Mutui – crisi subprime, secondo atto

SEMBRAVA sopita, ed era uscita dalle prime pagine dei giornali. Invece all'improvviso la tempesta dei subprime torna ad esplodere nel modo più violento: alla fine della settimana scorsa in rapidissima successione da tutti i fronti sono arrivate notizie disastrose.

Mentre gli agenti dell'Fbi arrestavano in ogni angolo d’America decine di broker che avevano lucrato sui bond fabbricati con i mutui a rischio spacciandoli per pregiatissimi, la Citigroup faceva sapere che per il trimestre che sta per finire dovrà contabilizzare nuove e impreviste perdite da brivido.

Ma soprattutto, dal mercato immobiliare americano arriva la conferma che i prezzi sono in picchiata, e chissà quando si fermerà la caduta. E’ quest’ultima, in termini macroeconomici, la notizia più inquietante. Che si condisce di particolari sinistri. Interi quartieri, periferie un tempo pregiate, zone residenziali costruite con cura e addobbate con amore, si presentano agli occhi dell'incredulo passante come uno sconcertante paesaggio di devastazione.

Un tempo le case gli americani le bruciavano, adesso le scassano a picconate: quelle belle casettine di legno a colori pastello con la cassetta delle lettere al bordo del giardino e la bandiera a stelle e strisce sul porch (veranda), distrutte senza pietà. Quando gli veniva dato fuoco senza troppi complimenti, era per convincere un affittuario ad andarsene, come racconta Tom Wolfe nel Falò delle vanità romanzo paradigmatico sulla New York da bere degli anni ’80 oppure per incassare l’assicurazione o più spesso ancora per non pagare le tasse, che in molti Stati vengono sospese se la casa è impraticabile. L’usanza di sfigurarle a colpi di piccone, sfasciare i vetri, sfondare i muri, è invece più recente: è la ritorsione contro la banca che pignora la casa perché non si è pagato il mutuo. Il padrone di casa sfrattato si vendica abbattendo il valore dell'immobile, e nel frattempo induce la banca a pensarci due volte prima di sfrattare l’amico parimenti in difficoltà. A Cleveland in Ohio, in un quartiere che si chiama Slavic Center e già evoca le scene della guerra in Bosnia, qualche giorno fa sono state contate 1.500 case in queste condizioni.

La crisi del mercato immobiliare è causa ed effetto insieme della crisi finanziaria che martirizza il sistema creditizio. L’ha avviata la bolla dei subprime, i cui lati illegali stanno venendo alla luce in questi giorni con l’ondata di arresti in tutta l’America. E mentre arriva al redde rationem l’inchiesta che decine di procure hanno condotto in silenzio per tre mesi e mezzo, la crisi immobiliare si sta annodando su se stessa e vive il momento più difficile. Qualsiasi possibilità di soluzione, che pure in certi momenti era sembrata a portata di mano nelle ultime settimane, è rinviata a data da destinarsi. «Il peggio deve ancora venire», ha sentenziato giovedì scorso John Paulson, uno dei più scaltri gestori di hedge fund, che peraltro aveva fiutato il cattivo vento già due anni fa (con l’aiuto del suo superconsulente Alan Greenspan) e aveva scommesso al ribasso sui titoli basati sui subprime guadagnando con il suo hedgefund Paulson & Co. (che oggi vale 33 miliardi) l’iperbolica somma di 6 miliardi di dollari nel solo 2007. Se ne è messi in tasca personalmente quattro, il maggior guadagno di sempre per un gestore di fondi, e questo mentre tutti gli altri perdevano e qualcuno architettava per salvarsi manovre che ora gli sono costate la galera.

La maggior parte degli economisti è d’accordo con Paulson (solo omonimo del ministro del tesoro) e fra questi Allen Sinai: «Mi aspettavo un clamoroso showdown giudiziario, anzi è arrivato fin troppo tardi. Ma dobbiamo concentrarci sulla crisi dell'immobiliare: non ne usciremo prima di metà 2009 e forse oltre». Gli ultimi dati sono scoraggianti. I pignoramenti ordinati dalle banche per morosità sul mutuo (73.000 nel solo maggio contro i 28.548 del maggio 2007) sono aumentati negli ultimi 12 mesi del 158%. Ad oggi 1,3 milioni di famiglie, secondo i calcoli della Mortgage Bankers Association, sono rimaste vittima di una foreclosure dall'anno scorso. I prezzi delle case dall'aprile 2007 all'aprile 2008, stando all'indice di riferimento CaseShiller, sono scesi del 14,1%. Il numero dei contratti di vendita è piombato del 17,5%. In maggio, nella sola California 20mila famiglie hanno perso la loro casa, e altre 72mila sono in possesso di un documento di repossession notificatogli dalla sceriffo della contea. L’amministrazione statale guidata da Arnold Schwarzenegger è stata la prima ad approvare una misura d’emergenza: una multa fino a mille dollari al giorno contro chi per incuria non ripara i vetri o perfino trascura di tagliare l’erba del prato, che si applica a chiunque sia proprietario in quel momento, un inquilino moroso, una compagnia di mortgage, una banca. E a Providence, Rhode Island, è in discussione una norma comunale che impone una tassa del 10% sulle case vuote.

Dove arriverà la crisi? Le prospettive sono le più fosche. Ben oltre la discesa media, ci sono situazioni di sofferenza che sconcertano. A Palm Beach, in Florida, una delle comunità più opulente del mondo, celebrata da Miami Vice, i prezzi delle case sono scesi in media del 38% nell’ultimo anno. A Greenwich, Connecticut, sobborgo di lusso di New York, i prezzi scrive il sito specializzato Trulia.com sono in ribasso del 15%, e nella dorata Beverly Hills del 6%, con sfrattati di lusso come lo showman Johnny Carson (5 milioni di valore della casa) o l’excampione (e forse assassino della moglie) O.J.Simpson (4 milioni). Peggio sta andando nel molto più popolare sobborgo di Wayzata, Minnesota, dove le case sono in ribasso del 28%, per non parlare della già ricordata città operaia di Cleveland oppure di Las Vegas, che registra cali intorno al 20% e fallimenti a catena di costruttori e immobiliaristi che proprio nella città del gioco vedevano la loro Mecca. Il nome più illustre è quello di Donald Trump, che non è proprio fallito ma è in perdita secca perché aveva poco brillantemente spostato i suoi interessi da New York nel Nevada. I libri in tribunale li ha invece già portati Harry Macklowe, un altro costruttore di New York celebre per aver comprato nel 2003 per 1,4 miliardi di dollari il General Motors Building sulla Fifth Avenue (angolo 59esima), uno dei simboli di Manhattan, e per averlo rivalutato fino a 2,7 miliardi (data dell'ultimo refinancing nel 2006). Ha però fatto il passo falso quando ha comprato altri sei grattacieli nel 2005, prendendo in prestito 7 miliardi di dollari che non ha saputo più restituire. A Chicago invece il tribunale l’ha conosciuto direttamente dalla parte della sbarra Tony Rezko, costruttore e intermediario, arrestato per bancarotta fraudolenta mettendo in forte imbarazzo Barack Obama di cui era un finanziatore.

Circolano previsioni da brivido, che arrivano al 50% di ribasso nelle zone più esposte, e al 2535% nella media del paese, entro un anno, il che significa che una tale perdita si realizzerà in soli due anni. E potrebbe andare anche peggio. C’erano state altre housing recession durate duetre anni, per esempio nel 197375 dopo lo shock petrolifero e nell’8081 dopo la rivoluzione iraniana, ma il calo medio era stato contenuto entro il 1520%. Il guaio è che prima che questa crisi cominciasse, nell’estate 2007, per undici anni il mercato non era andato altro che in salita, il che spiega la violenza del "botto" che sta azzerando i guadagni conseguiti in tanti anni. L’America era talmente abituata a considerare le case un mercato in perenne crescita che era nata una serie di reti televisive specializzate in questioni immobiliari. Una si chiama Tlc, che sta per tender&love caring, la voce usata dagli immobiliaristi per indicare che la casa ha bisogno di una ripulitura (audience media: 700.000). Mandava in onda serial con titoli come Flip that house, un altro gioco di parole che significa "cambiar casa in un battibaleno". Trovi un’occasione, la prendi al volo, dai pochi ritocchi e vendi all'istante, guadagno garantito. Niente più di tutto questo. E addio ai mutuilampo concessi via Internet senza controlli né garanzie, i prestiti "Ninja" (no income no job asset).

Una parziale eccezione a questo quadro disastroso è New York, anzi Manhattan. «Nel centro cittadino i valori non sono diminuiti. Neanche saliti, ma sono rimasti stabili», dice Antonio Cosentino, vice president della Corcoran, la maggiore agenzia immobiliare d’America. Guido Pompilj, presidente della Vivaldi Real Estate, spiega: «Manhattan è un caso a sé. Il 30% delle case è fuori mercato perché è costituito dalle Coop, una formula per cui se vuoi comprar casa serve l’approvazione del board del palazzo, che la nega sistematicamente ai non residenti. Poi c’è un 60% di case vendute in blocco: è impossibile comprarle se non compri l’intero palazzo, un mercato evidentemente assai ristretto. Resta il 10% di case normali, i condominium, sul libero mercato: su un’offerta così ristretta si affollano i compratori internazionali invogliati dalla debolezza del dollaro. Così, il mercato si sostiene». Dovunque altro ci si volti, il quadro è desolante. Per correggerlo, si muove l’amministrazione Bush, che ha rifinanziato le agenzie federali Freddie Mac e Fannie Mae per garantire i mutui ai meno abbienti. Poi ha cercato con la moral suasion di intervenire presso le banche perché siano più umane, peraltro con pochi risultati perché nel frattempo ha imposto alle banche stesse più rigidi ratio patrimonioprestiti e gli istituti si sono rifatti sui clientimutuatari. Adesso sta provando ad impostare la tanto reclamata riforma dei sistemi finanziari, qualcosa di simile alla SarbanesOxley che nel 2002, dopo lo scandalo Enron, riordinò la governance societaria. Ma è tardi: per una riforma del genere bisogna aspettare la nuova amministrazione. Solo che questa s’insedierà il 20 gennaio 2009.

di EUGENIO OCCORSIO
da AFFARI & FINANZA

23 Giugno 2008 · Patrizio Oliva


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Una risposta a “Mutui – crisi subprime, secondo atto”

  1. AGI ha detto:

    La crisi dei mutui continua a decimare i big di Wall Street: entro il prossimo anno i tagli dei posti di lavoro potrebbero toccare quota 175 mila.

    Dal luglio scorso le compagnie finanziarie hanno annunciato 83 mila licenziamenti in base alle stime di Bloomberg, disponibili sul sito Internet.

    Ma i tagli sono destinati ad aumentare secondo gli esperti del settore e potrebbero superare quelli registrati tra il 2000 e il 2003 quando e’ saltato il 17% dei posti nel settore bancario. Secondo Gary Goldstein , presidente del Whitney Group, i tagli dovrebbero attestarsi intorno al 35-40%.

    “Il peggio deve ancora venire – ha detto Russ Gerson, responsabile di Gerson Group – Avremo una maggiore contrazione e colpira’ tutte le aree dell’investment banking cosi’ come tutte le aree a livello globale”.

    Finora l’esposizione ai mutui subprime ha causato 400 miliardi di dollari tra svalutazione e perdite. Citigroup ha annunciato oltre 13 mila tagli, pari a circa il 4% della sua forza lavoro e si prepara a tagliare anche il 10% dei posti nella divisione investment banking.

    L’impatto della crisi si e’ fatto pero’ sentire anche sul fronte delle merger & acquisition: quest’anno sono stati annunciati accordi per 1.500 miliardi di dollari, il 33% in meno rispetto al 2007.

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