Il patto di quota lite – vietato anche a ragionieri e commercialisti se svolgono attività di patrocinio nelle commissioni tributarie

Una delle numerose novità introdotte nel panorama delle liberalizzazioni dal decreto Bersani del 2006, riguardava l’abolizione del divieto del patto di quota lite. Questo patto altro è un accordo tra avvocato e cliente in base al quale si attribuisce al primo, quale compenso della sua attività professionale, una parte (quota) dei beni o diritti che il giudice riconoscerà in sentenza al secondo. Il patto di quota lite, con la legge Bersani, veniva ammesso, purché redatto in forma scritta.

Successivamente è intervenuto il Consiglio Nazionale Forense (CNF) a chiarire cosa è possibile e cosa non è possibile pattuire fra cliente ed avvocato.

In pratica, è stato ritenuto illecito l’accordo in cui il cliente promette al proprio legale, ad esempio, il 20% di quanto il giudice gli riconoscerà in sentenza, nei confronti della controparte. Invece, è rimasto valido il patto con cui il cliente promette all'avvocato il 20% di quanto egli, nella domanda giudiziale, chiede alla controparte, sebbene ancora non sappia l'importo concreto che, alla fine del giudizio, il giudice gli riconoscerà.

In altre parole, la percentuale può essere rapportata al valore astratto dei beni in contesa, ma non lo può essere al risultato concreto. Questo perché, secondo il CNF, il legale non può partecipare al rischio della causa, vedendo aumentare, diminuire o addirittura annullarsi il proprio compenso a seconda di quanto, con la sentenza definitiva, il proprio cliente percepirà.

Ed infatti, il divieto del patto di quota lite tra l'avvocato e cliente trova il suo fondamento nell'esigenza di tutelare l’interesse del cliente e la dignità e la moralità della professione forense, che risulterebbe pregiudicata tutte le volte in cui, nella pattuizione del compenso, risultasse ravvisabile la partecipazione del professionista agli interessi economici finali ed esterni alla prestazione, giudiziale o stragiudiziale, che gli viene richiesta.

Ne consegue che il patto di quota lite va rinvenuto non soltanto nella ipotesi in cui il compenso del legale consista in parte dei beni o crediti per i quali c'è contenzioso, ma anche qualora tale compenso sia stato, comunque, convenzionalmente correlato al risultato pratico (in sentenza) dell’attività svolta.

Le disposizioni sul divieto del patto di quota lite si riferiscono esclusivamente all'attività del difensore. E, quindi, possono estendersi ai ragionieri e ai commercialisti nelle ipotesi in cui questi svolgano attività di patrocinio innanzi alle Commissioni tributarie.

Così si è espressa la Corte di cassazione nella sentenza 20839/14.

7 Ottobre 2014 · Loredana Pavolini


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