Pignoramento ed espropriazione immobiliare » Abitazione invenduta all’asta? Stop all’esecuzione forzata

Pignoramento ed espropriazione immobiliare » Abitazione invenduta all'asta? Stop all'esecuzione forzata

Nell'ambito del pignoramento immobiliare ordinario (non da parte dello stato) riguardante l'espropriazione dell'abitazione, in caso di numerose aste improduttive, può esserci lo stop all'esecuzione coattiva.

Pignoramento di un immobile con successiva vendita all'asta: qualora, dopo numerosi tentativi di vendita andati a vuoto, il valore del bene sia talmente diminuito, tanto da non poter più soddisfare le pretese dei creditori, può esserci uno stop al procedimento di esecuzione forzata.

Ma da quali norme e articoli è prevista questa massima? E' sempre possibile attuarla?

Inoltre, in quali casi è possibile usufruirne ed in quali no?

Queste regole possono essere applicate anche nel caso di pignoramento esattoriale?

Vediamo di capirci qualcosa in più.

L'articolo del Cpc introdotto con la riforma della giustizia che prevede lo stop dell'esecuzione forzata per asta infruttuosa

Un'articolo del Codice di Procedura Civile prevede lo stop al pignoramento immobiliare, e quindi dell'esecuzione forzata, dopo diverse aste per la vendita andate a vuoto.

Tra le tante novità dell’ultima riforma della giustizia, è obbligatorio notare che è stata prevista una misura di estremo interesse e importanza, a tutela della casa e del debitore.

Infatti, con la legge 162/14, è stato introdotto un importante articolo, ovvero il 164 bis del Codice di Procedura Civile (Cpc).

Dal testo si evince che, quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo, è disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo.

In termini più semplici, la riforma ha previsto che, a seguito di una serie di ribassi di asta, se il prezzo battuto come base per l’esecuzione forzata dell’immobile dovesse discostarsi di molto dal suo valore di mercato, il giudice può disporre la chiusura anticipata del processo esecutivo.

Ciò, praticamente, vuol dire che, il creditore, dopo aver anticipato gli elevati importi per le spese di pignoramento, aver atteso diversi anni nella speranza di recuperare il proprio credito, dovrebbe, invece, dire addio alla procedura e tornare a casa con le tasche vuote.

Da notare, però, che la legge non specifica dopo quanti ribassi possa avvenire l’estinzione del pignoramento, né a quanto debba arrivare il prezzo dell’immobile prima di poter sperare di sbarazzarsi dell’esecuzione.

Tuttavia, stando alle interpretazioni di numerosi tribunali, le aste deserte devono essere certamente superiori a 4 o 5 e il prezzo deve essere sceso al di sotto del 30-40% del valore effettivo di mercato.

Il vaglio della procedura è comunque riservata al potere discrezionale del magistrato di turno (ma che, ovviamente può essere sollecitato dagli avvocati delle parti).

Comunque, la valutazione del giudice di chiudere anticipatamente la procedura, non deve tenere conto solo del ribasso del prezzo e della differenza rispetto al valore di mercato del bene, ma anche dei costi necessari a proseguire il pignoramento, delle probabilità di vendere il bene e del presumibile valore di realizzo.

Da ciò ne deriva, dunque, che tanto più difficile è trovare potenziali interessati all'asta, tanto più facile sarà per il debitore ottenere dal tribunale tale provvedimento, il quale, anche in questo caso, può essere disposto dal giudice d’ufficio o anche su istanza di una delle parti del processo esecutivo.

Si tenga conto, tuttavia, che per come è stata formulata la norma, essa si applica solo nel caso di pignoramenti e vendite forzate e non nel caso di vendite conseguenti a fallimenti.

Naturalmente, il creditore, una volta estinta la procedura per assenza di offerte, potrebbe procedere a pignorare nuovamente lo stesso immobile, riavviando il medesimo calvario per il debitore.

In questo caso, però, si potrebbe configurare un abuso di diritto poiché, il debitore, potrebbe proporre una opposizione all'esecuzione forzata avvalorandosi della tesi che il creditore conosca l’inutilità della procedura in assenza di riassetti del mercato immobiliare.

In tale ipotesi, si potrebbe addirittura chiedere la condanna del creditore al risarcimento del danno per lite temeraria.

Le decisioni dei tribunali che hanno utilizzato l'articolo 164 bis del Cpc per terminare l'esecuzione forzata in merito al pignoramento immobiliare

Dopo aver descritto la norma che prevede lo stop dell'esecuzione forzata nel caso di eccessivo deprezzamento dell'immobile sottoposto a pignoramento, vediamo quanti e quali tribunali hanno avallato questa tesi con le sentenze.

Come già esplicato nel precedente paragrafo, quando il prezzo di vendita del bene pignorato dal creditore subisce un eccessivo ribasso rispetto all'effettivo valore del medesimo a causa di una serie di aste giudiziarie deserte, il Giudice può sospendere l’esecuzione immobiliare o, addirittura, estinguerla, restituendo il bene nella piena disponibilità del debitore pignorato.

Considerando la grave crisi in cui versa il mercato immobiliare, è sempre più frequente che le aste giudiziarie con le quali vengono messi in vendita i beni immobiliari pignorati vadano deserte, determinando, così, un progressivo abbassamento del prezzo di vendita rispetto al valore del bene inizialmente stimato.

A seguito del pignoramento ma prima della messa in vendita del bene, il Giudice dell’Esecuzione incarica un perito affinché rediga una relazione di stima sulla base del quale viene determinato il prezzo base d’asta.

Nel caso in cui non sia presentata alcuna offerta di acquisto, il Giudice fisserà una nuova asta, partendo da un prezzo base inferiore.

Con tale meccanismo, in un periodo di recessione come quello attuale, non è raro che le aste giudiziarie vadano deserte ossia restino senza formulazione di alcuna offerta di acquisto anche 5,6 7 o 10 volte, con la conseguenza che un bene inizialmente stimato, ad esempio, per un valore di circa € 800,000 possa essere offerto in vendita ad un prezzo pari o inferiore a € 80.000,.

Secondo alcuni Tribunali (Belluno, Foggia, Roma, Napoli), tale conseguenza deve ritenersi iniqua per il debitore sottoposto a pignoramento il cui bene sarebbe venduto ad un prezzo vile, presumibilmente non riuscendo neppure ad estinguere totalmente i propri debiti e a soddisfare integralmente i creditori.

Al fine di porre rimedio a tale situazione, questi Tribunali hanno fatto ricorso all’art. 164-bis c.p.c. il quale prevede la possibilità per il Giudice dell’Esecuzione di disporre la chiusura anticipata del processo quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo”. Tale possibilità è stata introdotta dalla legge in tema di provvedimenti urgenti per la lotta alla criminalità organizzata.

Il fine perseguito dal legislatore era quello di ostacolare la prassi con la quale le organizzazioni criminali di stampo mafioso riuscivano ad aggiudicarsi beni immobili a prezzi molto bassi, interferendo nelle vendite immobiliari e facendo in modo che non venissero formulate offerte di acquisto a prezzi più alti.

La giurisprudenza ha chiarito che la sproporzione tra il giusto prezzo e quello offerto affinché si realizzi la condizione richiesta dalla legge per la sospensione della vendita, non deve necessariamente derivare da interferenze illecite ma può, altresì, discendere da fattori fisiologici quali, per l’appunto, da eccessivi ribassi, conseguenza di una serie di aste deserte.

Pertanto, diversi Tribunali hanno da tempo fatto proprio tale principio, sancendo che costituirebbe una punizione ingiusta per il debitore proseguire un’azione che ha già dimostrato di essere infruttuosa, poiché, in tal modo, sarebbero frustrati gli interessi economici sia del debitore che del creditore.

In conclusione, quando il debitore viva una situazione analoga a quella descritta ossia nel caso in cui, a seguito di una lunga serie di aste andate deserte, il bene raggiunga un prezzo di vendita estremamente basso, potrà presentare, per il tramite di un legale, al Giudice dell’Esecuzione un’istanza tesa all'ottenimento di una pronuncia di estinzione della procedura esecutiva.

Quando i tribunali si pronunciano contrariamente allo stop dell'esecuzione forzata prevista dall'articolo 164 bis cpc

Non tutti i giudici, però, sono favorevoli all'applicazione dell'articolo 164 bis Cpc che determina lo stop dell'esecuzione forzata per eccessivo deprezzamento del bene immobile sottoposto al pignoramento.

Una pronuncia controcorrente: i soli ribassi a base d’asta non comportano l'estinzione anticipata dell’espropriazione forzata per infruttuosità.

A parere del Tribunale di Palermo, infatti, l’istituto della chiusura anticipata del processo esecutivo per infruttuosità dell’espropriazione, non può trovare applicazione quando la riduzione del prezzo a base d’asta degli immobili pignorati è stata determinata, conformemente al dettato codicistico, dall'esito infruttuoso dei precedenti tentativi di vendita.

Secondo i giudici palermitani non sempre può essere applicato l'articolo 164 bis. Infatti, lo stesso non può trovare adesione quando, nonostante i ribassi, il valore dei beni è tale da consentire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori.

Ciò, perché l’articolo 164 bis Cpc stabilisce che il processo esecutivo deve chiudersi quando, tenuto conto dei costi per la sua prosecuzione, delle probabilità di liquidazione del bene pignorato e del suo presumibile valore di realizzo, è da ritenere che non sarà possibile conseguire un “ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori”.

Si deve trattare, in altri termini, di casi limite, nei quali il valore del bene è così irrisorio da non coprire, ragionevolmente, neppure i costi necessari per la vendita.

Dunque, la semplice riduzione del prezzo a base d’asta non può invece consentire la chiusura anticipata del processo esecutivo.

La norma sullo stop dell'esecuzione forzata in caso di deprezzamento del valore del bene immobiliare sottoposto a pignoramento si applica anche ad Equitalia?

Nonostante i limiti al pignoramento esattoriale posti dal Decreto del Fare all'Agente della riscossione, la nuova norma si applica anche ad Equitalia: vediamo come.

Le regole già chiaramente discusse nei precedenti paragrafi, si applicano anche ai casi in cui il creditore sia lo stato.

Dunque, le norme si allargano anche ad Equitalia così, come ovviamente, quando ad agire è un privato, come una banca, un fornitore ecc.

Di tanto ne è convinta la stessa Cassazione che, in passato, ha confermato la possibilità di applicazione delle regole sulla sospensione delle esecuzioni forzate anche nel caso di riscossione esattoriale.

Infatti, la Suprema Corte, con la sentenza 692/12, ha chiarito che nell'esecuzione esattoriale il potere del giudice di valutare l’adeguatezza del prezzo di trasferimento non solo non subisce alcuna eccezione rispetto esecuzione ordinaria, ma deve essere esercitato con particolare oculatezza, sì da valutare se, nel singolo caso, sia più dannoso per lo Stato creditore il protrarsi dei tempi di riscossione o la perdita della possibilità di realizzare gran parte del proprio credito, a causa della sottovalutazione del bene pignorato.

Da notare bene che, nel caso di Equitalia, peraltro, l’attuale normativa prevede la possibilità di ipoteca solo per debiti superiori a 20.000 euro, mentre il pignoramento è possibile solo dopo aver raggiunto 120.000 euro e sempre a condizione che non si tratti della prima casa di residenza adibita a civile abitazione (nella quale ipotesi, invece, è possibile solo l’ipoteca come mezzo di coercizione del debitore).

22 Ottobre 2015 · Gennaro Andele


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