezza a due fattori costituisca oggi una modalità conforme ai criteri di sicurezza delle transazioni online, in grado di soddisfare l'onere di diligenza esigibile.

Ad esempio, i sistemi one time password, in grado di generare un codice "usa e getta" da associare alla carta, se non sono da soli sufficienti a dimostrare la grave negligenza dell'utilizzatore, rendono molto più difficile al cliente provare il carattere fraudolento dell'operazione.

La franchigia applicabile a carico dell'utilizzatore di bancomat o carte di credito

Il Collegio di coordinamento si è pronunciato sulla franchigia a carico dell'utilizzatore di bancomat o carte di credito in caso di indebito utilizzo, chiarendo che, salvo il caso in cui abbia agito con dolo o colpa grave, non può essere superiore a 150 euro.

Sono state richiamate alcune pronunce dell'Arbitro secondo cui la formulazione adottata dal legislatore nazionale consente di prevedere importi differenti a seconda delle circostanze del caso concreto.

Fra i criteri per la graduazione dell'importo della franchigia, si dovrebbero prendere in considerazione:

  1. la proporzione con l'entità della somma fraudolentemente sottratta;
  2. la maggiore o minore lievità della compartecipazione colposa del cliente nella produzione del fatto illecito;
  3. il grado di negligenza dell'intermediario.

A giudizio del Collegio di coordinamento, tale orientamento non appare condivisibile, poichè la struttura del procedimento davanti all'ABF non consente un esame sufficiente per graduare la franchigia secondo criteri oggettivi.

Di qui la necessità di fare riferimento a un importo fisso, uguale per tutti i ricorrenti, che non può che coincidere con quello indicato dalla legge.

Quando la banca ritarda la consegna del bancomat

Molto spesso accade che, per il cliente, si renda necessaria la sostituzione della carta Bancomat.

Se si registra un ritardo consistente per la consegna della nuova carta ed il ritardo è ascrivibile alle modalità di spedizione e comunque ad aspetti organizzativi propri della banca (o di Poste Italiane), il cliente ha diritto al risarcimento danni.

Infatti, in conseguenza di tale disservizio, il cliente è inevitabilmente costretto a subire una serie di disagi che si traducono nella necessità di recarsi personalmente presso i locali della banca (o dell'ufficio postale) per effettuare prelevamenti in contanti, oltre che per richiedere e sollecitare la sostituzione della carta.

Il cliente può, in conseguenza del ritardo nella riconsegna della carta Bancomat, essere altresì costretto ad aprire un nuovo rapporto di conto corrente presso altri istituti di credito.

In questa evenienza, anche se i disagi subiti dal cliente appaiono del tutto generici, essi sono da considerarsi verosimili. Infatti l'uso del bancomat per effettuare acquisti di beni e servizi costituisce ormai un sistema abituale che reca obiettivi vantaggi all'utente.

Ne deriva che debba ritenersi pregiudizievole la condizione di chi, privato improvvisamente di tale strumento di pagamento, sia costretto a modificare le sue abitudini, dovendosi avvalere di assegni bancari per effettuare pagamenti e rendendosi necessario recarsi ogni volta presso lo sportello della banca (o dell'ufficio postale) per compiere operazioni di prelevamento in contanti in mancanza della carta bancomat.

Assume rilievo anche il tempo impiegato dal ricorrente per recarsi presso la banca (o l'ufficio postale) sia per effettuare le operazioni di sportello, sia per sollecitare la sostituzione della carta. Ne consegue la sussistenza di un concreto danno patito dal cliente a causa del colpevole ritardo nella consegna del nuovo bancomat, che può essere liquidato in via equitativa.

Quello appena esposto è, ancora, l'orientamento dell'Arbitro Bancario Finanziario.

Anche quando il bancomat è di ultima generazione la causa della clonazione non è ascrivibile al cliente

Se la carta Bancomat in possesso del cliente è dotata del microchip di ultima generazione, risulta tecnicamente e statisticamente remota e trascurabile la possibilità di una clonazione.

L’utilizzo della tecnologia “microchip”, infatti, rende impossibile impartire comandi alla carta per comunicare il PIN del richiedente e, comunque, l’estrazione del PIN, astrattamente possibile, richiederebbe comunque la disponibilità materiale del Bancomat per un periodo di tempo certamente non breve, il che presupporrebbe una colpa grave da parte dell'utilizzatore.

Ora, come accennato nei precedenti interventi, l'utilizzatore abilitato all'utilizzo del Bancomat ha l'obbligo di:

  1. utilizzare lo strumento di pagamento in conformità con i termini, esplicitati nel contratto quadro, che ne regolano l'emissione e l'uso;
  2. comunicare senza indugio, secondo le modalità previste nel contratto quadro, al prestatore di servizi di pagamento o al soggetto da questo indicato lo smarrimento, il furto, l'appropriazione indebita o l'uso non autorizzato dello strumento non appena ne viene a conoscenza.

Tuttavia, come ampiamente chiarito, salvo il caso in cui l'utilizzatore abbia agito con dolo o colpa grave, l'utilizzatore medesimo può sopportare per un importo comunque non superiore complessivamente a 150 euro la perdita derivante dall'utilizzo indebito del Bancomat, in seguito a furto, smarrimento o clonazione.

Qualora, invece, abbia agito in modo fraudolento o non abbia adempiuto agli obblighi a cui è tenuto, con dolo o colpa grave, l'utilizzatore sopporta tutte le perdite derivanti da operazioni di pagamento non autorizzate e non si applica il limite di 150 euro.

L’onere di provare che l’utilizzatore abbia agito con dolo o colpa grave incombe, peraltro, sulla banca. Infatti, qualora l'utilizzatore del bancomat neghi di aver autorizzato un'operazione di pagamento già eseguita o sostenga che questa non sia stata correttamente eseguita, è onere della banca provare che l'operazione di pagamento è stata autenticata, correttamente registrata e contabilizzata e che non ha subito le conseguenze del malfunzionamento delle procedure necessarie per la sua esecuzione o di altri inconvenienti.

In sostanza, la normativa vigente istituisce un regime di speciale protezione a beneficio degli utilizzatori di Bancomat, i quali sono tenuti al semplice disconoscimento delle operazioni di pagamento contestate, mentre è onere della banca provare che l'operazione disconosciuta è stata autenticata, correttamente registrata e contabilizzata e che la sua patologia non sia dovuta a malfunzionamenti delle procedure esecutive o ad altri inconvenienti del sistema.

Laddove non possa essere provata la responsabilità dell'utilizzatore, questi non sarà tenuto a sopportare le conseguenze dell'uso fraudolento, o comunque non autorizzato, del bancomat se non nei limiti di una franchigia non superiore a 150 euro.

La rilevanza della scelta legislativa di tendenziale allocazione del rischio di clonazione del bancomat a carico della banca non può essere trascurata. Tuttavia, deve ritenersi che in presenza dell'adozione dei più avanzati dispositivi di sicurezza messi a disposizione dell'evoluzione tecnologica e di circostanze di fatto tali da escludere con sufficiente persuasività una possibile clonazione dello strumento di pagamento, il cliente non possa essere tenuto indenne dalle perdite patrimoniali derivanti dall'utilizzo non autorizzato del Bancomat, se, e solo se, la banca implementa un qualcosa in più rispetto alla semplice dotazione del microchip.

La banca, in pratica, deve attivare ulteriori idonei strumenti di sicurezza, quali l'invio di SMS alert a seguito dei prelievi, come disposto dal decreto legislativo numero 11 del 2010, a norma del quale è tenuta ad assicurare che siano sempre disponibili strumenti adeguati affinché l'utilizzatore possa comunicare l'uso non autorizzato del Bancomat appena ne viene a conoscenza.

Oltre ad attivare misure di sicurezza, quali l'invio di SMS alert a seguito dei prelievi, la banca deve anche bloccare le operazioni di prelievo quando si verificano sette richieste di autorizzazione nelle 24 ore per una stessa carta di pagamento, dal momento che un simile evento configura il rischio di frode, così come previsto dal decreto ministeriale 112/2007.

Alle conclusioni appena esposte è giunto il Collegio di coordinamento dell'Arbitro bancario finanziario nella decisione numero 3947/14.

Parziale o totale inerogazione delle banconote da parte del bancomat

Nella fattispecie in cui l’utilizzatore dei servizi Bancomat rilevi una parziale erogazione di banconote in un'operazione di prelievo, è onere della banca provare che l’operazione è stata autenticata, correttamente registrata e contabilizzata e che non ha subito le conseguenze del malfunzionamento dei dispositivi di erogazione o altri inconvenienti.

La banca deve produrre un documento che attesti la regolarità dell'erogazione di banconote con riferimento all'insieme di operazioni in cui è compreso il prelievo contestato, quali la "quadratura di cassa".

E' infatti necessario disporre di informazioni esaurienti circa il funzionamento delle apparecchiature utilizzate per il prelievo, affinché possa ritenersi assolto l’onere probatorio in capo alla banca.

In mancanza della produzione di riscontri oggettivi, l’onere probatorio gravante sulla banca, e avente ad oggetto la dimostrazione della correttezza del proprio operato, non può ritenersi adeguatamente assolto e il fruitore dei servizi di pagamento ha diritto alla restituzione di quanto non erogato dallo sportello Bancomat.

Così si sono espressi gli arbitri ABF nella decisione numero 1177/14.

E quando il bancomat non eroga, per nulla, il contante?

iIn relazione alle operazioni compiute con il bancomat ed in particolare alla mancata erogazione del contante, le banche negoziatrici impartiscono solo ordini di addebito alla banca emittente sulla base di un accordo interbancario.

Il che implica che la banca emittente è tenuta a controllare, su istanza del cliente, la regolarità delle operazioni di addebito.

Peraltro, le disposizioni della Direttiva 2007/64/CE sanciscono che l'utente bancomat è tenuto a notificare le eventuali operazioni effettuate in modo inesatto al proprio prestatore di servizi di pagamento, il quale, pertanto, è indicato come naturale punto di riferimento del cliente per tutte le questioni inerenti l'utilizzo della carta bancomat.

Nel nostro ordinamento le scritture contabili della banca, se regolarmente tenute, possono far prova tra le banche stesse, per i rapporti inerenti all'esercizio dell'impresa, ma non nei confronti di coloro che, come il cliente in qualità di semplice consumatore o fruitore di servizi, sono privi di tale qualifica.

Inoltre, quando il cliente di servizi bancomat riveste la qualifica di consumatore, la validità di clausole contrattuali dirette ad attribuire alle registrazioni contabili della banca efficacia probatoria deve essere verificata alla stregua di quanto stabilito dal Codice del consumo, il quale qualifica come vessatorie - e come tali nulle, le clausole che sanciscono limitazioni o modifiche dell'onere della prova. Pertanto, alle registrazioni contabili effettuate in automatico dalle apparecchiature bancomat presso le quali sono effettuate le operazioni di prelievo non può essere riconosciuta efficacia probatoria piena ed esclusiva a favore del gestore del servizio.

Spetta alla banca l'onere della prova che la eventuale denunciata irregolarità nel funzionamento del dispositivo bancomat, in particolare la mancata erogazione del contante, non sussiste. Allo scopo, non è sufficiente la produzione dei soli documenti contabili.

La banca erogatrice della carta bancomat deve fornire il riscontro probatorio della prima quadratura di cassa relativa al dispositivo bancomat utilizzato dal fruitore di servizi, necessario per dimostrare che non si è verificata alcuna eccedenza di cassa. In mancanza di tale prova, sussiste la responsabilità della banca per il danno subito dal cliente.

In questi termini si è espresso l'Arbitro bancario finanziario nella decisione numero 236 del 31 gennaio 2011.

17 Dicembre 2014 · Andrea Ricciardi


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