Il fallimento familiare esiste, anche se non è contemplato dal codice di procedura civile

Fuori dall'ufficio del giudice delle esecuzioni immobiliari del tribunale di Bologna un manipolo di avvocati è in attesa delle udienze. Nel 2008 i pignoramenti degli immobili, cioè gli atti con cui ha inizio l’espropriazione forzata dell'abitazione, del garage o della bottega, sono stati 664: una cifra record, “quasi raddoppiata rispetto ai 350 del 2003”, spiega il giudice Maurizio Atzori.

Ad impressionare non è il numero, ma la sua crescita costante: 558 esecuzioni nel 2005, 598 nel 2006, 649 nel 2007.

Un aumento progressivo che non è certo figlio di questo ciclo economico, se una causa civile fino all'esecuzione può durare anche sette anni. Lo è però il fatto che si arrivi più spesso alla vendita coattiva della casa: lo scorso anno sono stati battuti all'asta 280 immobili, per un valore di 80 milioni di euro.

Come si arriva fino a settecento pignoramenti in un anno? In tribunale la risposta più diffusa è “fallimento familiare”, ovvero l'incapacità della famiglia di far fronte ai debiti. Ma perché la gente si indebita? “La crisi colpisce diversi settori, la composizione del debito va ben al di là del mutuo. E' molto più varia ed estesa”, dice il giudice Atzori.

Eppure a guardare le cifre si potrebbe pensare che l'aumento delle procedure esecutive immobiliari sia quasi tutto imputabile all'incapacità di pagare la casa. Invece no, spiega il giudice, “a incidere sono anche i mutui, ma raramente come fatto iniziale. I numeri parlano di vittime del credito al consumo, artigiani costretti a rinunciare alla bottega, piccoli commercianti che abbandonano la ditta”.

Un processo a cascata che decreta la morte civile di una persona. Come è successo all'imprenditore Paolo Landi, proprietario di otto negozi di telefonia, la cui storia - segnata anche da uno sciopero della fame - è finita sui giornali. Dopo un controllo fiscale, riceve una multa di due milioni per frode. Abbandona il tenore di vita cui era abituato, vende la Porsche e si autostipendia come dipendente: “Mi trovo in una situazione in cui il fisco blocca i miei capitali immobiliari. Quando le banche si sono accorte che Equitalia mi aveva pignorato appartamenti, depositi e negozi, mi hanno revocato i fidi concessi sulla base di quelle garanzie”.

I prestiti gli sono stati richiesti, è stato decretaro il fallimento per una delle sue aziende, il negozio tra via Indipendenza e via Righi, concessionario di una società telefonica, ha dovuto chiudere perché la compagnia ha revocato l'accordo commerciale. Cinquanta dipendenti rischiano il posto: eccolo lì, il “fallimento familiare”. Alla fine della cascata.

La novità di questo ciclo economico sembra essere questa: nelle procedure per garantire il credito sono i grandi soggetti che vanno a traino dei piccoli creditori.

Alle rate del mutuo da pagare, si aggiungono quelle del prestito per l'auto, le piccole somme mensili da restituire alla finanziaria, che sono le prime a non trovare copertura e a trasformarsi in morosità. “Le esecuzioni vengono fatte da creditori normali, da ditte commerciali, poi la banca viene 'notiziata' perché ha l'ipoteca sull'immobile”, chiarisce un legale che tutela gli istituti di credito.

Prima di arrivare in tribunale, le banche e le finanziarie hanno interesse a 'monetizzare' il dovuto, anche a costo di perderne una percentuale, e si muovono secondo le garanzie offerte al momento di contrarre il debito. Se si tratta di un mutuo ipotecario - racconta il direttore di una filiale in via Saffi - passano anche alcuni mesi prima dell'affidamento alla gestione delle morosità”. Altrimenti, l'istituto non temporeggia.

E' il caso di un lavoratore con accredito dello stipendio sul conto corrente, dal quale la banca preleva le rate di un prestito personale. Se perde il lavoro, da cliente diventa subito debitore e la sua posizione passa al recupero crediti. A quel punto si cerca un accordo stragiudiziale ed è tutto un puntare al rialzo.

Si valuta la solvibilità del debitore e le proprietà (mobili e immobili) da poter eventualmente 'aggredire'. Il gioco delle parti si compie nel riuscire a spuntare le condizioni più convenienti. “Quando ti vengono a pignorare la casa - racconta l'avvocato Stefano Cervellati - si producono due diverse reazioni. C'è chi fa di tutto per salvarla (forse ci riescono uno o due su dieci) e si indebita ancora di più, prendendo ulteriori impegni che spesso non riesce a sostenere. E c'è chi la mette persa e si cava il dente. Secondo me questi ultimi ci guadagnano”.

di Dario Aquaro e Melania Di Giacomo

14 Febbraio 2009 · Antonio Scognamiglio


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