Bail-In: ovvero come i risparmiatori pagano per gli errori delle banche » L’ultima truffa legalizzata a danno dei consumatori

Indietro nel tempo: la storia del bail-in nel mondo

Domandiamoci cosa sia il bail-in in sostanza: cerchiamo di rispondere a questa domanda e svelare le manovre e gli interessi che si celano dietro allo spostamento dell’onere dei salvataggi bancari dalla BCE di Mario Draghi alle tasche dei correntisti, cioè noi.

I risparmiatori italiani hanno dovuto fare la conoscenza del termine bail-in, che per loro ha significato sostanzialmente: “la banca continua ad esistere, ma a sparire sono i tuoi risparmi”.

Come siamo arrivati a questo?

È molto interessante! In realtà la storia, diciamo così, del bail-in (e soprattutto di come il bail-in non funzioni), è stata scritta all’inizio, negli Stati Uniti.

Vale a dire durante la famosa crisi della Lehman del 2008, la crisi del subprime. C’erano troppi debiti in giro; le banche avevano fatto credito in modo incontrollato, prestando soldi a chi erano quasi certi che non li avrebbe potuti restituire.

Intanto i lauti profitti derivanti da questi prestiti erano già stati incamerati e, a un certo punto, quando il debito diventa troppo, bisogna pagare dazio.

I portoricani, quelli a cui erano stati prestati soldi senza merito di credito, smisero di pagare le rate del mutuo. Le banche americane si trovarono con una marea di case da mettere all’asta. Crollò l’immobiliare.

Crollarono quindi i valori delle banche e le banche si trovarono quindi con i prestiti che avevano fatto, che non rientravano più.

Una banca fa questo: raccoglie denaro dalla clientela sotto forma di prestiti, obbligazioni e similari, e poi questo stesso denaro lo utilizza, lo presta alla clientela incassando la differenza di tasso fra quello che è il costo della sua raccolta e il ricavo degli impieghi, vale a dire “prestare denaro”. Però, se i prestiti che hanno fatto non rientrano più, come fanno poi a restituire, a loro volta, i denari a chi ha prestato loro i soldi? A un certo punto alla banca viene voglia di non restituirli e alza le mani dicendo: “sono in difficoltà“.

Il Governo americano all’epoca provò a salvarne qualcuna, però erano troppe.

Qualcuna provò a fonderla con altre, ma a un certo punto arrivò a due punti di non-ritorno: uno era la famosa banca Lehman Brothers che, come sapete, scosse fino dalle fondamenta la fiducia nel fatto che le banche non potessero fallire. La Lehman però era una banca d’affari.

Invece, meno nota al grande pubblico ma di peso forse ancora superiore, fu la Washington Mutual.

Washington Mutual è una grande banca americana che aveva gli stessi problemi di tutte le altre, aveva delle sofferenze che continuavano a salire (i suoi prestatari non le restituivano i denari). Il Tesoro americano decise allora di provare con il bail-in, vale a dire: “non mettiamoci più noi dei soldi statali per salvare la banca, ma facciamo pagare azionisti e obbligazionisti“.

Quindi tirarono a zero il valore delle azioni, tirarono a zero il valore delle obbligazioni subordinate e quasi a zero (o quantomeno ridussero fortemente) il valore delle obbligazioni normali.

A quel punto il problema, dal punto di vista di chi ragiona in modo assolutamente ragionieristico, è sistemato.

Perché? Se io, banca, sono sbilanciato perché non mi restituiscono i soldi, quelli a cui io ho prestato denaro, come posso sistemare la questione?

Molto semplice: non restituisco nemmeno io i soldi a chi ha prestato a me il denaro, e così tutto ritorna in bilancio! Il problema è che immediatamente dopo che viene fatta questa cosa, tutti cominciarono a pensare: “Oddio! E la prossima?“. E allora tutti cominciarono a vendere i titoli e a prelevare soldi dai conti della banca Wachovia (all’epoca era la seconda banca, diciamo così, ad essere chiacchierata), che istantaneamente cominciò a essere nei guai.

E poi si continuò: “e quella dopo? E quella dopo ancora?”. A un certo punto, fortunatamente per loro (perché altrimenti non so quanto sarebbe andata avanti dopo la crisi), decisero di porre fine all’errore e, grazie a Tim Geithner (che sarà anche uno del Bilderberg– perché lo è – però quantomeno fa gli interessi del suo Paese.

Il nostro problema con i nostri del Bilderberg è che fanno gli interessi degli altri Paesi), si fece passare il concetto che finché non si piantava in testa, nell’idea dei risparmiatori, che non ci sarebbe più stata un’altra Washington Mutual, il fuoco sarebbe continuato a bruciare. Allora a quel punto misero la garanzia statale estesa su depositi e assets delle banche e arrivarono con un fondo da settecento miliardi (si chiama “Troubled Asset Relief Program, TARP”, per chi si ricorda questa sigla).

E con settecento miliardi messi a disposizione dal Tesoro andarono a prendersi tutti questi titoli che erano diventati velenosi, intoccabili, tossici, dai bilanci delle banche, ristabilendo così la fiducia.

Poi, una volta placatesi le acque e una volta ricominciato a crescere, rivendettero questi titoli (che nel frattempo erano ritornati buoni) sul mercato.

E, oltretutto, alla fine ci guadagnarono anche.

Come siamo arrivati ad adottare il bail-in Italia

E da noi, come è cominciata questa pratica e da quando si è iniziato a ragionare sul principio del bail-in? Cerchiamo di capirci qualcosa in più.

Invece, da noi cosa stanno facendo? Stiamo arrivando allo stesso punto, ma senza aver fatto tesoro di quello che successe all’epoca.

E perché? Le possibilità sono due: o sono ignoranti (cioè i nostri governanti si sono improvvisamente dimenticati di quello che successe non più di sette anni fa, oltretutto non in un Paese sconosciuto ma un Paese noto come gli Stati Uniti).

Oppure, dato che io non penso che siano ignoranti, la cosa è deliberata. E allora, dato che la cosa è deliberata, ci dobbiamo domandare: “cui prodest?“. E soprattutto: qual è il piano o il disegno intorno a una decisione che crea panico, quella di prelevare i soldi dalle obbligazioni o anche persino dai conti correnti dei risparmiatori (o anche solo di minacciare di farlo), rischiando quindi la crisi sistemica?

Ecco, prima di rispondere a questa interessantissima domanda, vuoi fare il quadro della situazione italiana, adesso, per chi non è aggiornato?

Qui in Italia le banche non sono state salvate quando nel 2008 tutti erano pieni di “titoli-spazzatura”, perché non li avevano comprati.

Non sono state salvate quando c’era da sistemare i prestiti alla Grecia o alla Spagna perché non ne facevano. P

er cui, in buona sostanza, fino ad adesso noi ci siamo sempre cullati nella convinzione che il nostro sistema bancario fosse il più bello del mondo, il più tranquillo del mondo e che i problemi erano stati tutti degli altri. E quindi, in questa convinzione noi abbiamo anche dato una marea di soldi (tu fosti uno dei primi a trattare questo argomento, con il famoso MES (Il Meccanismo di Stabilità Europeo), con il famoso fondo salva-stati).

Il Meccanismo di Stabilità Europeo, sì, che finiva poi a non salvare gli Stati, ma a salvare le banche dei Paesi che in quegli Stati avevano investito.

Allora noi abbiamo pagato circa 63 miliardi – immaginate voi – di dotazione di questo fondo, che sono andati da tutt’altra parte e noi abbiamo sempre pensato che prima o poi, invece, avremmo incassato chissà che cosa.

Invece qua da noi c’era un tarlo, che stava cominciando a rosicchiare dal di sotto il sistema delle banche. Questo tarlo, è il tarlo delle sofferenze.
Per salvarsi dai pericoli delle banche, un modo è investire nell’arte. Nel libro di Claudio Borghi è spiegato come.

Le sofferenze sono semplicemente gente che non ridà i soldi che ha ricevuto in prestito dalla banca. Perché succede questo?

Succede perché siamo in crisi, sembra ovvio, ma l’austerità, vale a dire mettere meno soldi nel tessuto economico, comporta che se ci sono meno soldi prima o poi qualcuno fallisce. Questo qualcuno di solito sono le imprese o le persone, ma diciamo soprattutto le imprese.

Ora, qui in Italia non c’è la tradizione che c’è negli Stati Uniti del mercato azionario, dove chi vuole aprire un’impresa cerca soci per tramite delle azioni, no! Qui in Italia, chi vuole aprire un’impresa cerca un finanziamento e lo cerca dalla banca.

Se il mercato interno, se le condizioni economiche, se l’austerità fanno ridurre il denaro in circolazione, questa impresa probabilmente fallisce. Attenzione! C’è una differenza precisa fra un’impresa che chiude e un’impresa che fallisce. L’impresa che chiude, chiude perché a un certo punto si pensa che di averci provato, ma che le cose non siano andate bene e si debba tirare giù la saracinesca. Fine.

L’impresa che fallisce, invece, significa che questa impresa doveva dei soldi a qualcuno, non riesce più a restituirli e allora dichiara fallimento, alza le mani e questi soldi non vengono più restituiti a chi glieli aveva prestati.

È un problema per i fornitori, è un problema per i dipendenti, però diventa anche un problema per la banca, perché se è la banca che ha prestato i soldi all’impresa e l’impresa fallisce, a quel punto la banca ha in bilancio queste somme come un credito, quindi come una posta attiva. E invece svaniscono. E allora arriva sempre il sistema del bilanciamento. Vale a dire: come posso io rimanere bilanciato se i miei attivi, quindi i miei crediti, svaniscono? Arriviamo al punto.

A un certo punto la differenza fra gli attivi e i passivi nel bilancio delle banche continua a salire, salire, salire e quando diventa troppo grande la banca comincia ad avere qualche piccolo problemuccio. Nello specifico, le prime quattro banche (che in realtà sono cinque considerando anche Tercas) che hanno avuto questo problema sono state: la famigerata Banca Etruria, la Cassa Di Risparmio Di Ferrara, la Cassa Di Risparmio Di Chieti e la Banca Delle Marche.

Allora, qui bisogna separare due cose. Bisogna separare il malaffare dal resto.

Vale a dire: sono un amministratore di una banca, nello specifico può essere quello della Banca Etruria, presto dei soldi sapendo che non mi verranno restituiti, con l’intento proprio di darli a uno che li farà sparire, li occulterà e poi magari mi metto d’accordo con il medesimo per far la mezza. Ecco questo è una forma di furto, no? Motivo per cui spesso e volentieri poi, intorno alle banche, ronzano società segrete, ronzano comitati d’affari, cupole e così via, perché è una maniera – diciamo così – legale, o quanto meno che sembra tale, di far sparire i soldi. Perché se io sono un politico e faccio sparire dei soldi da un finanziamento e me li intasco, in una maniera o nell’altra, sono più visibile, no? Dove sono finiti i soldi pubblici? Aspetta che ti indago, ti guardo.

Allora il politico cosa deve fare, se possibile, per cercare di mettere i soldi su fondi pubblici? Prende, vede di far avere un appalto all’amico e poi si prende la mazzetta, no? Quello è lo schema classico della corruzione, quello che tanto ci piace.

Dall’altra parte, invece, cosa succede per la banca? Per la banca non c’è neanche il problema della corruzione, perché ricordiamo che la corruzione si ha solo se c’è un pubblico ufficiale in mezzo. Invece qui, in maniera formalmente – mi verrebbe da dire – pulita, per quanto sporco è il malaffare, se io banca presto dei soldi a uno e poi questo, i soldi che gli ho prestato, prende, li porta in Svizzera e non me li restituisce, contabilmente sulla banca sembra semplicemente un prestito andato male come altri.

Poi io me lo riprendo, per via di tangenti o quello che è, e riesco magari anche a farla franca. Motivo per cui, ovviamente, questa roba funziona fino a che uno non denuncia, o quanto meno non si scopre che c’è stato un accordo fraudolento per riuscire a farlo. Motivo per cui, spesso e volentieri, poi ci sono i suicidi o simili quando ci sono dei dissesti di questo tipo per le banche, perché i congiurati, vale a dire quelli che si erano messi d’accordo per far sparire in questo modo i denari, se sospettano che c’è qualcuno che gli sta mettendo gli occhi addosso o che li ha scoperti, tante volte non vanno per il sottile e lo “suicidano”. I casi di suicidi sospetti furono abbondanti, per esempio…

Monte Dei Paschi, ricordo…

Sì, Monte Dei Paschi è il più recente, però tornando indietro nella storia, guarda caso, quasi ogni crack bancario fu accompagnato dal suo gruppo di suicidi. Vi ricordate sicuramente il Banco Ambrosiano per intendersi, no?

Come funziona il bail-in

Veniamo alle questioni più tecniche: in buona sostanza, questo bail-in, nel pratico, come avviene? Cosa rischiano i risparmiatori nel dettaglio? Scopriamolo qui.

Il primo gennaio 2016 sono entrate in vigore, anche in Italia, nuove regole europee finalizzate, così affermano i banchieri ed i tecnocrati di Bruxelles, a gestire eventuali crisi bancarie con lo scopo di attenuarne gli effetti. Peccato, tuttavia, che il tutto avverrà soprattutto a spese di correntisti e risparmiatori (come già abbiamo avuto modo di capire leggendo le cronache di fine 2015).

Le sedicenti istituzioni europee hanno deciso, infatti, che il costo di un’eventuale crisi bancaria dovrà essere sostenuto principalmente all'interno della banca stessa, come accade per le altre imprese: nelle parole di tutti i giorni, dunque, quando si evoca il termine bail-in si tratta, semplicemente, di descrivere il modo in cui, in caso di default dell'istituto di credito, verranno ulteriormente spremuti i correntisti ignari.

I banchieri e i tecnocrati di Bruxelles aggiungono che le nuove regole mirano a limitare il rischio di una crisi bancaria e, nel caso si manifesti, a risolverla con rapidità ed efficienza; millantano che sono state innanzitutto rafforzate le misure preventive a cui ogni banca deve attenersi e che le Autorità potranno preventivamente intervenire per sollecitare l’attuazione dei piani di risanamento, sostituire gli organi amministrativi e di controllo, avviare l’amministrazione straordinaria.

Certo, lo abbiamo visto tutti come le Autorità preposte alla vigilanza, Banca d'Italia e Consob in primis, sono intervenute tempestivamente per tutelare i risparmiatori delle casse di risparmio di Ferrara e Chieti, di Banca Etruria e della Banca delle Marche.

Comunque, le categorie di strumenti finanziari emessi della banca ed interessate dal bail-in, sono:

  1. azioni e altri strumenti finanziari assimilati al capitale (come le azioni di risparmio e le obbligazioni convertibili in azioni);
  2. titoli subordinati senza garanzia;
  3. crediti non garantiti (ad esempio, le obbligazioni bancarie non garantite);
  4. depositi superiori ai 100 mila euro delle persone fisiche e delle piccole e medie imprese (per la parte eccedente ai 100 mila euro).

Fino al 31 dicembre 2018 i depositi superiori ai 100 mila euro delle imprese e i depositi diversi da quelli delle persone fisiche e delle piccole e medie imprese superiori ai 100 mila euro contribuiscono alla risoluzione della crisi della banca in ugual misura rispetto agli altri crediti non garantiti; dal 2019 essi contribuiranno solo dopo le obbligazioni bancarie non garantite.

In caso di bail-in, i conti correnti fino a 100 mila euro non dovrebbero essere intaccati: fino a questa soglia infatti, dovrebbe intervenire, in Italia, il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi. Il condizionale è d'obbligo considerando che il fondo di garanzia copre non più dello 0.8/% della massa totale dei depositi inferiori ai 100 mila euro.

In pratica, il fondo garantisce effettivamente il rimborso integrale del conto corrente inferiore a 100 mila euro nemmeno ad un correntista su cento.

In modo più corretto e trasparente bisognerebbe dire che, in caso di bail-in, il rimborso massimo teorico previsto per ciascun correntista, con una liquidità giacente in conto corrente fino a 100 mila euro, è pari a quanto aveva depositato in banca. In realtà, la quota di danaro accantonata nel Fondo interbancario per finanziare i rimborsi in caso di bail-in varia da banca a banca ed oscilla fra lo 0.4% e lo 0.8% del totale dei depositi (fino a centomila euro) amministrati dal singolo istituto; per cui l'importo incamerato dal fondo di garanzia non può superare, ad essere ottimisti, lo 0.8% del totale amministrato dal sistema interbancario. Quindi, non si tratta una vera e propria garanzia, ma solo di un massimale teorico, nulla di più: con un crack sistemico di ampia portata, che interessi somme maggiori di quella globalmente disponibile nel fondo di garanzia, i rimborsi non potranno assolutamente coprire tutte le liquidità giacenti in conto corrente interessate dal bail-in ed il correntista riporterà a casa molto meno di quanto deteneva in deposito. E, va aggiunto, dopo i rimborsi il fondo di garanzia resterebbe all'asciutto e necessariamente non operativo per ulteriori eventuali interventi.

La garanzia (massima teorica) del Fondo non riguarda il conto corrente ma è stabilita per ogni singolo depositante e per banca. Nel caso di un conto corrente cointestato a due soggetti quindi, il massimale teorico garantito sarà pari a 200 mila euro mentre nel caso di due conti correnti (ciascuno di 100 mila euro) intestati alla stessa persona presso la stessa banca il massimale teorico garantito sarà comunque pari a soli 100 mila euro.

Chi ha più di 100 mila euro depositati in un'unico istituto bancario, insomma, per sperare di aver diritto ad un rimborso più alto possibile, nell'evenienza di un bail-in, deve necessariamente distribuire i propri soldi fra conti correnti diversi, aperti presso banche diverse, ciascuno con giacenza non superiore ai 100 mila euro.

L'articolo 47 della Costituzione italiana recita La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese.

L'unica cosa certa è che, con l'introduzione del bail-in, il risparmio depositato in banca non è più tutelato, a meno che non si voglia custodirlo in una cassetta di sicurezza; accreditando in conto corrente, di volta in volta, il giusto che serve alle esigenze ordinarie.

Il bail-in e il problema delle obbligazioni subordinate

Oltre ai risparmi superiori a 100000 euro, come accennato in altri interventi, è stata molto preoccupante la pratica delle obbligazioni subordinate: piccolo riassunto.

Le obbligazioni subordinate sono strumenti complessi e spesso difficili da inquadrare.

Le caratteristiche tecniche di questi titoli sono esplicitate nei prospetti di emissione o in altri documenti, molto spesso scritti in inglese e con una terminologia che fa riferimento al diritto civile ed alla normativa bancaria.

In un certo senso, per capire a fondo le caratteristiche di questi titoli, bisogna avere ben chiare le logiche di funzionamento degli intermediari creditizi e delle banche centrali. Il ruolo delle soggetti incaricati della vigilanza sulle banche e', infatti, molto importante per capire a fondo questi strumenti; si pensi che l’esercizio delle clausole di rimborso anticipato e, nel caso dei soli bond Tier 3, il rimborso del capitale alla scadenza finale vanno specificamente approvati dalla banca centrale da cui dipende l’emittente.

Non e' sempre chiaramente evincibile dalla documentazione il reale rischio a cui ci si espone e le effettive caratteristiche dell’obbligazione possono essere diverse da quelle ipotizzate sulla base di informazioni sommarie.

La stessa ripartizione tra le quattro tipologie da noi analizzate puo' non essere immediata. Inoltre, anche a parita' di tipologia, due diverse obbligazioni possono avere caratteristiche e rischi assolutamente diversi tra loro.

Inoltre, il loro rischio di credito e' elevato.

In generale, tutte le obbligazioni subordinate comportano un rischio di perdita del capitale e degli interessi superiore a quello delle obbligazioni senior (non subordinate).

In caso di fallimento o di dissesto, la perdita che puo' subire l’investitore e' sempre elevata e molto spesso tendente al 100% del capitale investito, poiché vengono privilegiati gli altri creditori ed il cuscinetto di capitale proprio destinato ad attenuare le perdite dei finanziatori e' piuttosto limitato (troppo limitato, come abbiamo avuto gia' modo di dire).

In particolare, il rischio di credito e' elevatissimo per le obbligazioni di tipo Tier 1 e per alcuni Upper Tier 2, che, come abbiamo detto, possono prevedere la cancellazione delle cedole e di parte del capitale, senza che si debba giungere ad una vera e propria insolvenza dell’emittente.

Molte obbligazioni subordinate non hanno una vera e propria scadenza (essendo emesse come titoli perpetui o a), ma prevedono la possibilita' di essere richiamate dall’emittente a certe date (opzione “call”).

Se fino alla fine del 2007 era invalsa la consuetudine di richiamare le obbligazioni alla prima data di call prevista dal prospetto e tutti gli investitori consideravano la data di call come fosse una vera e propria scadenza, la crisi finanziaria che ha colpito tutto il pianeta dalla fine del 2007 ad oggi ha cambiato questo stato di cose.

Qualche emittente ha deciso di non rimborsare anticipatamente i bond (come e' stato il caso per Credito Valtellinese e Deutsche Bank) pur essendo in grado di farlo; in altri casi, societa' sostanzialmente insolventi come alcuni istituti inglesi o tedeschi, salvati in extremis dall’intervento pubblico, non solo non hanno rimborsato i bond alla call, ma hanno anche avvisato gli investitori che dovranno subire perdite sul capitale, pur non essendosi mai verificata una vera e propria insolvenza.

In generale, e' cresciuto a dismisura il cosiddetto “extension risk”, cioe' l’incertezza sull’effettiva scadenza dell’investimento, specialmente per gli strumenti emessi senza una vera e propria scadenza (molti UT2 e tutti i T1). In poche parole, e' diventato assai difficile stimare il rendimento dell’investimento, dal momento che non si consoce con certezza la sua scadenza.

L’investitore in un titolo Tier 1, in particolare, deve essere oggi consapevole di fare un investimento di lungo termine, molto simile ad un investimento azionario.

Ancora piu' dei consueti corporate bond, i bond subordinati possono essere veramente difficili da acquistare e da vendere, in quanto ogni titolo fa storia a se poiche', al contrario della carta non subordinata, ogni emissione ha caratteristiche peculiari che la distinguono dalle altre.

In periodi di elevata incertezza, come e' stato il caso negli ultimi due anni, fattori come l’extension risk finiscono con il complicare ulteriormente il compito ai market maker.

Il recente passato ha provato come il prezzo di queste obbligazioni, in fasi di estrema turbolenza, tenda a deprimersi senza molto riferimento alle specifiche caratteristiche dei titoli e degli emittenti, rendendo estremamente gestire e diversificare il rischio. Non basta avere un portafoglio ampiamente diversificato per potere controllare il rischio.

Per di piu', per l’ampiezza delle oscillazioni, il rischio che comporta questo tipo di investimento assomiglia piu' a quello di un portafoglio azionario (specie per i titoli Tier 1) che a quello di un portafoglio di obbligazioni corporate.

Comuque, venendo al dunque, Il 22 novembre 2015 il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto Salva Banche, con cui è stato stanziato un fondo di 2,3 miliardi di euro per salvare quattro banche del centro Italia da tempo in gravi difficoltà: Banca Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara, e Carichieti.

La notizia è però arrivata sulle prime pagine dei giornali italiani solamente in seguito al suicidio di un pensionato a Civitavecchia – attribuito dalla sua famiglia alla perdita dei risparmi seguita al fallimento della sua banca – e al coinvolgimento del Ministro per le Riforme Maria Elena Boschi, il cui padre è stato per anni un membro del Consiglio d’amministrazione di Banca dell’Etruria, una delle banche salvate dal decreto.

Il dibattito è poi proseguito ieri quando Roberto Saviano ha scritto che il ministro Maria Elena Boschi dovrebbe dimettersi a causa di un conflitto di interessi. Ma andiamo con ordine.

Da anni le quattro banche salvate erano in grave difficoltà a causa di cattive pratiche di amministrazione: tutte e quattro erano già state commissariate, cioè messe sotto la gestione di amministratori nominati dal governo. Lo scorso 22 novembre si è “semplicemente” deciso di procedere al salvataggio tramite decreto per evitarne il fallimento.

Il salvataggio è avvenuto tramite il cosiddetto bail-in, un sistema che prevede di salvare una banca utilizzando i soldi degli investitori invece che quelli dello stato, pratica soprannominata bail out.

Il bail-in è stato introdotto dal decreto “salva banche”, promulgato e sponsorizzato da Matteo Renzi e e la sua cricca.

Al momento, nessuna delle persone che aveva semplicemente depositato i suoi risparmi sul conto corrente, o che aveva investito in prodotti finanziari più ordinari ha perso i propri soldi. Ciò perché, in Italia, almeno fino a oggi, i depositi sul conto corrente sono assicurati fino a 100.000 euro.

Hanno perso del denaro, però, e parecchio, le persone che avevano investito i propri risparmi nelle azioni della banca (era quindi un azionista, cioè uno dei proprietari della banca) oppure in obbligazioni subordinate, di cui abbiamo già ampiamente parlato.

Il problema è che adesso molti di questi risparmiatori accusano le banche di averli truffati.

Diversi obbligazionisti hanno raccontato di aver ricevuto vere e proprie minacce da parte dei dirigenti delle banche. Alcuni hanno detto che l’unico modo per avere un mutuo o per non vedersi revocato il fido era sottoscrivere le obbligazioni subordinate della banca. Questo comportamento è un reato, in Italia come nel resto d’Europa.

Altri hanno raccontato di essere stati raggirati e di aver acquistato le obbligazioni subordinate dopo essere stati assicurati che si trattava di prodotti poco rischiosi.

L’impiegato della Banca d’Etruria che ha “venduto” le obbligazioni subordinate al pensionato di Civitavecchia ha detto a Repubblica di avere ricevuto pressioni dalla stessa banca al fine di «convincere più clienti possibili ad acquistare i prodotti della banca».

Va detto che nei documenti che bisogna firmare prima di acquistare questi prodotti sono specificati tutti i rischi a cui si va incontro. Per legge, però, questi documenti sono spesso lunghi decine di pagine e scritti in una lingua quasi incomprensibile.

Comunque, il fenomeno delle obbligazioni subordinate o non è affatto limitato: parliamo di realtà consolidate sul territorio e di istituti che avevano esteso in maniera anche notevole il proprio raggio di azione.

Il valore complessivo delle obbligazioni subordinate azzerate, in questo caso, è di ben 788 milioni di euro.

Come evitare di arrivare al suicidio dopo il bail-in

Bail-in: infine, cerchiamo di capire come i risparmiatori possano difendersi dai rischi cui vanno incontro quando depositano denaro su un conto corrente.

Muoversi nel labirinto dei termini tecnici della finanza non è semplice e capire quello che davvero c’è nei nostri portafogli di investimento tante volte è un rompicapo.

Meglio quindi tenersi su strumenti semplici, di comprensione lineare.

Questa è una delle prime regole.

Volendo invece fare una classifica dei prodotti meno a rischio oggi, ai primi posti ci sarebbero i conti correnti fino a 100mila euro, i conti o certificati di deposito e i depositi postali.

Tra le obbligazioni è meglio guardare a quelle senior.

E poi c’è tutto il sistema del risparmio gestito.

Non tutti sanno, infatti, che i fondi di investimento che abbiamo acquistato attraverso la nostra banca, gli Etf e altri strumenti come le gestioni assicurative, sono separati dal nostro istituto e non vengono intaccati.

Lo stesso vale anche per il fondo di investimento costituito dalla stessa banca che fallisce o da una sua Sgr.

Comunuqe, chi sceglie di investire i propri risparmi, deve poterlo fare consapevolmente dopo aver capito il funzionamento del prodotto scelto e soprattutto i rischi correlati.

I rendimenti sono un aspetto fondamentale, ma talvolta la ricerca spasmodica di guadagno sostanzioso, offusca la concretezza del rischio cui si va incontro ed espone a perdite estremamente dannose.

È importante ricordare che:

  • maggiore è il tasso di rendimento maggiore sarà il rischio dell’investimento. Le banche che offrono soluzioni di investimento con tassi d’interesse particolarmente appetibili non lo fanno perché più efficienti della altre ma perché fondamentalmente hanno bisogno di liquidità…per svariate ragioni che vanno sempre approfondite;
  • non si deve mai investire l’intero capitale che si ha a disposizione su un unico titolo (sia esso un’azione, un’obbligazione, un conto deposito, un fondo etc.) perché ci si espone ad un rischio eccessivo. Diversificare gli investimenti fa si che una perdita subita sulle azioni sottoscritte possa essere magari controbilanciata da un guadagno proveniente da altri investimenti;
  • domandare è lecito, rispondere è cortesia. Informarsi è fondamentale prima di sottoscrivere qualsiasi investimento. Se la materia risulta complessa, si deve pretendere chiarezza e qualora questo non dovesse bastare, ci si può rivolgere ai consulenti finanziari indipendenti, per avere un consiglio al di fuori dalle poco trasparenti dinamiche commerciali e dal conflitto d’interesse;
  • ad ognuno il suo investimento. La profilazione dell’investitore, quindi l’individuazione del suo profilo di rischio e la conseguente scelta dell’investimento più adatto alle sue caratteristiche è di estrema importanza. Esistono prodotti più o meno rischiosi, con orizzonti temporali brevi o lunghi, con costi più o meno contenuti. Ciascuno deve essere messo nelle condizioni di sottoscrivere l’investimento adatto alle sue peculiarità.
  • è importante scegliere bene a chi affidare i propri soldi. I parametri per valutare la solidità o meno di una banca o di una società di gestione del risparmio sono diversi. Tuttavia non sempre si è grado di valutare e prendere la decisione migliore. Altrettanto si può dire per gli investimenti: capire se siano davvero adatti a noi o agli interessi commerciali di banca e relativo promotore finanziario, non è affatto semplice. Ma esistono i consulenti finanziari indipendenti, che sono del tutto al di fuori da tali dinamiche e che non hanno alcun fine se non quello di suggerire la migliore strategia d’investimento per il proprio cliente.

9 Gennaio 2016 · Gennaro Andele


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