Il giudice deve limitarsi a verificare la legittimità della sanzione comminata dal datore di lavoro al proprio dipendente ma non può modificarne l’entità

La graduazione della sanzione in relazione alla gravita’ dell'illecito disciplinare e’ espressione di una discrezionalità che rientra nel piu’ ampio potere organizzativo quale aspetto del diritto di iniziativa economica privata che la Costituzione riconosce all'imprenditore.

I criteri di scelta adottati dall'imprenditore nell'esercizio del potere disciplinare non sono sindacabili nel merito dal giudice adito, che deve limitarsi a verificare, oltre all'esistenza dell’addebito, il rispetto delle disposizioni legislative e contrattuali in materia e, in particolare, del principio inderogabile secondo il quale le sanzioni disciplinari devono essere proporzionate alla gravita’ dell’infrazione.

La violazione delle disposizioni legislative e contrattuali in materia di lavoro, nonché del principio della proporzionalità rispetto alla gravita’ dell'illecito disciplinare, comporta l’illegittimità della sanzione comminata, senza che al giudice adito sia dato il potere di sostituirsi all'imprenditore nell'applicare altra meno grave sanzione ritenuta proporzionata all'infrazione accertata, fatto salvo il caso in cui l’imprenditore abbia superato il massimo previsto dalla legge e la riduzione consista, perciò, soltanto nel ricondurre la sanzione entro tale limite.

Questo il principio enunciato dai giudici della Corte di cassazione nella sentenza 22150/15.

23 Dicembre 2015 · Tullio Solinas




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