Quando si concretizza l’accettazione tacita dell’eredità

L'ipotesi di accettazione tacita (di eredità) si realizza quando la persona chiamata all’eredità compie un atto che implica, necessariamente, la volontà di accettare, volontà che tale soggetto non potrebbe compiere se non nella sua qualità di erede.

La dottrina e la giurisprudenza concordano nel ritenere che presupposti fondamentali e indispensabili ai fini di una accettazione tacita sono: la presenza della consapevolezza, da parte del chiamato, dell’esistenza di una delazione in suo favore; che il chiamato assuma un comportamento inequivoco, in cui si possa riscontrare sia l’elemento intenzionale di carattere soggettivo (c.

d. animus), sia l’elemento oggettivo attinente all'atto, tale che solo chi si trovi nella qualità di erede avrebbe il diritto di compiere.

Di norma, poi, vengono considerate forme di accettazione tacita di eredità:

  1. la proposizione da parte del chiamato dell’azione di rivendicazione, oppure, l’esperire l’azione di riduzione, l’azione, cioè, volta a far valere la qualità di legittimario leso o, comunque, pretermesso dalla sua quota;
  2. l’azione di risoluzione o di rescissione di un contratto;
  3. l’azione di divisione ereditaria, posto che può essere proposta solo da chi ha già assunto la qualità di erede;
  4. la riassunzione di un giudizio già intrapreso dal de cuius o la rinuncia agli effetti di una pronuncia in grado di appello;
  5. il pagamento da parte del chiamato dei debiti lasciati dal de cuius col patrimonio dell’eredità;
  6. ed infine, secondo la dottrina più attenta, anche, la voltura catastale determinerebbe un'accettazione tacita dell’eredità, nella considerazione che solo chi intenda accettare l’eredità assumerebbe l’onere di effettuare tale atto e di attuare il passaggio legale della proprietà dell’immobile dal de cuius a sé stesso.

Ai fini della accettazione tacita dell’eredità sono privi di rilevanza tutti quegli atti che, attesa la loro natura e finalità, non sono idonei ad esprimere, in modo certo, l’intenzione univoca di assunzione della qualità di erede, quali la denuncia di successione, il pagamento delle relative imposte, la richiesta di registrazione del testamento e la sua trascrizione, infatti, trattandosi di adempimenti di prevalente contenuto fiscale, caratterizzati da scopi conservativi, legittimamente, può essere esclusa dal giudice del merito, a cui compete il relativo accertamento, il proposito di accettare l’eredità. Peraltro, siffatto accertamento non può limitarsi all'esecuzione di tali incombenze, ma deve estendersi al complessivo comportamento dell’erede potenziale, ed all'eventuale possesso e gestione anche solo parziale dell’eredità.

Queste le indicazioni fornite, in tema di accettazione tacita dell'eredità, dai giudici della Corte di cassazione con l'ordinanza 4843/2019.

23 Febbraio 2019 · Loredana Pavolini




Commenti e domande

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12 risposte a “Quando si concretizza l’accettazione tacita dell’eredità”

  1. Anonimo ha detto:

    Vorrei sapere se esiste un limite di tempo entro il quale il curatore, nominato dal giudice per l’attuazione della procedura a seguito di una accettazione con beneficio di inventario, il quale ha già effettuato lo stato di graduazione, deve vendere i beni e pagare i creditori.

    • Ludmilla Karadzic ha detto:

      La procedura è abbastanza articolata: comunque, in generale, nessun termine è esplicitamente previsto per il compimento della liquidazione e per la formazione dello stato di graduazione, dovendosi ciò desumere dal dettato dell’art. 500 del codice civile, ove è stabilito che, soltanto a seguito di espressa istanza in tal senso avanzata da parte di alcuno dei creditori o dei legatari, l’autorità giudiziaria può assegnare un termine all’erede per il compimento dei suddetti atti.

      Con riferimento alla varie fasi in cui si può scomporre l’intera procedura, dopo le prime fasi, che sono quella dell’ accettazione con beneficio di inventario e della redazione dell’inventario (che ex art. 769 c.p.c. può essere eseguita dal cancelliere), l’art. 503 c.c. consente all’erede, anche quando non vi sia opposizione da parte di creditori e legatari al loro pagamento a misura che si presentano (ex art. 495 c.c.), di valersi della procedura di liquidazione prevista dagli artt. 498 e ss. c.c.

      Questa ha inizio con l’invito ai creditori a presentare, entro il termine di trenta giorni dal suo ricevimento, le loro dichiarazioni di credito, depositandole insieme con i titoli relativi presso lo studio del notaio a cui ci si è affidati.

      Tale invito deve essere spedito con raccomandata o notificato a mezzo ufficiale giudiziario ai creditori di cui è noto il domicilio o la residenza (non è più richiesta la pubblicazione nel Foglio annunzi legali della provincia, in quanto abolito); eseguita la comunicazione e/o notificazione, non possono essere iniziate dai singoli creditori procedure esecutive.

      Scaduto il termine entro cui devono presentarsi le dichiarazioni di credito, sarà l’erede a provvedere, con l’assistenza del notaio, a liquidare le attività ereditarie, facendosi autorizzare alle alienazioni necessarie.

      L’autorizzazione alla vendita va richiesta con ricorso diretto ex art. 747 c.p.c. al Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione e viene disposta con decreto emesso in camera di consiglio, avverso il quale è possibile proporre reclamo ex art. 739 c.p.c. (trattasi di procedimento di volontaria giurisdizione).

      Nello stesso ricorso con cui si chiede di essere autorizzati alla vendita, può farsi istanza per delegare le operazioni di vendita ad un notaio.

      Eseguita la vendita, il notaio, sempre previo incarico conferitogli dall’erede, redigerà un verbale contenente la formazione dello stato di graduazione, ove i creditori verranno collocati secondo i rispettivi diritti di prelazione.

      Di tale verbale si darà avviso ai creditori, ed ai legatari se ve ne sono, anche questa volta a mezzo raccomandata.

      Trascorsi, senza reclami, trenta giorni dalla data di ricezione di tale avviso, lo stato di graduazione diviene definitivo e costituisce anche titolo esecutivo contro gli eredi.

  2. Anonimo ha detto:

    Scusate se insisto ma se chi compra la seconda volta e’ terzo in buona fede, dovrebbe essere tutelato, quindi anche se venisse revocato l’atto della prima compravendita, colui che ha comprato la seconda volta, dovrebbe essere tutelato, e l’eventuale creditore trovarsi con un pugno di mosche in mano?non e’ cosi?

    • Non basta essere in buona fede: se il secondo compratore, pur non essendo un immobiliarista, è un soggetto che ha locato l’immobile (e non un soggetto che ha comprato casa per sè o per i propri familiari, eleggendola ad abitazione principale) l’azione revocatoria potrebbe essere ammessa, potrebbe fare danni e coinvolgere poi, con azioni risarcitorie a catena, il venditore debitore iniziale che credeva di aver risolto.

  3. Anonimo ha detto:

    Grazie per la risposta, la mia domanda e’ se io vendo la casa, PRIMA dell’azione revocatoria, il creditore potra’ richiedere qualcosa a me acquirente anche se l’immobile e’ stato rivenduto?

    • Annapaola Ferri ha detto:

      A lei no, ma se l’acquirente che ha ricomprato casa (anche dopo più passaggi) vede accolta l’azione revocatoria e si vede espropriare l’immobile, può solo scegliere se commettere un omicidio o citare in Tribunale per i danni che gliel’ha venduta E così a catena a ritroso: insomma si troverebbe un po’ di gente ad attenderla sotto (la nuova) casa.

  4. Anonimo ha detto:

    Ho acquistato un immobile da mia madre come mia prima abitazione

    Sulla casa non c’e’ nessuna richiesta di pignoramento. La vendita è stata fatta al corretto prezzo di mercato.
    Quindi è stato fatto tutto in buona fede.
    Ad oggi non esiste nessun debito.

    Se io rivendo la casa, prima che nasca un debito (tramite sentenza) e quindi prima di un’azione revocatoria da parte di un creditore futuro, quest’ultimo non potra’ piu’ fare nulla nei miei confronti?

    Grazie

    • Annapaola Ferri ha detto:

      Se il giudizio è già in corso, il suo creditore potrà agire con azione revocatoria dell’atto di compravendita prima che sia passato un quinquennio dal rogito notarile.

      Tuttavia, se l’acquirente non è un parente o un affine del debitore che aliena, se la transazione si basa su prezzi di mercato ed il passaggio di denaro fra venditore ed acquirente è tracciabile, se chi compra elegge l’immobile ad abitazione principale (cioè vi va a risiedere lui personalmente o uno dei suoi familiari) l’azione revocatoria dell’atto di compravendita è inammissibile.

      Qualora il diritto di proporre azione revocatoria dell’atto di compravendita si prescriva o l’azione stessa risulti inammissibile, il creditore dovrà rinunciare ad espropriare l’immobile venduto a terzi e a soddisfare il credito vantato con il ricavato della vendita all’asta. Ma, naturalmente, potrà agire nei confronti del proprio debitore con pignoramento dello stipendio, del conto corrente, o di un altro immobile di proprietà del debitore.

  5. Anonimo ha detto:

    Grazie per la risposta, vorrei comunque sapere quale articolo del codice civile indica la possibilità di impugnare la rinuncia all’eredita’ per un debito non ancora esistente?

    • Annapaola Ferri ha detto:

      Se taluno rinunzia, benché senza frode, a un’eredità con danno dei suoi creditori, questi possono farsi autorizzare ad accettare l’eredità in nome e luogo del rinunziante , al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti (articolo 524 codice civile).

      La risposta precedente non dice affatto che chiunque può impugnare la rinuncia, ma afferma che un creditore dell’erede rinunciante può impugnare la rinuncia. Ovvero, anche se al tempo della successione e della contestuale rinuncia all’eredità il debito non esisteva, ma nell’ipotesi che esso prenda forma entro il successivo quinquennio, il creditore può impugnare la rinuncia.

      Infatti, per l’impugnazione della rinuncia ereditaria ai sensi dell’articolo 524 del codice civile, è richiesto il solo presupposto oggettivo del prevedibile danno ai creditori, che si verifica quando, al momento dell’esercizio dell’azione di impugnazione, fondate ragioni facciano apparire i beni personali del rinunciante insufficienti a soddisfare del tutto i suoi creditori (Corte di cassazione, ordinanza 8519/2016).

  6. Anonimo ha detto:

    Salve, ho una domanda, se Luca , rinuncia all’eredità di Franco, in favore del discendente Alex, per paura di debiti futuri, i creditori futuri possono far revocare la rinuncia all’eredità se questa è stata effettuata PRIMA del sorgere del debito?
    Grazie

    • Certamente, se il creditore procedente riesce a dimostrare che la rinuncia all’eredità di Franco da parte del debitore Luca è stata effettuata proprio nel timore di tutelare il proprio patrimonio dall’insorgenza di debiti futuri (tipo, se evado le tasse ed ho paura di essere pizzicato). Tuttavia, bisogna anche tener conto che l’impugnazione della rinuncia all’eredità effettuata dal proprio debitore deve essere impugnata dal creditore entro cinque anni dalla dichiarazione di rinuncia.

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