Insinuazione al passivo – Nessun termine di decadenza per i crediti sopravvenuti

La legge fallimentare dispone che le domande di ammissione al passivo di un credito, di restituzione o rivendicazione di beni mobili e immobili, depositate in cancelleria oltre il termine di trenta giorni prima dell’udienza fissata per la verifica del passivo e non oltre quello di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo sono considerate tardive; in caso di particolare complessità della procedura, il tribunale, con la sentenza che dichiara il fallimento, può prorogare quest’ultimo termine fino a diciotto mesi.

Decorso tale termine, e comunque fino a quando non siano esaurite tutte le ripartizioni dell’attivo fallimentare, le domande tardive sono ammissibili solo se l’istante prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile.

Tuttavia, secondo i giudici della Corte di cassazione (sentenza 16218/15) l'insinuazione al passivo per i crediti sopravvenuti, non è soggetta al termine di decadenza di dodici (o sino a diciotto) mesi.

I crediti sopravvenuti sono quelli che possono sorgere durante tutto l'arco della procedura fallimentare, anche in fasi assai avanzate della stessa (le conseguenze dei giudizi di revoca degli atti pregiudizievoli per i creditori, che normalmente durano diversi anni, ne è l'esempio più vistoso), sicché il termine di cui si tratta ben potrebbe essere già scaduto alla data del sorgere del credito.

Nel caso, poi, che il termine non sia scaduto, al creditore sopravvenuto residuerebbe, per provvedere all'insinuazione, un tempo comunque più breve - tendente al limite ad annullarsi - di quello a disposizione dei creditori preesistenti, con conseguenti dubbi di legittimità costituzionale sotto il profilo del principio di uguaglianza.

4 Agosto 2015 · Tullio Solinas




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