I banchieri ci riprovano – Con la commissione di massimo scoperto un’altra conferma che per le banche le leggi di stato sono promulgate solo per essere eluse

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Lo abbiamo visto col  decreto Bersani che doveva regolare la portabilità del mutuo.

Sono stati necessari più di due anni, la mobilitazione delle associazioni dei consumatori ed  innumerevoli interventi dell'Antitrust per piegarne la resistenza.

Lo stiamo vedendo in questi mesi  per quel che attiene la moratoria sul  pagamento delle  rate del mutuo a favore dei lavoratori licenziati, disoccupati, in cig e delle numerose famiglie in difficoltà.

Il decreto Tremonti  ha consentito  ai banchieri  di poter disporre di centinaia di milioni di euro (finanziati con le tasse dei cittadini)  necessari a ricapitalizzare le banche sfiancate dalle disinvolte operazioni sui mutui subprime (o da acquisizioni megalomani) condotte da manager superpagati con gratifiche e bonus.

banchieriCome consuetudine in questo paese, le leggi dello Stato non valgono per il premier, per banche e banchieri.

Ebbene, lo stesso decreto prevedeva la formulazione di un decreto attuativo per definire i criteri oggettivi, i requisiti e le modalità di accesso al beneficio. Nulla è stato fatto. I tecnici dell'ABI stanno ancora illustrando ai funzionari del MEF la presunta inapplicabilità delle norme e nello stesso tempo prendono in giro tutti noi, propinandoci  sui media indegni spot di pubblicità ingannevole che raccontanto della generosità di banchieri, degni emuli dello Shylock  shakespeariano, secondo i quali per poter accedere alla sospensione del pagamento delle rate del mutuo  il lavoratore  deve avere avuto un reddito, nel 2008, non superiore a 25 mila euro. Ed in ogni caso, udite udite, la concessione del beneficio, anche quando ci sono i requisiti, è puramente discrezionale.

A fine giugno avremo ancora  la possibilità di sperimentare a nostre spese l'arroganza dei manager scampati, purtroppo, all'ultimo  meltdown finanziario,    quando verrà reintrodotta,  sotto mentite spoglie, la commissione di massimo scoperto.

Boicottaggio arrogante delle norme o raffinata elusione delle stesse, sono le armi che di volta in volta l'ABI, l'associazione delle banche italiane, sceglie per poter conservare privilegi e rendite di potere a danno dei legittimi interessi di ciascun cittadino.

A gennaio 2009 il Parlamento aveva  sancito la nullità delle commissione di massimo scoperto se il saldo del conto corrente resta a debito per un periodo inferiore a 30 giorni consecutivi oppure se il cliente non ha un'apertura di credito.

Così, infatti,  recitava l'articolo 2 bis del Decreto Anticrisi, per quanto concerne la eliminazione della commissione di massimo scoperto:

1.  Sono nulle le clausole contrattuali  aventi a oggetto la commissione di massimo scoperto se il saldo del  cliente risulti a debito per un periodo continuativo inferiore a trenta giorni ovvero a fronte di utilizzi in assenza di fido. Sono altresì nulle le clausole, comunque  denominate, che prevedano una remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del cliente titolare di conto corrente indipendentemente dall'effettivo prelevamento della somma, ovvero che prevedono una remunerazione accordata alla banca indipendentemente dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del cliente, salvo che il corrispettivo per il servizio di messa a disposizione delle somme sia predeterminato, unitamente al tasso debitore per le somme effettivamente utilizzate, con patto scritto non rinnovabile tacitamente, in misura onnicomprensiva e proporzionale all'importo e alla durata dell'affidamento richiesto dal cliente e sia specificatamente evidenziato  e rendicontato al cliente con cadenza massima annuale con l'indicazione dell'effettivo utilizzo avvenuto nello stesso periodo, fatta salva comunque la facoltà di recesso del cliente in ogni momento.

2. Gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore deila banca dipendente dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell'applicazione dell'articolo 1815 del Codice civile, dell'articolo 644 del Codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7 marzo 1936, numero 108. Il ministro dell'Economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, emana disposizioni transitorie in relazione all'applicazione dell'articolo 2 della legge 7 marzo 1996, numero 108,  per stabilire che il limite previsto dal terzo comma dell'articolo 644 del Codice penale, oltre il quale gli interessi sono usurari, resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni.

3. I  contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono adeguati alle disposizioni del presente articolo entro centocinquanta giorni dalla medesima data. Tale obbligo di adeguamento costituisce giustificato motivo agli effetti deil'articolo 118, comma 1, del Testo unico delle leggi in materia bancaria e crcditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, numero 385, e successive modificazioni.

L'articolo prevede, in pratica, la sanzione della nullità per le clausole contrattuali che hanno per oggetto la commissione di massimo scoperto, ove il saldo del cliente risulti a debito per un periodo continuativo inferiore a 30 giorni o in caso di utilizzi in assenza di fido; per clausole (comunque denominate) che prevedano una remunerazione in favore della banca solo per aver messo a disposizione fondi a favore del cliente titolare di conto corrente, indipendentemente dall'effettivo prelevamento della somma; per le clausole che prevedano una remunerazione all'istituto bancario indipendentemente dall'effettiva durata dell'utilizzo dei fondi.

La sanzione della nullità non opera in caso di predeterminazione per iscritto, con patto non rinnovabile tacitamente, di alcuni elementi contrattuali, o il compenso per la messa a disposizione delle somme unitamente al tasso debitore per le somme effettivamente utilizzate. La predeterminazione di questi elementi deve essere effettuata in misura onnicomprensiva e proporzionale all'importo e alla durata dell'affidamento richiesto dal cliente, con specifica evidenziazione e rendicontazione con cadenza massima annuale, assieme all'indicazione dell'effettivo utilizzo avvenuto nello stesso periodo.

La norma fa salva, comunque, la facoltà di recesso del cliente in ogni momento. Gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole contrattuali che prevedono una remunerazione, in favore della banca, che dipende dall'effettiva durata dell'utilizzo dei fondi sono comunque rilevanti, a partire dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge anticrisi, ai fini dell'applicazione delle norme in materia di interessi usurari (articolo 1815 del Codice civile), delle norme che configurano la fattispecie penale di usura (articolo 644 del Codice penale), delle norme amministrative e penali con disposizioni in materia di usura (articoli 2 e 3 della legge 108/1996). Demandata al ministro dell'Economia e delle Finanze, sentita la Banca d'Italia, l'emanazione di disposizioni transitorie in relazione all'applicazione dell'articolo 2 della legge 108/1996.

Il limite previsto dal terzo comma dell'articolo 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono considerati usurari, resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge anticrisi, fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni.

Obbligo di adeguamento dei contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto anticrisi, entro 150 giorni dalla medesima data. L'obbligo di adeguamento costituisce giustificato motivo per la modifica unilaterale, prevista per i contratti di durata, di tassi, prezzi e altre condizioni contrattuali, ove essa sia stata pattuita.

Entro la fine del mese di giugno, in sostanza, i conti correnti esistenti saranno adeguati alle nuove norme. Ma questo non significa che le banche rinunceranno a una fonte di ricavo legata allo scoperto. Come? Attraverso l’introduzione di nuove voci di spesa: dalla commissione per scoperto di conto al recupero spese per ogni sospeso, dalla commissione per istruttoria urgente all'onere per passaggio a debito nel trimestre.

E dunque, ecco  che la commissione di massimo scoperto è tornata come volevasi dimostrare. Dalla finestra, in silenzio, dopo essere uscita dalla porta principale.

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12 Giugno 2009 · Simonetta Folliero




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12 risposte a “I banchieri ci riprovano – Con la commissione di massimo scoperto un’altra conferma che per le banche le leggi di stato sono promulgate solo per essere eluse”

  1. gianluca alberici ha detto:

    Il decreto approvato in data odierna (26 giugno 2009) prevede anche nuove normative relativamente alla commissione di massimo scoperto.

    «Sono nulle tutte le clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto e ogni altra clausola avente il medesimo scopo o finalità».

    Nell’articolo dedicato al «contenimento del costo delle commissioni bancarie», c’è anche una norma secondo la quale «per tutti gli assegni bancari versati in conto corrente la data di valuta e di disponibilità per il beneficiario non può superare i tre giorni lavorativi successivi alla data di versamento.

    Per tutti gli assegni circolari e i bonifici la data di valuta e di disponibilità non può superare un giorno.

    È nulla ogni pattuizione contraria».

  2. giorgio stella ha detto:

    Anche Tremonti ogni tanto ha dei ripensamenti: ad esempio, dopo aver elogiato per anni la finanza creativa, adesso riconosce la bontà del modello equilibrato della vecchia economia. Resta però il fatto che il rapporto tra banche e banchieri e il ministro dell’Economia ricorda tanto la storiella dei ladri di Pisa, quelli che di giorno facevano finta di litigare mentre la notte andavano a rubare insieme».

    Lo sostiene il capogruppo dell’Italia dei Valori in Commissione Finanze al Senato, Elio Lannutti, che ha presentato varie interrogazioni urgenti al ministro chiedendogli «di prendere le distanze da pratiche bancarie disinvolte, arbitrarie e illegali a danno del mercato e dei consumatori, smarcandosi così da una posizione che può interpretarsi come sua indiretta complicità e condivisione».

    Lannutti in particolare si riferisce alle affermazioni fatte dal ministro quando, rispondendo ad una sua precisa domanda in Commissione, a proposito del comportamento fraudolento di alcuni istituti di credito sui titoli tossici sostenne che «tali banchieri o vanno in galera o vanno a casa». «Ebbene – continua il senatore IdV – mi risulta che finora nessun banchiere si sia dimesso e che sono ancora tutti a piede libero. Anzi, con la complicità del ministro dell’Economia, continuano indisturbati a saccheggiare i correntisti, ad esempio con il raddoppio degli oneri in precedenza richiesti sulla abolita commissione di massimo scoperto».

    «Gli istituti di credito – fa notare infatti Lannutti – hanno riesumato questo autentico ‘pizzo’ sotto svariate voci: si va dalla ‘commissione per istruttoria urgente’ del MPS, alla ‘commissione per scoperto di conto’ di Intesa San Paolo, dal ‘recupero spese per ogni sospeso’ di Unicredit al ‘onere per passaggio a debito nel trimestre’. Alla faccia della trasparenza e del rispetto della legge, visto che l’odiosa commissione di massimo scoperto è stata abolita, come si è detto, con il decreto anticrisi trasformato in legge nel gennaio scorso».

  3. francesco de dominicis ha detto:

    Ci risiamo: fatta la legge, trovato “l’inganno”

    La legge in questione è quella che ha abolito la commissione di massimo scoperto, uno dei più fastidiosi balzelli bancari. Un meccanismo grazie al quale le banche italiane, per anni, hanno applicato superinteressi sui conti correnti in rosso. Bastava sforare anche di un solo giorno l’effettiva disponibilità che scattava la stangata sui conti della clientela. E gli interessi praticati schizzavano alle stelle.

    Per anni, dunque, gli istituti di credito hanno ingrassato i loro bilanci con questa commissione. La polemica si è protratta a lungo e a nulla sono serviti gli inviti all’autoregolamentazione lanciati a più riprese dal governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi.

    Insomma, spazzata via da un provvedimento legislativo di inizio anno, la commissione di massimo scoperto ha rifatto capolino allo sportello. Anche se sotto mentite spoglie. Ecco l’escamotage. Il nome più diffuso è commissione di affidamento. Differenze solo formali, perché la sostanza cambia davvero poco.

    Il nuovo sistema deve partire al massimo entro il prossimo 28 giugno. Tra le poche certezze, quella che a pagare sono come sempre milioni di correntisti, famiglie e imprese. Che, adesso, corrono il rischio di subire un duro colpo «con aumenti, su base trimestrale, a partire dal 280% sino a toccare la soglia del 440%». I dati sono frutto dell’analisi curata dalla Cgia di Mestre. E l’associazione degli artigiani, quanto a numeri, raramente sbaglia.

    Il presidente Giuseppe Bortolussi ha snocciolato una serie di dati per spiegare come funziona la nuova tagliola: l’esempio è quello di un’azienda con fido bancario di 10.000. «Se adesso un eventuale sforamento del fido di 5.000 per un periodo massimo di 15 giorni fa scattare la commissione di massimo scoperto che costa all’azienda un importo fisso di 47,5 euro, con le nuove disposizioni contrattuali l’aumento sarà di quasi il 280% toccando la soglia di 181 euro». Vae a dire la somma di un corrispettivo trimestrale applicato in sostituzione delle vecchie clausole pari a 25 e dall’applicazione di un tasso di interesse di mora più il costo giornaliero dello sconfinamento pari a 156 euro.

    Un vero e proprio salasso. Ma le banche non mollano. Ieri la difesa d’ufficio del presidente Abi. La nuova commissione di affidamento comunicata nei giorni scorsi dalle banche alla clientela è «pienamente legittima» e risponde alla necessità prevista delle norme di informare i clienti a seguito di modifiche delle condizioni, ha spiegato Corrado Faissola.

    La resistenza delle banche – che non hanno perso l’abitudine di rifugiarsi dietro i cavilli normativi – comincia a dar fastidio al mondo politico, soprattutto al centro-destra. E in particolare agli esponenti della Lega Nord. «Le banche non possono chiedere il sostegno del governo e fingere di ignorare di far parte di un sistema» ha dichiarato ieri Franco Manzato, vicepresidente della regione Veneto.

    La Confindustria delle banche sostiene che la novità – annunciata in queste settimane con 35 milioni di lettere ai correntisti – è prevista dal decreto anticrisi. Secondo Faissola «la commissione di affidamento ha un costo così come negli altri paesi d’Europa, poiché le banche sopportano un costo della provvista».

    Fatto sta che quello del credito alle imprese è uno dei nodi da sciogliere per rimettere in moto l’economia del nostro Paese e per uscire dalle secche della crisi finanziaria internazionale. I dati snocciolati dall’Abi confermano qualche intoppo nei meccanismi di erogazione dei prestiti: a maggio la crescita dei prestiti è rallentata ancora (ora il ritmo è del 2,3% rispetto all’8,2% di maggio 2008). Mentre aumentano le sofferenze: gli incagli sono passati a 46,3 miliardi di euro (+ 3,4% su base annua). «È fisiologico – ha commentato il leader dei banchieri – che ad una caduta industriale si accompagni una decelerazione del credito». Ma tutti se la prendono con le banche e Faissola è stato costretto ad ammettere che «la reputazione» del mondo creditizio «non è al massimo». Nessuna sorpresa: impossibile dargli torto.

  4. massimo esposti ha detto:

    Banche: la doppia vita di Massimo Scoperto

    Abbondare con le maiuscole nelle comunicazioni del giro burocratico è un vecchio vizio italiano.

    Non deve quindi stupire se, proprio nel momento della sua auspicata scomparsa, anche una delle disposizioni bancarie più detestate assurga al maiuscolato titolo di “Massimo Scoperto”.

    E’ lui infatti il protagonista di una della tante lettere che in questi giorni i correntisti stanno ricevendo – anche se con date del mese scorso – dagli istituti di credito e della quale un esempio potete vedere qui allegato.

    Ecco allora che il “Gentile Cliente” scopre riga dopo riga la Commissione trimestrale Disponibilità Fondi o la Spesa Trimestrale di Gestione Sconfini (che, forse perché sconfina, guadagna la maiuscola anche nel Trimestrale), finendo poi invischiato in un selva di (asterischi) di rinvio alle note a piè pagina che rappresentano un terzo della lettera.

    Meno male che alla fine due righe riportano la luce: “Il suo Gestore (G maiuscola) è a disposizione per illustrarle (avremmo gradito un illustrarLe) nel dettaglio le modifiche intervenute e fornirle (fornirLe, grazie) tutte le informazioni necessarie”.

    Che traduciamo: ragioniere, a che ora posso passare a parlarle?

  5. marco labriola ha detto:

    L’ABI getta acqua sul fuoco in relazione alla polemica sorta con le associazioni dei consumatori, in merito all’introduzione della nuova commissione di affidamento per la concessione delle linee di credito ai privati. L’ABI infatti ritiene pienamente legittima l’introduzione di questa commissione, che verrà pagata sulla parte di affidamento utilizzata dal cliente. Lo ha dichiarato il Presidente dell’ABI, Corrado Faissola, nella conferenza stampa al termine del Comitato esecutivo.

    “In tutti i Paesi del mondo il servizio di affidamento viene remunerato, mentre in Italia c’era la commissione di massimo scoperto”, ha precisato Faissola. Tuttavia, la commissione di massimo scoperto aveva un costo non definibile dalla clientela ex ante o ex post, mentre la commissione di affidamento ha un costo certo quantificabile dagli imprenditori. Si tratta perciò di una commissione che offre una maggiore trasparenza rispetto alla commissione di massimo scoperto.-

  6. massimo sideri ha detto:

    Cinquecento euro a trime­stre per la sola richiesta di accesso a un fido di 50 mila euro anche senza l’utiliz­zo effettivo dei fondi. Addirittura 750 se la stessa somma viene messa a disposi­zione da alcune banche che fanno parte del Gruppo Banco Popolare. Per 100 mi­la euro dunque si pagano anche 1000 eu­ro. E così via al crescere dell’affidamen­to. Ecco quanto costerà alle (piccole) im­prese il credito in banca dal 28 giugno.

    Ed ecco perché rischia di trasformarsi in una trappola da credit crunch, soprattut­to per le aziende sotto la soglia dei 5 mi­lioni di fatturato che erano abituate a usare anche 4 o 5 fidi e che hanno poco potere contrattuale, l’arrivo delle nuove regole. Il nome cambia da istituto a isti­tuto: si può chiamare costo per la messa a disposizione di fondi. Oppure corri­spettivo disponibilità creditizia. La so­stanza non cambia. Si tratta delle commissioni introdotte dalle principali banche – Intesa Sanpao­lo, Unicredit, Mps, Bnl, Ubi e Banco Po­polare ma anche altre minori – al posto di quella legata al massimo scoperto. Il meccanismo è diverso e bisogna sottoli­neare onestamente che saranno in pochi a rimpiangere quello vecchio che com­misurava il costo trimestrale sulla punta massima registrata nello sconfino anche per sole 24 ore. Senza contare che la CMS, come era chiamato il balzello, non rientrava nemmeno nel calcolo della so­glia di usura.

    Tutto questo ora non sarà più possibile – anche se la CMS sopravvi­ve con nuove metodologie di applicazio­ne – con l’entrata in vigore della legge numero 2 del 28 gennaio 2009. Ma, cer­to, con i nuovi meccanismi di calcolo non c’è da stare allegri, anche perché, in alcuni casi, il risultato sarà un costo mag­giore vista la nuova commissione che si andrà a sommare ai tassi sullo sconfino che possono superare anche l’8%. «Con questi costi dovrò rinunciare ad avere tutti i miei fidi e dovrò rischiare di anda­re in rosso senza affidamento» testimo­nia un piccolo imprenditore che preferi­sce l’anonimato. Non sembra esserci scampo. Tutte le principali banche hanno usato lo stesso meccanismo di base: Intesa Sanpaolo, Unicredit, Bnl, Mps, Ubi e Banco Popola­re. Il tasso massimo che si applicherà al­la cifra di cui si chiede la disponibilità ipotetica è compreso tra lo 0,9% e l’1%. Addirittura l’1,5% sui primi 50 mila eu­ro, come visto, per il Gruppo Banco Po­polare, un tasso che scende all’1% sopra questa soglia. D’altra parte scegliere di non avere dei conti affidati vuol dire pa­gare le nuove spese introdotte per copri­re i costi di gestione del rosso da parte degli istituti ma soprattutto dei tassi che possono superare il 12% sullo sconfino.

    Gli istituti contattati dal Corriere sot­tolineano che si tratta di commissioni massime e che dunque la negoziazione con la singola azienda, a seconda del rap­porto con la banca, potrà permettere di accedere a un tasso più basso. L’esigen­za, fanno capire le banche, era quella di regolarizzare il campo degli affidamenti. Insomma, non sarebbe un diritto avere l’accesso a più fidi ma solo un «cattiva abitudine da sradicare». In ogni caso per le aziende si tratterà di rifare i conti tri­mestrali. Mentre per le banche si apre un flusso di nuove commissioni certe che daranno ossigeno ai bilanci. «Sarà questo – afferma Giuseppe Mo­randini di Confindustria – uno dei primi banchi di prova per giudicare se nel rap­porto banche imprese si sta passando dalle parole ai fatti. Non sono accettabili misure che limitino l’accesso al credito. Capiamo la necessità delle banche di ra­zionalizzare gli affidamenti ma non deve essere una limitazione né tantomeno un aggravio dei costi. Comunque, è un te­ma al centro dell’attenzione di Confindu­stria. Sappiamo che tutte le principali banche hanno dovuto comunicare per legge le nuove condizioni ma abbiamo indicazioni che è stato dato mandato ai responsabili territoriali degli istituti di affrontare la questione caso per caso».

    L’Abi, l’Associazione bancaria italiana ha preferito non commentare l’impatto sul sistema delle piccole e medie impre­se delle nuove regole. Ma una fonte del­la stessa associazione ha fatto notare che «commissioni simili sono già in vigore nella maggior parte dei Paesi occidenta­li. La vecchia commissione di massimo scoperto era uno strumento non più adatto ai percorsi verso la trasparenza adottati dalle banche italiane. Ora ci so­no vantaggi e svantaggi. Ma in ogni caso per le aziende più grandi e solide ci sarà la possibilità di contrattare un costo infe­riore».

  7. michele scardova ha detto:

    Le associazione dei consumatori avevano già lanciato l’allarme: l’eliminazione della commissione di massimo scoperto – voluta dal Parlamento a inizio anno – avrà come immediata conseguenza l’introduzione di altre commissioni previste dagli istituti di credito.

    Come volevasi dimostrare. In questi giorni, infatti, stanno arrivando ai correntisti bancari delle lettere che avvisano sulla modifica unilaterale di alcune condizioni per la tenuta del conto, come previsto alla legge n.2/2009 art. 2 bis. Si tratta della ridefinizione della commissione di massimo scoperto che, già operativa per chi ha aperto un conto dopo lo scorso 29 gennaio, ora deve essere modificata entro il 30 giugno per tutti gli altri.

    Così, nonostante il Parlamento con un provvedimento di inizio anno abbia provveduto a riformarne l’applicazione, le banche hanno provveduto a riproporre questa clausola con spese analoghe, se non più elevate in certi casi, nel momento in cui il conto corrente va in rosso.

    Il massimo scoperto, va ricordato, è infatti la clausola del contratto bancario di apertura di credito (detto anche fido o affidamento), in base alla quale ai normali interessi va aggiunta un’ulteriore percentuale calcolata sulla massima esposizione avuta sul proprio conto corrente nel trimestre di riferimento. È il caso, più semplicemente, in cui una famiglia o un’impresa vanno in rosso sul conto corrente perché hanno utilizzato tutta la cifra dello scoperto, concordata con la banca, facendo quindi scattare gli interessi a debito, parecchio salati.

    Un balzello entrato parecchie volte nel mirino delle autorità di vigilanza e del governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, portandolo alla sua eliminazione grazie alla recente novità normativa che prevede che la commissione di massimo scoperto possa essere applicata solo quando il cliente ha un fido e il suo scoperto dura più di 30 giorni.

    Ma – denunciano le associazioni dei consumatori – in pratica, “per non applicare la legge e continuare a fare ciò che vogliono, gli istituti di credito hanno solo cambiato nome del balzello: da ‘Commissione di massimo scoperto’ a ‘Commissione di scoperto di contò. Oppure ‘Recupero spese per ogni sospeso’ o ‘Commissione per istruttoria urgente’ o ‘Onere per passaggio a debito nel trimestre’ o ‘Commissione manca fondi’. Per cui, spiegano i Consumatori, “la sostanza non cambia: le limitazioni che la legge ha previsto non hanno alcun effetto”.

    I nuovi contratti hanno, infatti, sì recepito queste disposizioni fin dall’entrata in vigore della legge. Ma sfogliando i foglietti informativi degli istituti di credito emergono parecchie novità sulle voci di spesa che comportando per i correntisti una crescita dei costi e soprattutto un meccanismo di applicazione delle spese che mal si concilia con il criterio imposto dalla legge che vorrebbe spese commisurate all’importo e alla durata del rosso.

    Nuovi balzelli per sanzionare chi va in rosso o per chi supera i limiti dei fidi applicati anche alle imprese. Secondo i calcoli de Il Sole 24 ore, dal 28 giugno il credito in banca costerà cara alle Pmi: “Cinquecento euro a trimestre per la sola richiesta di accesso a un fido di 50 mila euro anche senza l’utilizzo effettivo dei fondi. Addirittura 750 euro se la stessa somma viene messa a disposizione da alcune banche. Per 100 mila euro dunque si pagano anche 1.000 euro. E così via al crescere dell’affidamento”, si legge sul quotidiano di Confindustria.

  8. carlo giovanardi ha detto:

    «Aggirata e contraddetta la norma che circoscrive l’utilizzo della commissione di massimo scoperto». È quanto scrive il sottosegretario Carlo Giovanardi rivolgendosi al ministro dell’Economia Giulio Tremonti per segnalare il crescente allarme proveniente dal mondo delle imprese e dalle famiglie per le modalità con le quali il sistema bancario applica e interpreta l’art. 2-bis del decreto legge 185/2008, recante le cosiddette misure anticrisi.

    Secondo tale disposizione, infatti, le banche, per favorire i propri clienti, avrebbero dovuto limitare la commissione di massimo scoperto solo a quei conti sui cui si è accordato un fido al momento dell’apertura o il debito ha una durata di almeno 30 giorni consecutivi. Negli altri casi, la commissione poteva essere sostituita con forme più trasparenti di remunerazione predeterminate e commisurate al fido.

    «In realtà – è detto in una nota – oggi nonostante gli apprezzabilissimi intenti del Governo e del Parlamento, le banche, con discutibili modalità di remunerazione del debito, aggirano e contraddicono in pieno la volontà del legislatore e la norma, nella sua applicazione pratica, si è surrettiziamente trasformata in un nuovo oneroso balzello per gli utenti titolari di conto corrente ben superiore a quello del passato».

  9. guido maria bellucci ha detto:

    Sparisce la commissione massimo scoperto ma le banche si inventano nuovi balzelli per sanzionare chi va in rosso o supera i limiti dei fidi. E gli artigiani lariani si infuriano, anche perché i rapporti con gli istituti di credito sono già tesi.

    «La commissione di massimo scoperto è la cosa più disdicevole che possa esserci – afferma Giorgio Colombo, segretario generale di Confartigianato Imprese di Como – In un momento come questo, di crisi profonda, diventa addirittura indegna. E non so fino a che punto convenga alle banche riproporre in altre forme la penale abolita dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti perché così facendo guastano i rapporti con i loro clienti. Questa è l’Italia: appena viene tolto un balzello, subito rispunta».
    I problemi per le imprese artigiane, però, secondo Colombo non si limitano al caso del massimo scoperto. «Fossero solo questi i problemi! Una delle questioni principali è l’accesso al credito. Nel momento in cui un’imprenditore è fuori, subito la banca gli chiede di rientrare. Non tutte le banche sono però uguali – osserva il segretario generale di Confartigianato – I problemi li abbiamo soprattutto con i grossi istituti, mentre le banche di credito cooperativo (Bcc) e le banche popolari sono più disponibili».

    Anche il segretario della Cna di Como, Alberto Bergna, è sulla stessa linea. «Il credito è il fronte più caldo per le piccole imprese in questa situazione di crisi – sottolinea – Gli ammortizzatori sociali sono stati utili per tenere in azienda lavoratori e collaboratori, che sono una risorsa importante, ma non bastano, perché serve anche il credito. Le banche invece hanno un atteggiamento di chiusura e non sostengono le piccole aziende».

    «Per gli artigiani – aggiunge Bergna – la salvezza arriva dai Consorzi fidi che garantiscono fino al 60% dell’esposizione finanziaria delle aziende associate assumendosi i rischi di fronte agli istituti di credito».

    Le banche, insomma, non aiutano gli artigiani. «Eppure – fa notare il numero uno della Cna lariana – non sono state le piccole imprese a mandare in crisi gli istituti di credito. Solo le casse rurali, ovvero le banche di credito cooperativo, più legate al territorio, danno fiducia alle aziende artigiane, finanziandole».

    E sulla commissione di massimo scoperto, abolita ma riproposta in altre forme dalle banche, Bergna osserva che «è solo uno dei problemi che abbiamo con gli istituti di credito. La scelta del governo di abolirla è stata mal digerita dalle banche che hanno fatto ricorso ad altre commissioni. Il problema vero però è un altro. E cioè che le banche oggi ti chiedono di rientrare anche se sei fuori solo di 100 euro: il direttore della filiale ti chiama e pretende che tu copra subito quei 100 euro. Non c’è insomma la minima collaborazione».

  10. alboino ha detto:

    ”Gli istituti di credito hanno di fatto sostituito la commissione di massimo scoperto con altre spese e commissioni in molti casi di importo superiore alla commissione, con metodi di calcolo complicati e fogli informativi poco chiari”.

    E’ quanto si legge in una interrogazione al ministro dell’ economia del deputato della Lega Nord, Massimo Bitonci, capogruppo in Commissione bilancio.

    Il parlamentare spiega come l’articolo 2-bis del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 gennaio 2009, n. 2, in tema di rapporti con le banche, ha reso nulle “le clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto se il saldo del cliente risulti a debito per un periodo continuativo inferiore a trenta giorni ovvero a fronte di utilizzi in assenza di fido”.

    Inoltre, continua Bitonci, ha dichiarato nulle anche “le clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del cliente titolare di conto corrente indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma”.

    Per i contratti in essere alla data di entrata in vigore della legge 2/2009, conclude il parlamentare della Lega, le banche devono recepire le nuove disposizioni entro 150 giorni e, quindi, entro il 28 giugno 2009: ”gli istituti di credito hanno effettivamente abolito la commissione di massimo scoperto, ma hanno introdotto nuove spese, con nomi molto fantasiosi: “Commissione per istruttoria urgente”, “Commissione per scoperto di conto”, “Recupero spese per ogni sospeso”, “Onere per passaggio a debito nel trimestre”, “Commissione manca fondi” ”.

  11. primo mastrantoni ha detto:

    “L’avevamo denunciato il mese scorso: la ridefinizione delle commissioni di massimo scoperto sono una bufala. Avevamo sollecitato anche il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ad assumere provvedimenti nei confronti di questa nuova turlupinatura messa in atto dalle banche”.

    Lo afferma Primo Mastrantoni, segretario Aduc. “Oggi abbiamo la soddisfazione di leggere, in prima pagina e sul maggior quotidiano nazionale, che anche gli artigiani si ribellano e chiedono un intervento del ministro Tremonti. Speriamo che il ministro sia piu’ sensibile agli appelli degli artigiani perche’ del nostro non se ne e’ occupato per niente.

    Insomma il lupo perde il pelo ma non il vizio” spiega l’Aduc. “Il bello e’ che il consorzio “Patti Chiari” dell’Abi (associazione delle banche italiane) e’ definito come “un grande progetto di cambiamento dei rapporti tra cliente e banca” e che a questa “nuova struttura di governance” partecipano ben 13 associazioni di consumatori!

    Contenti loro! Certo è che non sono soddisfatti gli utenti. Noi, invece, continuiamo ad informare i cittadini, per evitare prese in giro, con una apposita sezione del nostro portale telematico” conclude Mastrantoni.

  12. gianni favero ha detto:

    Ciò che è stato cacciato dalla porta è stato fatto rientrare silenziosamente dalla finestra, e fingendo di dare una mano in realtà le banche han­no trovato il sistema di guada­gnarci più di prima. Lo sostie­ne la Cna di Treviso che non ha dubbi: se da una parte è stata eliminata la commissione di massimo scoperto, dall’altra, e in modo unilaterale, è stata in­trodotta una coppia di altri ele­menti di costo che nella sola Marca penalizzeranno le impre­se per quasi 100 milioni di euro nel 2009. «Così non ci siamo» sbotta Giuliano Rosolen, diret­tore dell’associazione artigiana di Treviso. «Il sistema bancario ha trovato il modo di aggirare la ratio della norma che le ha co­strette a tagliare i costi sul ‘mas­simo scoperto’ inventandosi una tenaglia che alla fine sarà per i clienti azienda ancora più pesante». Si tratta, spiega Rosolen, del­l’applicazione di una percentua­le fissa dello 0,80% sull’affida­mento – vale a dire sulla quanti­tà potenziale di credito a dispo­sizione del cliente – indipen­dentemente dal fatto che lo si usi o meno, e del carico di un costo fisso per giornata di scon­finamento oltre l’affidamento stesso che va dai 5 ai 50 euro per giornata. Misure, fa poi no­tare il direttore, «che abbiamo notato essere assunte in modo pressoché contemporaneo, nel giro di poche settimane, da tut­ti i 18 istituti trevigiani conven­zionati con il nostro consorzio fidi».

    Circostanza che, evidente­mente, fa nascere più di qual­che cattivo pensiero. «Ci rivol­geremo al ministro dell’econo­mia, Giulio Tremonti, all’Osser­vatorio costituito in Prefettura ed alle stesse banche. Questi non erano i patti. E’ stato svuo­tato il senso della legge n.2 del 2009 che elimina il massimo scoperto e adesso non abbia­mo difficoltà ad ammetterlo: così è peggio di prima». Con­corda Luca Cielo, presidente della «Piccola» di Confindu­stria Veneto. «Anche a tutte le nostre aziende sono arrivate co­municazioni in questo senso, alcune più dettagliate, altre sol­tanto preannunciando nuovi costi. Non posso certo dire che le banche abbiano fatto cartello ma il fatto che tutte assieme as­sumano provvedimenti tanto simili è almeno una curiosa coincidenza. Si tratta senza dub­bio di un segnale per nulla posi­tivo ed un fenomeno da arresta­re sul nascere».Per contrastar­lo, innanzitutto, per Cielo biso­gna coordinare gli interventi di tutte le associazioni di impren­ditori. «Da parte nostra abbia­mo dei tavoli già aperti con l’Abi per altre questioni – con­clude Cielo —. Faremo senz’al­tro presente che simili compor­tamenti sono inaccettabili». Monica Galvanin, presiden­te di Federveneto Api, pur non conoscendo i dettagli dell’inda­gine di Cna Treviso, dice di non essere per nulla sorpresa. «Che le banche tolgano di qua per mettere di là avviene dalla not­te dei tempi, certo posso affer­mare che in questo momento non stanno sostenendo le im­prese come dovrebbero.

    Le as­sociazioni devono vigilare di continuo, fare massa critica e denunciare anche per conto di chi singolarmente non ha la for­za di farlo». «Si, questi fenome­ni è sempre bene denunciarli ­è il parere di Giuseppe Borto­lussi, segretario di un’altra si­gla artigiana, la Cgia di Mestre ­ma credo anche che oltre alla denuncia vi sia anche la possibi­lità di intervenire». Per Bortolussi, in sostanza, l’arma a disposizione del clien­te, specie se organizzato in un’associazione, è quella della conoscenza e della libertà di scelta. «Sia chiaro, è fuor di dubbio che le banche ci prova­no sempre ad introdurre nei contratti servizi che non servo­no. Però se le conosci quelle banche le eviti. Per quanto sia possibile immaginare un cartel­lo di una quindicina di istituti, ricordo che di banche se ne aprono in continuazione, an­che straniere, quindi si posso­no anche cambiare».

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