Separazione » Ex moglie affetta da shopping compulsivo? L’addebito è legittimo

Separazione personale » Moglie affetta da shopping compulsivo? L'addebito è legittimo

Separazione a causa di violazione dei doveri matrimoniali con furti di denaro ai familiari per comprare vestiti, borse e gioielli: il disturbo dello shopping compulsivo non sconfessa il reo, pertanto l'addebito è legittimo.

La separazione personale deve essere addebitata al coniuge affetto da sindrome da shopping compulsivo che lo porta a sottrarre somme di denaro a familiari e terzi pur di soddisfare l’irrefrenabile istinto a comprare beni mobili.

Detta condotta costituisce una violazione dei doveri matrimoniali che rende intollerabile la convivenza.

Non conta il fatto che essa sia dettata da un un disturbo della personalità che in questa fattispecie non esclude l’imputabilità.

Questo, in essenza, il verdetto della Corte di Cassazione in merito alla pronuncia numero 25843/13.

Separazione e shopping compulsivo: Approfondimenti

Facciamo un passo indietro.

Per cominciare, è bene chiarire che il secondo comma dell'articolo 151 del codice civile prevede che il giudice, pronunciando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi essa sia addebitabile, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri derivanti dal matrimonio.

L'addebito della separazione è, dunque, una sorta di sanzione contro la violazione dei doveri familiari e coniugali.

Come in più occasioni ribadito dalla Corte di Cassazione la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola inosservanza dei doveri coniugali, implicando, invece, tale pronuncia la prova che la irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario a tali doveri da parte di uno o di entrambi i coniugi.

Cioè che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati e il determinarsi dell'intollerabilità della ulteriore convivenza.

L'intollerabilità della prosecuzione delle convivenza fra i coniugi diviene il presupposto essenziale e sufficiente per la pronuncia della separazione legale giudiziale.

I soggetti affetti dalla sindrome da shopping compulsivo, invece, assumono comportamenti che si sostanziano nella mania di acquistare tutto ciò che è in vendita.

Il piacere che deriva dall'acquisto è tuttavia di breve durata: tolta l’etichetta del prezzo all'oggetto comprato, scema anche la sensazione di benessere.

E quindi, si ricomincia daccapo.

Addebito della separazione a causa di shopping compulsivo - Il fatto e le considerazioni sulla pronuncia

Disturbo della personalità sì, incapacità d’intendere e volere no.

Si becca la separazione con addebito e perde così il mantenimento la moglie affetta dalla sindrome da shopping compulsivo, come attesta la Ctu.

La signora, infatti, si mostra ben presente a sé stessa, oltre che curata nell’aspetto e, dunque, risulta perfettamente consapevole della propria patologia, che la spinge a rubare somme di denaro a familiari (e anche a terzi), pur di comprare vestiti, borse e gioielli.

In questo caso, secondo il giudice del merito, il disturbo della personalità che pure è acclarato non esclude l’imputabilità della signora ai fini dell'intollerabilità della convivenza.

Dovrà, quindi, rassegnarsi, la signora: non otterrà l'assegno di 2 mila euro al mese che pure le era stato riconosciuto dal giudice di prime cure.

La consulenza tecnica d’ufficio parla chiaro: la donna è preda dell'istinto irrefrenabile di comprare capi di abbigliamento e accessori, oltre che monili, con una tensione crescente che si placa soltanto quando la voglia matta non risulta soddisfatta.

E ciò anche a costo di rubare al marito o ad altri.

Per il resto, però, l’ex coniuge ha facoltà mentali perfettamente integre e nessun problema a relazionarsi con il prossimo e a orientarsi nel tempo e nello spazio: anzi, risulta adeguata nel comportamento oltre che ricercata nel vestire.

La costrizione a ripetere gli acquisti forzati ha andamento esponenziale e costa sempre di più alla famiglia.

A questo punto non ha molto senso accertare che sia vero o meno che l’interessata abbia rifiutato di farsi aiutare da un medico specializzato, laddove ai fini dell'addebito si configura senz’altro la violazione dei doveri matrimoniali ex articolo 143 Cc.

Alla donna non resta che pagare le spese di giudizio.

20 Novembre 2013 · Andrea Ricciardi




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