L’epilogo dell’ingarbugliata vicenda (tutta italiana) sui falsi dirigenti dell’Agenzia delle Entrate » Anche stavolta a rimetterci è il contribuente

L'epilogo dell'ingarbugliata vicenda (tutta italiana) sui falsi dirigenti dell'Agenzia delle Entrate » Anche stavolta a rimetterci è il contribuente

Giunge all'epilogo lo scandalo degli accertamenti fiscali firmati da falsi, ed illegittimi, dirigenti dell'Agenzia delle entrate: anche questa volta, grazie a condoni e giochi di prestigio, a rimetterci sono stati i contribuenti italiani.

Nel nostro blog abbiamo parlato fino alla nausea del terremoto che, da alcuni mesi a questa parte, aveva scosso il mondo dell'Agenzia delle Entrate.

Già, perché, per chi non lo ricordasse, tutto è nato dal quel brutto pasticcio dei dirigenti dell'Agenzia delle Entrate dichiarati illegittimi dalla sentenza della Corte costituzionale del 17 marzo 2015.

A parere dei giudici, infatti, chi aveva ricevuto la promozione sul campo, senza meriti, con un decreto del 2012, avrebbe, invece, dovuto fare un concorso. Così facendo, dunque, tutta l'attività fino a quel momento svolta era stata messa in discussione.

Oggi però, dopo numerosi tira e molla, a volte a favore dei debitori a volte del Fisco, a metterci una pezza è arrivata la Corte di Cassazione.

Prima di giungere alle conclusioni, però, cerchiamo di chiarire meglio tutta la vicenda, facendo un passo indietro e venendo a monte del problema.

Lo scandalo dei dirigenti illegittimi dell'agenzia delle entrate: un tuffo nel passato per chiarire meglio la vicenda

Vi spieghiamo come è cominciato lo scandalo dei dirigenti illegittimi dell'agenzia delle entrate.

Tutto inizia più o meno dieci anni fa, a seguito di una riorganizzazione interna delle qualifiche, che ha comportato, presso gli uffici territoriali dell’Agenzia delle Entrate, una carenza di dirigenti: figure necessarie, tra l’altro, per firmare gli accertamenti fiscali.

E cosi', senza bandire alcun pubblico concorso, i vertici dell’Amministrazione finanziaria hanno deciso di elevare, a tale ruolo, ben 767 funzionari.

Insomma, una promozione in carriera, ma senza i criteri di trasparenza imposti dalla Costituzione, secondo cui, invece, agli impieghi nella pubblica amministrazione, si accede solo mediante bando e successivo concorso.

Ora, come accennato, la giurisprudenza, chiamata a pronunciarsi su tale questione, ha ritenuto nulle le suddette nomine.

La prima sentenza nota, in ordine cronologico, e' quella del Tar Lazio del 2011, sebbene lo stesso problema fosse stato gia' sfiorato anche dalla Corte dei Conti.

È seguita la pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Messina e, per finire, quella del Consiglio di Stato.

A questo punto, pero', si e' corso ai ripari.

Cosi', per evitare una valanga di ricorsi che avrebbe potuto invalidare gli atti firmati dai falsi dirigenti, come appunto le cartelle esattoriali di Equitalia, nel 2012 e' intervenuta una legge, la 44/2012, che insieme ad alcuni cavilli inseriti nel decreto milleproroghe, ha sanato gli incarichi conferiti con tale metodo, almeno in attesa che venisse indetto un pubblico concorso.

La norma e' stata rinnovata di anno in anno fino a rendere, di fatto, detti incarichi non già' delle semplici sostituzioni momentanee, ma dei veri e proprio uffici a tempo indeterminato.

Secondo quanto si apprende dalla legge 44/2012, infatti, fermi i limiti assunzionali a legislazione vigente, in relazione all'esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità operativa delle proprie strutture, volta a garantire un’efficace attuazione delle misure di contrasto all'evasione l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio sono autorizzate ad espletare procedure concorsuali per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti.

Nelle more dell’espletamento di dette procedure l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio salvi gli incarichi già affidati, potranno attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata e’ fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso.

Gli incarichi sono attribuiti con apposita procedura selettiva. Ai funzionari cui e’ conferito l’incarico compete lo stesso trattamento economico dei dirigenti.

Successivamente, la legge di conversione del decreto milleproroghe 2012 ha introdotto una norma inquietante.

Si legge nel testo di legge, infatti, che la causa di nullità di una Cartella di pagamento priva dell’indicazione del responsabile del procedimento viene riconosciuta solo dal 1 giugno 2008.

Cosa vuol dire tutto ciò?

Come chiarito, il milleproroghe aveva stabilito che solo per i ruoli consegnati all'agente per la riscossione successivamente al 1° giugno 2008, la mancata indicazione del responsabile del procedimento comportava la nullità della cartella esattoriale. Dovendo, quindi, prescindere dalla data di notifica del ruolo, come poteva fare il contribuente a verificare se tale obbligo era stato rispettato?

Equitalia, praticamente, grazie alla salvata del governo, aveva avuto la possibilità di segnalare all'Agenzia delle Entrate l’esigenza di integrare il modello di cartella di pagamento, al fine di inserire in essa questa informazione.

In ogni caso, il problema non si poneva più per l’indicazione del responsabile del procedimento di emissione e notifica della cartella, in quanto Equitalia, sin dal mese di novembre 2007, aveva impartito alle società del Gruppo direttive finalizzate ad inserire tale indicazione.

La Corte Costituzionale ribalta le norme e dichiara illegittimi i dirigenti dell'Agenzia delle Entrate

Successivamente, arrivò una sentenza della Corte Costituzionale a ribaltare le norme e dichiarare illegittimi i dirigenti dell'Agenzia delle Entrate.

Come sancito dalla Corte Costituzionale con la sentenza 37/2015, i dirigenti dell’Agenzia delle Entrate che avevano rivestito il ruolo di dirigenti di fiducia presso l’Amministrazione finanziaria, non perché avessero vinto il concorso ma solo per coprire dei posti vacanti per un certo periodo di tempo, erano tutti fasulli.

Come ampiamente discusso, ma vale la pena di ribadirlo ancora una volta, il decreto legge del 2012 aveva tentato di porre rimedio alle cariche temporanee dei falsi dirigenti, prorogando il tempo di durata della loro carica provvisoria e di conseguenza sanando tutti i vizi di legittimità degli atti firmati dai dirigenti senza titoli.

Ma la Corte Costituzionale aveva sconfessato il decreto legge, ed esprimendosi sulla questione di legittimità costituzionale, ne aveva dichiarato la sua illegittimità.

Dunque, l’Agenzia delle Entrate, a far data dal 1992, per carenza di organo direttivo aveva fatto ricorso a delle reggenze che sono per natura provvisorie ed aveva illegittimamente autorizzato a firmare degli atti in qualità di dirigenti, ei funzionari pubblici senza qualifica né titoli né alcun conferimento di legge.

Questa evidente illegittimità eseguita dall'Agenzia delle Entrate era già stata censurata dal TAR Lazio nella precitata Sentenza, ma la logica conseguenza non può che essere l’inesistenza di tutti gli atti che questi funzionari reggenti, ma non dirigenti, hanno firmato e trasmesso.

L’Agenzia delle Entrate, dando incarico di dirigenti a semplici funzionari non in possesso della qualifica relativa, ha ecceduto nel suo potere di deroga a norme di rango superiori, al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge, senza indicazione del termine di durata e senza che l’Ente abbia provveduto a bandire le procedure concorsuali per l’accesso alla qualifica dirigenziale.

Eppure la Costituzione è chiara quando esplica che agli impieghi nelle Pubbliche si accede per pubblico concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

Cosa si evinceva da tutto ciò?

Semplice. In tutti questi anni c’era stato un eccesso di potere e sviamento. L’Agenzia delle Entrate con quella delibera, ma ormai era prassi dal 1992, oltrepassava i limiti della propria autonomia regolamentare violando i principi fondamentali per l'acceso alla qualifica dirigenziale.

Ricordiamo, inoltre, che è stato accertato nella sentenza del Tar del Lazio che sussistevano ben 767 posti di Dirigenti coperti temporaneamente tramite incarichi ad interim o vacanti.

Insomma, più della metà dei dirigenti che hanno firmato gli atti in questi anni non avevano i poteri per farlo.

I dirigenti illegittimi dell'Agenzia delle Entrate e il danno erariale da essi scaturito: la Ctr della Lombardia rincara la dose

Dopo la sentenza, senza precedenti, della Corte Costituzionale, viene emanata una pronuncia della Commissione tributaria della Lombardia, la quale getta ulteriori ombre sulla questione dei dirigenti illegittimi dell’Agenzia delle Entrate.

Proseguendo, in ordine cronologico, la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale della Lombardia numero 2842/15 del 22 giugno 2015 ribadiva che gli accertamenti fiscali firmati, o anche soltanto rilasciati su delega, da uno dei dirigenti illegittimi fossero nulli.

E, cosa ancora più importante, la loro nullità poteva essere stabilita anche d’ufficio.

Inoltre, la Commissione tributaria aveva presentato un esposto alla Corte dei Conti perché, in questo pasticcio dell’Agenzia delle Entrate, vi erano i presupposti per il danno erariale.

In parole povere, l’Agenzia avrebbe dovuto risarcire i cittadini in due modi: in primis per gli accertamenti nulli disposti dai dirigenti illegittimi, ma anche l’intera comunità per il buco creato nelle casse dello Stato a causa del mancato introito proveniente dagli accertamenti fiscali.

Proprio per questo, i giudici tributari della Lombardia avevano inviato alla Procura della Corte dei Conti un rapporto su eventuali responsabilità per danno erariale e alla Procura della Repubblica una denuncia per eventuali rilievi penali del giudice collegiale tributario che abbia omesso le doverose denunce.

Già da allora, era ovvio che l’Agenzia delle Entrate avrebbe fatto ricorso in Cassazione e, in questa sede, l’esito del processo poteva essere ribaltato.

L'ultimo intervento giurisprudenziale a favore dei contribuenti riguardo i dirigenti illegittimi dell'Agenzia delle Entrate: interviene la Corte di Giustizia Europea

Dopo le pesanti pronunce di Corte Costituzionale e Ctr della Lombardia, arrivava il turno della Corte di Giustizia Europea, che con le sue sentenze continuava ad infiammare le polemiche sullo scandalo dei dirigenti illegittimi dell'agenzia delle entrate.

A parere della Corte di Giustizia, il contribuente non deve allegare alcuna prova quando contesta vizi di forma, come la mancanza di poteri del dirigente che ha firmato l’accertamento fiscale: spetta all'Agenzia delle Entrate la prova contraria.

Questa la decisione dei Giudici di Lussemburgo che si evinceva dalle sentenze C-129/13 e 130/13.

Seguendo il principio fornito dai giudici Ue, dunque, il contribuente aveva gioco facile in causa: infatti, ogni volta in cui questi contesti un vizio formale di un atto fiscale, come, appunto, la carenza di poteri di chi lo sottoscritto, non spetta a lui dimostrare i fatti a fondamento di ciò (ossia, procurarsi il curriculum vitae del funzionario), ma è piuttosto l’Agenzia delle Entrate che doveva fornire la prova contraria (dimostrare, cioè, che il firmatario ha conseguito il posto a seguito di regolare concorso).

In questo caso, il danno erariale era più che un sospetto: perché, operando in tal modo, l’Agenzia delle Entrate aveva esposto al rischio di nullità, ormai confermata dai giudici di mezza Italia, i propri accertamenti fiscali, impedendo la riscossione dell’evasione fiscale e, peraltro, esponendo lo Stato alla condanna delle spese processuali.

Tutto sembrava giovare al contribuente, quindi. Ma poi, come è andata a finire?

Il primo tentativo del Governo di risolvere in maniera bonaria lo scandalo dei falsi dirigenti dell'Agenzia delle Entrate

Dopo le cattive avvisaglie, dovute alle numerose pronunce giurisprudenziali a favore dei contribuenti, il governo aveva provato a correre ai ripari, tentando di arginare il maremoto scaturito dallo scandalo dei falsi dirigenti dell'Agenzia delle Entrate.

Infatti, il governo aveva deciso che per risolvere il problema aperto dalla sentenza che aveva fatto decadere 800 funzionari dal ruolo dirigenziale sarebbe stata bandita una selezione per esami.

Peccato che per bandire la selezione, organizzare le prove e averne l’esito, è realistico che ci sarebbe voluto almeno un anno per chiudere definitivamente la questione.

La Corte di Cassazione spegne le speranze dei contribuenti italiani sullo scandalo dell'Agenzia delle Entrate: anche stavolta a vincere è il Fisco

Fine dei giochi, a concludere la vicenda, arriva la sanatoria per gli accertamenti fiscali dei falsi dirigenti delle Entrate: la Corte di Cassazione emette una sentenza che, di fatto, tenta di salvare la validità di tutti gli atti emessi in passato.

Game over: a parere dei Giudici di piazza Cavour, anche i vizi di nullità più gravi degli atti fiscali devono essere comunque impugnati dal contribuente nei termini di legge.

In pratica, per quanto attiene agli accertamenti fiscali, entro 60 giorni dalla notifica.

In difetto di tempestiva impugnazione, l’atto, per quanto palesemente illegittimo e ingiusto, diventa egualmente definitivo e non c’è più modo di chiederne l’annullamento. Neanche qualora Equitalia arrivi a fare pignoramento.

Questo il succo della shoccante sentenza 18448/15 della Corte di Cassazione.

Nel dettaglio, secondo l'opinione dei Supremi Giudici, nel processo tributario, caratterizzato dalla impugnazione dell’avviso di accertamento per vizi formali o sostanziali, l’indagine sul rapporto sostanziale non puo' che essere limitata ai soli motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’Amministrazione che il contribuente abbia specificamente dedotto nel ricorso introduttivo di primo grado.

Con la conseguenza che, ove il contribuente abbia inteso limitare la materia controversa ad alcuni determinati vizi di validità dell’atto impugnato, il giudice deve attenersi all'esame di essi e non può procedere d’ufficio, annullando il provvedimento impositivo per vizi diversi da quelli dedotti, anche se risultanti dagli stessi elementi acquisiti al giudizio.

Dunque, ciascuno dei vizi di nullità dell’atto, può essere rilevato anche d’ufficio dal giudice tributario: tuttavia, nel momento in cui il giudice tributario non si limita ad accertare che gli atti impositivi siano privi di sottoscrizione ed afferma che la illeggibilità' della sottoscrizione non consente di verificare se il soggetto che aveva sottoscritto l’atto fosse o meno dotato della necessaria competenza ad emettere gli avvisi di accertamento (se dunque, il giudice non si limita a rilevare la eventuale falsità materiale dell’atto impositivo, e non mette in dubbio la circostanza che l’atto impositivo provenga effettivamente dall'amministrazione finanziaria a cui e' stato attribuito il potere di accertamento) ciò vuol dire che egli non sta semplicemente rilevando un vizio di nullità tributaria, ma sta eccependo l’invalidità dell’atto amministrativo che consegue al vizio di incompetenza dell’autorità' che lo ha emesso, invalidità che può essere fatta valere soltanto dal contribuente, con specifico motivo di ricorso, proposto avanti le Commissioni tributarie nel termine di decadenza previsti dalla legge.

Pertanto, applicando il nuovo principio espresso dalla Cassazione, tali atti non potrebbero essere più impugnati dai cittadini se sono decorsi i 60 giorni dalla notifica.

In questo modo, però, si finisce per sancirne l’automatica sanatoria.

Ed ecco spiegato il perché.

In parole povere, se è vero che la nullità per vizi di sottoscrizione o di motivazione non è direttamente rilevabile d’ufficio dal giudice e può solo essere contestata dal contribuente, con ricorso entro 60 giorni dalla notifica dell’accertamento, è anche vero che, per quasi tutti gli atti firmati dai dirigenti illegittimi dell'Agenzia delle Entrate, non c’è più nulla da fare.

Infatti, all'epoca in cui i falsi dirigenti firmavano e spedivano a tutto spiano accertamenti fiscali a mezza Italia non era ancora uscita la sentenza della Corte Costituzionale e, quindi, nessuno avrebbe mai potuto immaginare l’esistenza di un diritto a presentare ricorso per nullità.

Sarebbe stato come imporre al contribuente di leggere nella sfera di cristallo, prevedere il futuro e iniziare a cautelarsi presentando ricorso entro i 60 giorni.

Con la paradossale conseguenza che, se il contribuente avesse davvero fatto opposizione nei termini, cioè prima dell’emissione della sentenza della Corte Costituzionale, nessun giudice gli avrebbe dato ragione, posto che ancora non erano state dichiarate illegittime le nomine dei dirigenti.

Addio quindi a speranze e bei sogni dei contribuenti.

22 Settembre 2015 · Andrea Ricciardi


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