Azione di riduzione per lesione della quota di legittima dell’eredità – eredità disponibile, eredità relitta e donatum

Eredità ed azione di riduzione - quota di legittima (non disponibile o di riserva) e quota disponibile

A tutela dell’interesse generale alla solidarietà familiare, l’ordinamento giuridico prevede che i più stretti congiunti del de cuius hanno il diritto di ottenere, anche contro la volontà del defunto e in contrasto con gli atti di disposizioni dallo stesso posti in essere, una quota di valore del patrimonio ereditario e dei beni donati in vita dal defunto stesso (diritto di legittima o di riserva).

La legge configura così una successione necessaria, in forza della quale le disposizione del defunto lesive della quota di legittima, pur non essendo invalide, sono tuttavia soggette a riduzione, sono cioè suscettibili, su domanda del legittimario leso (azione di riduzione) di essere private della loro efficacia giuridica nella misura necessaria e sufficiente a reintegrare il diritto del legittimario.

In tal senso, l’azione di riduzione si distingue dalle azioni dirette ad impugnare il testamento o le donazioni per vizi di volontà o di forma e si configura propriamente come un’azione con la quale il legittimario, leso nel suo diritto di legittima dalle disposizioni testamentarie o dagli atti di donazione posti in essere dal de cuius, può ottenere la pronuncia di inefficacia, nei suoi confronti, delle disposizioni del defunto lesive della sua quota di riserva.

Il legittimario a seguito dell’esercizio dell’azione di riduzione, acquista la qualità di erede, conseguendo perciò una quota dell’eredità, la cui misura muta a seconda del numero dei legittimari e della vicinanza del loro legame familiare col defunto.

La legge non riserva ai legittimari tutta l’eredità, ma riserva loro solo una quota o frazione di essa (quota non disponibile o di riserva), consentendo che la restante parte (quota disponibile) possa mantenere la destinazione voluta dal de cuius.

Come si calcolano la quota disponibile al de cuius e la quota di riserva spettante al legittimario

La quota disponibile da parte del de cuius e, specularmente, la quota di riserva spettante al legittimario vanno calcolate procedendo, anzitutto, alla formazione della massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della sua morte (eredità relitta) e alla determinazione del loro valore con riferimento al momento dell’apertura della successione. Quindi detraendo dall'eredità relitta i debiti del defunto, da valutare con riferimento alla stessa data, in modo da ottenere l'attivo netto.

Successivamente si procede alla riunione fittizia, ad una riunione cioè meramente contabile, tra attivo netto e i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, dovendosi a tal fine stimare i beni immobili e mobili donati secondo il valore che avevano al tempo dell’apertura della successione e il denaro donato secondo il suo valore nominale.

A questo punto è possibile calcolare la quota disponibile e la quota indisponibile sulla massa risultante dalla somma tra il valore dell'eredità relitta al netto dei debiti del defunto (attivo netto) ed il valore del donatum, secondo le modalità indicate in questo articolo.

La reintegrazione della quota di legittima, conseguente l’esercizio dell'azione di riduzione, deve essere effettuata con beni in natura (cioè con una quota di proprietà sui beni facenti parte dell'eredità relitta): in pratica, il legittimario non può essere obbligato a ricevere la reintegrazione della sua quota di eredità in denaro.

Questi i principi, in tema di azione di riduzione dell'eredità per violazione della quota di legittima, ribaditi dai giudici della Corte di cassazione con la sentenza 24755/15.

26 Gennaio 2016 · Lilla De Angelis


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10 risposte a “Azione di riduzione per lesione della quota di legittima dell’eredità – eredità disponibile, eredità relitta e donatum”

  1. Anonimo ha detto:

    Avrei bisogno di un chiarimento: relativamente al c/c bancario di una persona è la stessa cosa dare a un terzo “mandato con rappresentanza” o “delega ad operare”? Queste due definizioni sono fra loro sinonimi o configurano due cose diverse?

    • Ludmilla Karadzic ha detto:

      Il mandato di rappresentanza, regolato dal codice civile all’articolo 1704, conferisce al mandatario il potere, più generale, di agire in nome del mandante (in un qualsiasi affare previsto dal mandato). Se il mandato viene esclusivamente limitato al rapporto di conto corrente instaurato fra mandante e banca (cioè all’azione di disporre operazioni di addebito o accredito in conto corrente e/o firmare assegni tratti dal conto corrente), allora il mandato di rappresentanza coincide con la delega ad operare (su uno specifico conto corrente).

  2. Anonimo ha detto:

    Vi fornisco elementi più precisi in merito al quesito che vi ho posto ieri 4 giugno alle 15:28 e a cui mi avete molto gentilmente e sollecitamente fornito risposta alle 18:01.
    Mio padre e la moglie (classe 1923 lui e 1927 lei) non possedevano alcun patrimonio immobiliare, ma solo mobiliare rappresentato da tre c/c:
    1) intestato a entrambi e in cui venivano accreditate le loro pensioni e serviva per la vita corrente
    2) intestato solo a mio padre, aperto cinque mesi prima che la moglie morisse e in cui da quel momento veniva versata la pensione di lui e da lì uscivano i bonifici o assegni per il pagamento della retta della casa di riposo in cui vivevano. Il c/c 1) da quella data serviva solo per l’accredito della pensione di lei che veniva regolarmente prelevata con bancomat
    3) un c/c intestato solo a lei, aperto nel 2010 con movimenti molto cospicui, diverse centinaia di migliaia di euro, attraverso compra/vendita di azioni, obbligazioni, fondi di investimento ecc. In questo conto 3) viene versato anche l’importo derivante dalla vendita della casa dove la coppia aveva fino ad allora vissuto (2014) e che era di proprietà di mio padre e non rientrante in comunione dei beni. E’ un conto di private banking dal quale nell’arco del secondo trimestre 2015 parte una serie infinita di vendite dei titoli e riscatto dei fondi posseduti (oltre 40 operazioni) che comporta accrediti sul conto per circa due milioni e mezzo di euro, i quali vengono con un’unica operazione investiti nella sottoscrizione di una polizza vita a favore di un beneficiario terzo. Dopo qualche mese la titolare del conto sottoscrive anche un’altra polizza vita per un valore di 300.000 euro, sempre a favore di un beneficiario terzo: con questa operazione viene pressochè prosciugata la disponibilità del conto che verrà chiuso definitivamente ad agosto 2017, quattro mesi dopo il decesso della titolare, avvenuto nell’aprile 2017.
    Premettendo che tutti questi movimenti sono stati effettuati con il pieno consenso di mio padre, che dal momento del suo nuovo matrimonio aveva voluto rompere ogni rapporto con mia sorella e me, Vi ripongo però il quesito: poteva accettare una “donazione” disposta da sua moglie a favore di terzi e che utilizzava l’intero patrimonio pur sapendo di avere lui due eredi legittime, nelle figure delle figlie? Poteva cioè rinunciare deliberatamente alla sua quota di legittima, anche se questo poi a sua volta si sarebbe ripercosso sulle sue proprie eredi?
    A puro titolo informativo aggiungo che il c/c private intestato solo a lei era in realtà alimentato solo dai soldi di mio padre, sia provenienti dalla vendita della sua casa sia soprattutto provenienti dalla sua professione di ingegnere libero professionista di notevole successo, mentre lei aveva lavorato come segretaria fino a 40 anni e poi era diventata casalinga baby pensionata.

    • Ornella De Bellis ha detto:

      Quelle sottoscritte dalla seconda moglie di suo padre sono assicurazioni sulla vita a premio unico: l’indennizzo viene corrisposto, in caso di decesso del contraente, direttamente ai beneficiari, che possono essere anche terzi rispetto all’asse ereditario.

      La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3263/2016, ha statuito che le polizze vita con contenuto finanziario devono essere qualificate come “donazioni indirette” a favore dei beneficiari delle polizze stesse. Esse dunque saranno soggette al regime delle donazioni applicabile in caso di successione del contraente con contestuale applicabilità dell’imposta di donazione e del regime codicistico per le problematiche successorie.

      In pratica, nell’assicurazione sulla vita la designazione quale terzo beneficiario di persona non legata al designante da alcun vincolo di mantenimento o dipendenza economica deve presumersi, fino a prova contraria, compiuta a spirito di liberalità, e costituisce una donazione indiretta. Peraltro, potrebbe essere eccepita dagli eredi legittimi del coniuge pretermesso (il vedovo), la dissimulazione della donazione attraverso un contratto oneroso con la compagnia di assicurazione.

      Il marito della signora, alla morte di costei, avrebbe potuto esercitare azione di riduzione delle donazioni (dirette e indirette) effettuate in vita dal coniuge, avendo egli avuto diritto, in assenza di testamento, nonché di ascendenti, fratelli e sorelle della defunta, al 100% del patrimonio.

      In conclusione, aver rinunciato ad esercitare l’azione di riduzione della donazione al terzo, ha comportato un ingiustificato arricchimento del terzo a danno dei discendenti del vedovo chiamato all’eredità. A parere di chi scrive, potrebbe essere esercitata dalle figlie del vedovo, consapevolmente consenziente alla propria pretermissione (in pratica, una sorta di rinuncia all’eredità, ma effettuata con modalità tale da danneggiare ed escludere le due sue figlie che sarebbero subentrate in rappresentazione), azione di illecito arricchimento nei confronti del terzo beneficiario della polizza vita a premio unico, ex articolo 2041 del codice civile: la norma citata, infatti, stabilisce che il soggetto il quale (il terzo), senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale. Ma, occorre affidarsi ad un avvocato esperto e ben motivato.

  3. Anonimo ha detto:

    La seconda moglie di mio padre – con il quale non ha avuto figli nè lei ne aveva da precedenti relazioni – sottoscrive, da un c/c solo a lei intestato, una polizza vita per un valore molto ingente, oltre due milioni di euro corrispondenti praticamente all’intero suo patrimonio, a beneficio di un terzo estraneo. Mio padre è consenziente, tant’è che alla morte della moglie non intraprende alcuna azione per recuperare la sua quota di legittima. Egli muore dieci mesi dopo la moglie e a quel punto mia sorella ed io siamo le chiamate all’eredità. Il quesito che Vi pongo è il seguente: poteva nostro padre rinunciare deliberatamente a recuperare la quota di legittima spettantigli, avendo egli due figlie?

    • Ludmilla Karadzic ha detto:

      Il quesito non è chiaro nella parte in cui si parla una polizza vita per un valore molto ingente, oltre due milioni di euro corrispondenti praticamente all’intero suo patrimonio. Se un soggetto si assicura con una polizza a copertura dell’evento morte, il risarcimento al beneficiario dipende dal premio corrisposto: l’assicurato può coprire l’evento morte con un indennizzo di 10 milioni di euro a favore del beneficiario, pagherà il premio corrispondente all’indennizzo (rapportato anche all’età dell’assicurato ed al tipo di vita che conduce), ma non deve necessariamente detenere un patrimonio pari all’indennizzo.

      Comunque, chi sottoscrive una polizza a copertura dell’evento morte, può indicare come beneficiario chiunque, non necessariamente il coniuge superstite o altri eredi. Al massimo, la questione avrebbe potuto riguardare l’origine di quanto necessario al pagamento dei premi periodici alla compagnia di assicurazione con la quale la polizza è stata stipulata: ma i premi sono stati tratti da un conto corrente intestato solo alla defunta, per cui non c’è partita e i chiamati all’eredità lasciata da vostro padre non possono eccepire alcunché che riguardi la polizza vita e l’indennizzo percepito dal terzo beneficiario. Tutto regolare.

  4. Anonimo ha detto:

    Gentilmente le chiedo l’interpretazione del testamento …la quota di legittima di mia madre va a mia sorella in quanto erede universale? Inoltre il denaro ricevuto nel 1984 viene rivalutato? È corretto dividere le spese tra i figli a metà? Conti correnti cointestati ai miei genitori e a mia sorella VUOTI..rimane solo la casa di famiglia.Le chiedovun consiglio come comportarmi .anche perché mi stanno facendo pressioni x la successione. Grazie in anticipo x i suoi preziosi consigli.Marco 59

    • Dividere in due parti un commento, non aiuta alla comprensione, anche considerando che chi pone il quesito è indicato come Anonimo, per cui due quesiti potrebbero essere riconducibili ad autori diversi e non, necessariamente alla stessa persona. Si può utilizzare il forum per presentare una domanda organica e chiara, oppure inserire il contesto in un unico commento.

      Comunque, se il testamento da interpretare è quello indicato nel commento precedente, esso è impugnabile e presta il fianco ad una completa rivisitazione in termini di azioni di riduzione delle disposizioni testamentarie nonchè delle donazioni effettuate in vita dal de cuius. Prima di formulare altre istanze di chiarimento, la invito a leggere questo articolo (clicchi sul grassetto), in modo che l’eventuale domanda sia mirata e non finalizzata ad ottenere informazioni generalizzate, sui massimi sistemi.

  5. Anonimo ha detto:

    Nomino mia figlia erede universale a mio figlio poiché ha già ricevuto da noi genitori £ 40.000.000 milioni – lascio la legittima.inoltre a mia moglie lascio tutti i diritti sulla proprietà fino alla sua morte. Tutte le spese di stima ecc dovranno essere divise a metà tra i miei figli.

    • I testamenti devono essere redatti insieme ad un notaio: non si possono improvvisare. Il suo ipotetico testamento, ad esempio, è impugnabile da uno qualsiasi dei legittimari ed è idoneo a scatenare una guerra legale di successione. Se lei decide di redarre testamento, lasciando superstiti coniuge e due figli, deve sapere che, per evitare problemi, la ripartizione dell’eredità deve prevedere 1/4 al coniuge e 1/4 a ciascuno dei due figli, mentre 1/4 (ma solo 1/4), che è la quota disponibile al testatore, può lasciarla a chi vuole. Fare testamento non significa poter lasciare ciò che le pare a chi le pare ma poter assegnare i beni, nei limiti delle quote di legittima, e poter lasciare la quota disponibile a chi le pare, anche al cane. Il fatto che lei abbia già effettuato donazioni a suo figlio, non vuol dire nulla e non può designare erede universale sua figlia: dopo la sua morte, suo figlio e la sua vedova potrebbero impugnare il testamento e chiedere la ripartizione dei beni lasciati a sua figlia, in parti uguali dell’eredità. Oppure sua figlia e sua moglie potrebbero impugnare il testamento per chiedere la riduzione della donazione effettuata in vita a suo figlio. Con la collazione ciascuno dei legittimari (cioè coniuge e figli), deve conferire ai coeredi tutto ciò che ha ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente (articolo 737 del codice civile). Uno dei coeredi può chiedere di ispezionare il conto corrente del defunto e tutte le donazioni fatte in vita devono essere conferite alla massa ereditaria per la divisione.

      L’unico consiglio che posso darle è affidarsi ad un notaio di fiducia per redarre un testamento che sia inattaccabile e che tenga conto delle donazioni effettuate in vita. Altrimenti rischierà di vedere i suoi eredi, dall’alto dei cieli, scannarsi per ridistribuire l’eredità e ciò che potrebbe risparmiare adesso in parcelle di notaio i suoi eredi lo dovranno conferire agli avvocati, moltiplicato per dieci volte.

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