Assegno di mantenimento e divorzio: una sentenza della cassazione mischia le carte in tavola » O forse no? Ecco cosa (in realtà) cambia

Assegno di mantenimento e divorzio: una sentenza della cassazione mischia le carte in tavola » O forse no? Ecco cosa (in realtà) cambia

Assegno di mantenimento all'ex coniuge: molto rumore per (quasi) nulla? I nuovi orientamenti giurisprudenziali hanno lo scopo di spingere le donne a superare la dipendenza dall'ex marito? Ma funzioneranno davvero? Ecco perché le perplessità a riguardo sono molte.

È una sentenza che sta già facendo discutere quella con cui la Corte di Cassazione, negli scorsi giorni, ha stravolto il suo trentennale orientamento giurisprudenziale in materia di mantenimento all'ex coniuge.

Un cambiamento di rotta che ha totalmente declassato il ruolo del tenore di vita quale parametro per stabilire se l’assegno divorzile sia o meno dovuto, espungendolo dai criteri che devono essere osservati non solo ai fini del suo riconoscimento, ma anche ai fini della sua determinazione.

Ciò che è necessario valutare, ha spiegato la Corte, è solo ed esclusivamente l’autosufficienza economica dell’ex coniuge che richiede l’assegno, a nulla rilevando quale fosse il suo precedente tenore di vita.

Ma dove ci porterà questa sentenza?

Chi saranno i vinti e chi i vincitori?

Sicuramente, è opportuno tenere in considerazione la giovane età del neonato provvedimento, sul quale, ancora, non si è costruito un orientamento giurisprudenziale.

Ci sarà da aspettarsi che, in tempi non troppo lontani, la Cassazione nuovamente si pronunci sulla stessa questione, magari riproponendo il vecchio orientamento.

In questo caso, solo le Sezioni Unite potranno dirimere il conflitto ed indicarci in termini chiari quale sia la strada da seguire.

Comunque, nei prossimi paragrafi, cercheremo di far luce sulla situazione attuale.

La sentenza della Cassazione che stravolge gli orientamenti su tenore di vita e assegno di mantenimento

Ecco cosa si evince dalla sentenza della Cassazione che ha stravolto gli orientamenti giurisprudenziali su tenore di vita e assegno di mantenimento.

E' finita su tutti i giornali nazionali la notizia della pubblicazione del provvedimento della Corte di Cassazione civile, I° sez., (Sentenza n. 11504) del 10/05/2017 in materia di assegno divorzile.

Cambia la giurisprudenza sul punto come ammette la stessa Suprema Corte affermando che a distanza di quasi ventisette anni, il Collegio ritiene tale orientamento, per le molteplici ragioni che seguono, non più attuale".

E ancora "Le spese del presente giudizio devono essere compensate, in considerazione del mutamento di giurisprudenza su questione dirimente per la decisione".

Il tema è quello della quantificazione dell'assegno di mantenimento in relazione al parametro "tenore di vita in costanza di matrimonio" da sempre considerato punto di riferimento essenziale dalla giurisprudenza degli ultimi quasi trentanni.

La Corte archivia tale parametro ritenendolo non più pertinente secondo lo stesso dettato normativo.

Il ragionamento della Corte si snoda sulla necessità di tenere distinti due momenti durante la fase della verificazione del diritto o meno al mantenimento da parte del coniuge economicamente più debole, poiché, come afferma la stessa Corte " ... non di rado è dato rilevare nei provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto l'assegno di divorzio una indebita commistione tra le due "fasi" del giudizio e tra i relativi accertamenti che, essendo invece pertinenti esclusivamente all'una o all'altra fase, debbono per ciò stesso essere effettuati secondo l'ordine progressivo normativamente stabilito".

Quali sono questi due momenti, allora?

Si dovrà primariamente stabilire se vi sia il diritto al mantenumento, e solo successivamente in un nuovo e diverso ragionamento - superato positivamente il primo - tenere in considerazione diversi e ulteriori elementi al fine della quantificazione, la successiva fase del quantum.

Secondo la S.C., infatti, il diritto all'assegno viene riconosciuto dalla legge solamente qualora il coniuge richiedente già non disponga di «mezzi adeguati» o non abbia, in ogni caso, effettive possibilità «di procurarseli».

E la S.C. specifica: " ... l'adeguatezza", o no, dei «mezzi», nonché la possibilità, o no «per ragioni oggettive», dello stesso di procurarseli possono essere così individuati:

  • il possesso di redditi di qualsiasi specie;
  • il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu "imposti" e del costo della vita nel luogo di residenza («dimora abituale»: art. 43, secondo comma, cod. civ.) della persona che richiede l'assegno;
  • le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all'età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo;
  • la stabile disponibilità di una casa di abitazione".

Nessuno di questi parametri costituisce propriamente una novità, ma la novità consiste, piuttosto, nella determinazione di esclusione del diritto all'assegno, nel caso in cui uno o più dei suddetti parametri possano portare al convincimento che il richiedente possa godere di adeguati mezzi necessari al proprio sostentamento.

Continua la Corte affermando un principio che inverte anche sotto il profilo probatorio la dinamica processuale della domanda di mantenimento; secondo la S.C. compete al richiedente l'assegno "l'onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni cui è subordinato il riconoscimento del relativo diritto, è del tutto evidente che il concreto accertamento, nelle singole fattispecie, dell'adeguatezza-inadeguatezza" di «mezzi» e della "possibilità-impossibilità" di procurarseli può dar luogo a due ipotesi:

  • se l'ex coniuge richiedente l'assegno possiede «mezzi adeguati» o è effettivamente in grado di procurarseli, il diritto deve essergli negato tout court;
  • se, invece, lo stesso dimostra di non possedere «mezzi adeguati» e prova anche che «non può procurarseli per ragioni oggettive», il diritto deve essergli riconosciuto".

Sempre con le parole della Corte si afferma che il relativo accertamento attiene esclusivamente alla persona dell'ex coniuge richiedente l'assegno come singolo individuo" senza tenere in considerazione la vita matrimoniale o le capacità dell'altro coniuge.

Soltanto successivamente è legittimo procedere ad un "giudizio comparativo" tra le rispettive "posizioni" personali ed economico-patrimoniali degli ex coniugi, secondo gli specifici criteri dettati dall'art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970 per tale fase del giudizio.

Alla luce di tali premesse, eliminato il punto di riferimento storico del "tenore di vita", la Corte si ritrova nella necessità di individuare un parametro sulla base del quale determinare l'autosufficienza economica del coniuge richiedente, un metro di giudizio sull'adeguatezza-inadeguatezza" dei «mezzi» dell'ex coniuge richiedente l'assegno di divorzio e sulla "possibilità-impossibilità «per ragioni oggettive»" dello stesso di procurarseli.

Il concetto - rivoluzionario - è quello del raggiungimento dell'indipendenza economica" del richiedente.

Afferma la corte: "se è accertato che quest'ultimo è "economicamente indipendente" o è effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto".

I principi affermati dalla sentenza della Cassazione sul mantenimento in parole semplici

Spieghiamo ai non addetti ai lavori i principi affermati dalla sentenza della Cassazione sul mantenimento in parole semplici.

Secondo quando affermato dalla sentenza evidenziata nel paragrafo precedente, per avere l’assegno di mantenimento non conterà più la sproporzione di reddito rispetto al tenore di vita goduto durante il matrimonio ma l’impossibilità per il coniuge economicamente più debole a procurarsi da solo un reddito.

Da oggi in poi non conterà più la differenza di reddito tra moglie e marito al momento del divorzio, ma il fatto che il richiedente non sia oggettivamente in grado di mantenersi da solo.

E se l’assenza di redditi dipende da inerzia o da mancanza di volontà a trovare un lavoro, il giudice dovrà negare l’assegno di mantenimento.

È questa la rivoluzione epocale varata dalla Cassazione: un cambiamento storico perché da oggi in poi il sussidio a favore del coniuge più debole economicamente non verrà più accordato con la facilità e l’automatismo del passato, ma richiederà prove più convincenti del proprio stato di oggettiva difficoltà economica.

Cosa significa in concreto? Significa un definitivo addio al mantenimento per chi può mantenersi da solo.

Dunque, la Corte ha portato a compimento l’iter interpretativo varato qualche anno fa: un inter con cui ha messo alle strette il diritto ad ottenere, sempre e comunque, l’assegno di mantenimento solo per il fatto di avere un reddito più basso rispetto all’ex coniuge.

A contare non è più la semplice sussistenza di una differenza economica tra i due ex coniugi, ma l’assenza di redditi o l’incapacità a procurarseli.

Infatti, la Corte dà peso anche ad altre circostanze come la possibilità di reimpiegarsi nel mondo del lavoro alla luce dell’età del richiedente (tanto più giovane, tanto più facilmente potrà trovare un’occupazione), della formazione scolastica, delle precedenti esperienze formative e/o lavorative.

Detto in termini pratici, l’assegno di mantenimento resterà ad appannaggio ancora delle casalinghe che, per scelta condivisa da entrambi i coniugi, hanno rinunciato a una carriera per occuparsi del ménage familiare e consentire all’uomo di concentrarsi a tempo pieno nella propria attività professionale, imprenditoriale e/o lavorativa.

Senza contare che, oramai da qualche anno, è stato messo nero su bianco il principio secondo cui, nel momento in cui il coniuge beneficiario del mantenimento va a convivere stabilmente con un’altra persona, perde il diritto all’assegno.

Ora, tutto questo, viene chiarito e formalizzato in un’unica sentenza che costituirà, forse, il punto di svolta della futura giurisprudenza.

Dopo ventisette anni, la Cassazione supera l’orientamento consolidato in materia di famiglia che collegava la misura del contributo in favore del coniuge debole al parametro del tenore di vita matrimoniale.

Ora il trattamento, che ha «natura assistenziale», spetta in una misura che va ragguagliata «all’indipendenza o autosufficienza economica» dell’ex coniuge che lo richiede.

In altri termini, la posizione dell’ex moglie (o, anche se più raramente dell’ex marito) senza reddito o con il reddito più basso viene equiparata a quella dei figli: finché questi non hanno la possibilità di procurarsi da soli un reddito, vanno mantenuti, ma nel momento in cui raggiungono l’indipendenza economica oppure sono nelle condizioni di raggiungerla (per formazione, età ed esperienza) e ciò nonostante non vogliono introdursi nel mercato del lavoro, viene meno il diritto a ottenere il contributo assistenziale.

Addio quindi a quelle sentenze di alcuni giudici che, per anni, hanno trasformato l’assegno di mantenimento in una forma di assicurazione a vita in favore dell’ex coniuge.

I dubbi e le riflessioni sulla sentenza della Cassazione in tema di assegno di mantenimento

Ecco, però, quali sono i dubbi e le riflessioni sulla sentenza della Cassazione in tema di assegno di mantenimento.

Ad oggi, tuttavia, è piuttosto prematuro azzardare previsioni sull’impatto che questo precedente giurisprudenziale potrebbe avere sulle coppie che, di qui a breve, vorranno divorziare.

Eppure, è verosimile ipotizzare che i soggetti che maggiormente risentiranno di tale sentenza saranno le donne.

E tra di loro in particolare quelle che hanno goduto di un tenore di vita agiato, non tanto per meriti propri, quanto, piuttosto, per via dei guadagni del marito.

In ogni caso, in un quadro nazionale in cui, a ben vedere, la famiglia italiana è tutt’oggi ancorata a un modello familiare tradizionalistico, è bene auspicare che anche le donne, specialmente le più giovani, si aprano al mondo e alle opportunità lavorative che lo stesso offre loro, non relegandosi al mero ruolo di moglie e madre, ma imparando a conciliare tali ruoli con la carriera professionale.

Sarà inoltre necessario rivalutare la possibilità di regolamentare i patti prematrimoniali, confidando in un intervento del legislatore nel senso di ammetterli e di riconoscere ai coniugi quell’autonomia contrattuale nel regolare i loro rapporti, personali e patrimoniali, che in molti altri paesi europei è già stata raggiunta.

Altrettanto consigliata, in una prospettiva garantistica individuale, è la scelta, in sede di matrimonio, del regime di comunione dei beni che dovrà essere preferito rispetto al regime della separazione.

In caso di divorzio, infatti, tutti i beni caduti in comunione e confluiti nel patrimonio comune verrebbero suddivisi in pari quote tra i coniugi, così parzialmente compensando gli eventuali effetti negativi derivanti dalla negazione dell’assegno di divorzio.

Senza dimenticare che vi è la possibilità di stipulare, prima del matrimonio o nel corso dello stesso, delle convenzioni matrimoniali, con le quali i coniugi potranno “costruirsi” un regime patrimoniale su misura.

Insomma, un modo per tutelarsi in via preventiva e per mettersi al riparo da una giurisprudenza in materia sempre più oscillante, che pretende di dar voce ad un principio - il superamento degli stereotipi di genere - che non è ancora stato totalmente raggiunto.

In una prospettiva ottimistica, ma aspetto che questa sentenza, al di là delle perplessità che ha sollevato, da un lato incentivi le donne a riprendersi quel posto nella società che, per anni, si sono autonegate.

Dall’altro, disincentivi chi, al contrario, negli ultimi dieci, quindici anni, ha approfittato del proprio ruolo di ex moglie per vivere solo sulle spalle del proprio ex marito, uccidendo le proprie ambizioni in nome di un vivere comodamente parassitario.

E chissà che le battaglie per la vera parità in famiglia e sul posto di lavoro non passino anche attraverso questa sentenza.

Il caso Berlusconi-Lario: una contraddizione sul nuovo orientamento giurisprudenziale nell'ambito del mantenimento

Un caso concreto: la diatriba Berlusconi-Lario, ovvero una secca contraddizione sul nuovo orientamento giurisprudenziale nell'ambito del mantenimento.

Silvio Berlusconi "è uno degli uomini più ricchi del mondo" ed è "rilevante" la disparità dei suoi redditi rispetto a quelli della moglie Veronica Lario: per questo la Cassazione ha confermato l'assegno di due milioni di euro al mese in favore della Lario.

I supremi giudici hanno respinto il ricorso del leader di Forza Italia contro il maxiassegno, rilevando che la separazione "non elide la permanenza del vincolo coniugale" e il dovere di assistenza garantendo il precedente tenore di vita.

Dunque, diversamente dalla fase del divorzio, quando "cessano" i doveri di solidarietà coniugale, nelle cause di separazione l'ex coniuge più facoltoso ha ancora il dovere di garantire al partner separato lo stesso tenore di vita del matrimonio.

Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazione della sentenza sulla separazione tra Silvio Berlusconi e Veronica Lario, con conferma del'assegno di due milioni mensili per la donna.

Il verdetto fa riferimento alla recente sentenza sul divorzio che ha mandato in soffitta il tenore di vita, dicendo che non si applica alle separazioni.

18 Maggio 2017 · Andrea Ricciardi


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