Per i clienti domestici la tipologia di contratto si distingue tra residenti e non residenti, in base alla residenza anagrafica del titolare del contratto di fornitura di energia elettrica. La distinzione è rilevante per l’applicazione della componente di dispacciamento relativa ai Servizi di vendita, delle tariffe di rete e delle imposte e comporta costi di circa il 30% in più per un uso domestico non residente.
Non affrontiamo, naturalmente, l’ipotesi banale in cui l’utente stipuli due contratti di fornitura di energia elettrica con la stessa società per due abitazioni diverse intestate allo stesso soggetto ed entrambe caratterizzate da uso domestico residente. Fin troppo facile intuire che, presto o tardi, l’incongruenza salterebbe fuori.
L’applicazione della tariffa viene determinata sulla base di un’autocertificazione del contraente il quale dichiara di avere residenza anagrafica nell’abitazione in cui è attiva la fornitura. Il contratto sottoscritto prevede poi, fra le varie clausole, l’obbligo di comunicazione di qualsiasi variazione della residenza anagrafica.
Il rischio di una autocertificazione non corrispondente al vero comporta la decadenza dai benefici eventualmente conseguiti (tariffa per uso domestico residente) e la denuncia penale per falso.
L’eventuale inadempienza contrattuale comporta il rischio, in seguito a controlli ispettivi, di dover rimborsare i risparmi fruiti per almeno gli ultimi cinque anni.
Al momento non risulta fattibile la possibilità di effettuare controlli automatici incrociati fra i dati contrattuali disponibili presso le società di fornitura di energia elettrica e quelli anagrafici.
I controlli vengono effettuati a campione dal personale dell’Autorità per l’Energia ed il Gas (AEEG) e dalla Guardia di Finanza presso le società di fornitura di energia elettrica e riguardano, per i clienti che hanno prodotto autocertificazione, la verifica della residenza per il riconoscimento della tariffa relativa ad uso domestico residente.
28 Luglio 2015 · Giovanni Napoletano