Minimo vitale – Può anche essere superiore al trattamento minimo erogato dall’INPS
Attenzione » il contenuto dell'articolo è poco significativo oppure è stato oggetto di revisioni normative e/o aggiornamenti giurisprudenziali successivi alla pubblicazione e, pertanto, le informazioni in esso contenute potrebbero risultare non corrette o non attuali.
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Com'è noto, il trattamento pensionistico a carico dello Stato è impignorabile per la sola parte delle pensioni, indennità od altri trattamenti di quiescenza necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita, mentre sono pignorabili, nei limiti del quinto, della restante parte.
L'impignorabilità parziale di trattamenti pensionistici è finalizzata a garantire al pensionato i mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita e tale finalità è ancora più marcata dopo l’entrata in vigore della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, che riconosce il diritto all'assistenza sociale al fine di assicurare un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti.
In assenza di parametri normativi specifici ed analitici idonei a consentire la determinazione del minimo vitale, il giudice dell’esecuzione, in considerazione degli elementi concreti del caso (e non dovendo necessariamente fare riferimento all'importo di trattamento minimo di pensione indicato dall'INPS), pervenire all'individuazione dell’importo maggiormente adeguato a soddisfare la detta esigenza di assicurare al pensionato adeguati mezzi di vita.
Nel ritenere maggiormente adeguato, anche in considerazione del costo della vita, l’importo di Euro 536, corrispondente al minimo fissato dalla finanziaria 2002, incrementato delle maggiorazioni di legge, il giudice dell’esecuzione opera una valutazione non censurabile in sede di verifica di legittimità.
Così ha deciso la Corte di cassazione nella sentenza numero 18225/14.
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