TIA (Tariffa Integrata Ambientale) – possono partire i rimborsi per IVA non dovuta

L'agente della riscossione deve restituire l'IVA sulla TIA (Tariffa Integrata Ambientale)

Mentre gas e acqua sono misurabili e dunque "tariffabili"  i rifiuti consumati non si possono quantificare. Al massimo si può legare il costo dell'erogazione del servizio di smaltimento ai metri quadrati della casa o al numero di componenti.  Pertanto, lo  smaltimento dei rifiuti solidi urbani  è un servizio di natura tributaria  e non una tariffa. Così la Corte costituzionale (nel 2009) e la Corte di Cassazione (sentenza 3766 dell'8 marzo 2012).

Attesa, dunque, la natura tributaria della TIA (Tariffa Integrata Ambientale già Tariffa di Igiene Ambientale)  deve escludersi l’applicazione dell'Iva da parte dell'azienda comunale che gestisce la raccolta dei rifiuti. Infatti, l’Iva, come ogni altra imposta, deve colpire una qualche capacità contributiva, mentre nel caso dell'immondizia non c’è un nesso diretto fra il servizio di raccolta e di smaltimento e l’entità del prelievo.

Non esiste, d'altra parte, una norma legislativa che espressamente assoggetti ad Iva le prestazioni del servizio di smaltimento dei rifiuti. Il quinto comma dell'articolo 4 del Dpr 26 ottobre 1972 numero 633, si limita a statuire che, ai fini dell'Iva, sono considerate in ogni caso commerciali, ancorché esercitate da enti pubblici, le attività di erogazione di acqua e servizi di fognatura e depurazione, gas, energia elettrica e vapore.

Ora, sono circa 7 milioni le famiglie che aspettano la restituzione dell'Iva che hanno ingiustamente pagato sulla TIA negli ultimi dodici anni. Molti cittadini hanno presentato richieste di rimborso alle società di gestione della raccolta rifiuti o ai Comuni: ma la risposta è stata sempre la stessa: la questione riguarda lo Stato centrale, dal momento che i Municipi hanno semplicemente svolto il ruolo di esattori.

Ma perchè i Comuni avevano scelto la strada della tariffa, accantonando la Tarsu e introducendo la nuova Tia? Semplicemente perché scegliere la tariffa, piuttosto che la tassa, permetteva di scorporare gli incassi dal Patto di Stabilità interno che ingabbia spese e entrate ai fini del controllo delle finanze pubbliche.

Da qualche anno la patata bollente scotta tra le mani dei governi che hanno tentato di disinnescare l’esplosiva questione. L’esecutivo Berlusconi, ad esempio, escogitò uno stratagemma: con la manovra del 2010 stabilì che i contenziosi sull'IVA applicata alla TIA andassero discussi di fronte al giudice ordinario e non semplicemente di fronte a quello tributario.

La competenza a conoscere di controversie del genere in capo al giudice ordinario è stata successivamente indicata anche dalla Sezioni unite civili della Cassazione (sentenza 2064/11).

Un particolare non irrilevante, questo, visto che per riavere indietro 208 euro (la media di Iva pagata da ciascuna dei 7 milioni di famiglie che attendono il rimborso) bisognava attivare una pratica che costa almeno altrettanto in bolli.

Anche il governo Monti non ha ignorato la spinosa vicenda e, come sappiamo, anno ha preparato un "ribaltone": la Tarsu e la Tia spariranno e arriverà la Tares, esplicitamente considerata una tassa, dunque al riparo dall'applicazione dell'Iva e dai contenziosi.

Ma il nodo vero resta quello delle casse dello Stato: l’apposito Fondo restituzione imposte del ministero del Tesoro, infatti, è stato intaccato per reperire risorse necessarie alla riforma degli ammortizzatori sociali.

Ed allora: le famiglie dovranno ancora attendere? No, a quanto sembra!

Il giudice di pace di Viareggio, con la sentenza numero 142/13 ha stabilito che Deve ordinarsi ex articolo 2033 cc all'ente riscossore la restituzione all'utente dell'indebito versato a titolo di Iva sulla tariffa di igiene ambientale (TIA) per il servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani, per ognuna delle annualità di esazione, dovendo ricordarsi che la disciplina comunitaria ha escluso dall'assoggettamento all'imposta sul valore aggiunto diritti, canoni e contributi che sono percepiti da enti pubblici per operazioni esercitare in qualità di pubbliche autorità e dovendosi rilevare la natura tributaria della TIA per l’inesistenza di un nesso diretto tra il servizio e l’entità del prelievo, quest’ultimo essendo commisurato a mere presunzioni forfetarie.

E dunque, il "maltolto" potrebbe essere richiesto direttamente all'agente per la riscossione dei tributi, anche attraverso la compensazione.

Le controversie aventi ad oggetto l'obbligo di versamento della TIA hanno natura tributaria

La TIA, costituisce non già una entrata patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della TARSU, disciplinata dal dpr numero 507/1993, e conserva la qualifica di tributo propria di quest’ultima, con la conseguenza che le controversie aventi ad oggetto l'obbligo di versamento della TIA hanno natura tributaria.

Pertanto, la contestazione sulla TIA è competenza del giudice tributario attesa la natura tributaria del credito fatto valere. La fattura costituisce atto impugnabile nella misura in cui contiene la richiesta di pagamento della TIA e, in quanto tale, deve, altresì, contenere tutti gli elementi costitutivi propri dei provvedimenti tributari, anche in ossequio alla disciplina della Statuto del contribuente.

Questo l'orientamento della Corte di Cassazione, sezione Tributaria, che con la sentenza numero 11157 del 10 maggio 2013, ha confermato l'annullamento di due fatture commerciali TIA, ad opera della Commissione Tributaria Regionale della Toscana, perché prive di adeguata motivazione.

In particolare, le due fatture si limitavano a indicare la categoria dell'immobile, l'anno di riferimento, la superficie in metri quadrati, il costo unitario a metro e la delibera comunale di fissazione di tale importo.

7 Maggio 2013 · Giorgio Valli


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