Contributi inps – E’ valido il consiglio di rimandare i versamenti?


Contributi inps, rateizzazione Equitalia o AdER





Il mio compagno ha intrapreso un periodo a partita iva dal 2009 a metà 2013, quando ha chiuso la partita iva: viste le gravose tasse che pagava, il commercialista ha suggerito di rimandare i contributi INPS. Ora è arrivata la cartella Equitalia dove da 6 mila euro calcolati (anziché il fisso dei 3 mila e 500 circa) ne chiedono 11 mila e 400. Purtroppo però lui non ha più trovato lavoro dal 2013, quindi è disoccupato vive in casa da me e non ha nulla di suo. Ha comunque proposto al mio commercialista di provare con 50 euro al mese di trovare un accordo, se non accettano cosa si può proporre? Cosa si rischia?

Quando i miei clienti con partita IVA non riescono a far fronte ai versamenti contributivi dovuti alla gestione separata, l’unica cosa che mi sento di consigliare è la chiusura immediata della partita IVA nonché la disperata richiesta di aiuto a parenti, amici, coniugi e/o compagne per saldare immediatamente il debito con l’INPS. Rimandare il pagamento dei contributi è puro suicidio, dal momento che l’INPS ha la possibilità, ex lege, di applicare agli omessi o ritardati versamenti, le salatissime sanzioni civili, che sono quelle che, in pratica, hanno portato a lievitare il credito fino agli undicimila e rotti per i quali adesso agisce Equitalia. Peraltro, le sanzioni civili, a differenza di quelle amministrative, gli eredi sono obbligati a rifonderle, a meno che non rinuncino all’eredità.

Per la dimensione dell’esposizione debitoria non è nemmeno possibile pensare ad una transazione con l’istituto di previdenza sociale: il massimo che si può ottenere è una dilazione in 72 rate mensili. I 50 euro al mese sono una pia illusione a cui si aggrappa un commercialista consapevolmente reo di aver accompagnato il proprio cliente sull’orlo del baratro.

Pertanto cosa resta da fare? Semplicemente adottare le solite precauzioni a cui è costretto il povero debitore inadempiente: cercare un lavoro in nero, o altrimenti rassegnarsi all’idea di vedere, prima o poi, la propria busta paga decurtata del 20% per servire il debito contributivo; evitare di avere un conto corrente intestato, perché dall’oggi al domani, egli potrebbe trovarselo pignorato: se proprio è necessario intrattenere un rapporto bancario a proprio nome, cosa che si verifica quando il datore di lavoro in bianco vi deve necessariamente versare lo stipendio, il debitore deve fare in modo di prelevare l’accredito appena caldo di bonifico; abituarsi all’idea di non poter possedere veicoli (anche questi andranno intestati a parenti, amici e coniugi/compagne consenzienti) in modo di non vedersi appioppare un fermo amministrativo da un momento all’altro.

Questo è quanto. Per il futuro, il suggerimento è quello di non lavorare mai più a partita IVA (l’Italia non è più un paese per lavoratori autonomi). Ma, se proprio un impiego a partita iva dovesse essere l’ultima occasione della vita per il suo compagno, mi raccomando, faccia in modo che, almeno, cambi fiscalista.

15 Febbraio 2017 · Giorgio Valli


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